Molti i buoni motivi per non perdersi “Lettere dalla Svizzera alla Valposchiavo”

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Giovedì 5 ottobre, con l’inaugurazione della mostra di Frédéric Pajak presso la Galleria Pgi, si è aperto ufficialmente il Festival “Lettere della Svizzera alla Valposchiavo”. Il nucleo della manifestazione è costituito da una serie di incontri letterari che si svolgono nelle giornate di sabato 7 e domenica 8 ottobre (trovate qui il programma) ma anche la mostra, che accompagna come una presenza laterale il Festival prolungandosi anche dopo la sua chiusura, è parte integrante e importante dell’evento. Nella galleria si possono ammirare le opere originali a china di Pajak, modelli e “prototipi” di quelle poi finite nei libri di cui è autore.
Questa potenza narrativa si ritrova anche nelle realizzazioni artistiche dell’autore, che sono capaci di raccontare delle storie. In molti modi, dall’andamento quasi neorealista dei disegni su Napoli si passa infatti alla cronaca di un’auto accartocciata o di Notre Dame in fiamme. Sino a giungere a narrazioni più quotidiane, di gesti, luoghi, luci e ombre e al mare, che emergono in maniera sorprendente dal bianco e nero del mezzo espressivo prescelto. 

Oltre alla visita alla mostra, abbiamo intervistato Begoña Feijoó Fariña per avere qualche ultima indicazione sul Festival e sui suoi eventi.

Perché iniziare un festival di letteratura con una mostra di arte?
Iniziamo con una mostra di arte perché ho pensato che avere Frédéric Pajak come ospite senza poter anche evidenziarne l’attività di disegnatore sarebbe stato un peccato. Questo per quello che scrive e per come lo scrive. Queste due attività sono più che complementari. Esistono anche singolarmente, ma insieme danno luogo a qualcosa di diverso e più potente: contribuiscono a completare la sua attività artistica. Da quando abbiamo pensato di invitarlo (ben prima di quest’anno) abbiamo avuto chiaro che ci sarebbe dovuta essere anche una mostra.

Per questo figura sia nei “dialoghi letterari” che con la mostra?
Esattamente, anche se in realtà in questo caso non si tratta di una “prima”. Era successo anche l’anno scorso quando a Melinda Nadj Abonji erano toccate sia la performance di apertura sia la chiusura con una presentazione letteraria. 

Come definiresti Pajak?
Come un artista a tutto tondo, che si muove tra cinema, arti visive e grafiche, letterature. È proprio l’esempio di persona che ha rinunciato a una vita di un altro tipo, anche compiendo dei grandi sacrifici, che lo hanno portato a periodi di grande solitudine e povertà, per l’arte. Credo proprio che questo sia avvenuto per una sua “urgenza interiore” di seguire una vocazione artistica. Come se fosse l’unica cosa che poteva fare. Poi con L’immense Solitude, apparsa per la prima volta nel 1999, sono arrivati i riconoscimenti sempre più importanti e i contratti letterari che hanno permesso alle sue opere di raggiungere il grande pubblico. Il prodotto che lui alla fine realizza non è un libro illustrato [e nemmeno una graphic novel, ndr]. Ciascuna delle due parti, quella grafica e quella scritta, o letteraria, esiste indipendentemente, ma dall’unione delle due nasce qualcosa di più e di diverso. 

Perché questa particolare forma di dialoghi per le presentazioni?
Diciamo che, tranne rarissimi casi, abbiamo scelto di non fare presentazioni di libri, ma presentazioni di autori. Chi viene scelto come intervistatore, o come dialogante, per così dire, è una persona che è già uno specialista o si prepara su quell’autore. Lo presenta e lo intervista con il coinvolgimento di una o più opere di questo autore. Si parla però anche di  personaggi e di evoluzione dello stile, dando vita a un dialogo che potrebbe avvenire nel salotto di qualcuno… Un incontro pubblico, ma intimo. 

Qual è il ruolo del plurilinguismo nel Festival?
Per me che sono nata in un Paese dove esiste una lingua nazionale (lo spagnolo) anche se ne ve ne sono anche altre, più o meno riconosciute, arrivare in questo Paese con quattro lingue e quattro (forse più) culture è stato affascinante. Nella storia, ognuno in Svizzera ha potuto mantenere ciò che già aveva a livello linguistico, culturale e religioso. Permettere a queste differenti lingue di parlarsi in questo contesto di Poschiavo all’interno del Festival è per me un grande punto di forza. 

Che cosa hai imparato dalle precedenti edizioni del Festival?
A stare più serena, anche se forse non del tutto; ho imparato che le persone che conosco mi vogliono bene e mi apprezzano per quello che sono e poi, infine, che abbiamo creato un ambiente intimo, dove si sta tutti insieme, con gli eventi che non si accavallano troppo: questo è la forza del Festival. Se uno volesse fare una full immersion può seguire tutto: io per esempio lo voglio fare e si può fare, con anche qualche pausa per mangiare. 

Qual è un buon motivo per qualcuno della Valposchiavo e quale un buon motivo per qualcuno che non la conosce per venire al Festival?
Per quelli di qui: in primo luogo perché il Festival è fatto per loro, per evitare che si debbano spostare e andare lontano per frequentare un festival letterario. Inoltre, la popolazione della Valposchiavo è abituata a un approccio plurilingue.
Per chi viene da fuori… Beh sicuramente perché la Valposchiavo è bellissima e poi perché nel momento in cui vengono fanno parte di un gruppo, non esistono distanze e barriere tra autori e pubblico. Diventa davvero una grande famiglia.

Che cos’è Libretticolare?
È il nome che Anna Capelli e Chiara Balsarini hanno inventato per il laboratorio per i bambini. Ci sono letture, si creano storie, si illustrano, si scrive a macchina, si rilegano libri… Ed è aperto a bambini di ogni lingua. 

Considerando che hai un po’ il polso della letteratura svizzera contemporanea “viva”, riusciresti a trovare un elemento unificante?
Forse non sono molti, ma qualcosa c’è: la libertà. A volte questo non avviene in ugual modo alla letteratura italiana. Leggo testi di scrittori che scrivono senza un’eccessiva ansia di piacere, senza tutta questa preoccupazione del prodotto che c’è in Italia e a volte anche in Svizzera italiana. 

Chi lavora al Festival maggiormente?
Diciamo che ci sono due gruppi distinti: da un lato il Comitato di programmazione, composto da persone provenienti un po’ da tutta la Svizzera e il Comitato dell’Associazione, in gran parte della Valposchiavo: al primo attengono dei compiti più strategici, al secondo più operativi. 

Maurizio Zucchi
Collaboratore esterno