Bisogna fare la pace

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Isaia 11,6-7
Sermone del 22 ottobre 2023

Il lupo abiterà con l’agnello, e il leopardo giacerà con il capretto; il vitello, il leoncello e il bestiame ingrassato staranno assieme, e un bambino li condurrà. La vacca pascolerà con l’orsa, i loro piccoli giaceranno assieme, e il leone mangerà la paglia come il bue. (Isaia 11,6-7)

Egli sarà giudice fra molti popoli e arbitro fra nazioni potenti e lontane. Dalle loro spade fabbricheranno vomeri, delle loro lance, falci; una nazione non alzerà più la spada contro l’altra e non impareranno più la guerra. (Michea 4,3)

Beati quelli che s’adoperano alla pace, perché saranno chiamati figli di Dio. (Matteo 5,9)

Duemilacinquecento anni fa, il filosofo greco Eraclito ha detto: “La guerra è la madre di tutte le cose”. Apparentemente aveva ragione: il mondo in cui viviamo è il frutto della Seconda guerra mondiale (e dei suoi cinquanta milioni di morti). E intanto è cominciata una Terza guerra mondiale – come ha più volte affermato anche papa Francesco – combattuta su molti fronti: c’è il confronto tra Cina e Stati Uniti, perdura e si rinnova il conflitto tra America e Russia, ci sono innumerevoli conflitti regionali (allo stato attuale, si registrano poco meno di ottanta guerre in corso) ed è in atto una guerra tra l’Occidente cosiddetto cristiano e l’Oriente musulmano. Sia noi, cristiani, che loro, musulmani, invochiamo il nome del Signore: lo chiamiamo con nomi differenti, ma entrambi siamo certi che Dio è con noi (come dicevano i soldati dell’imperatore Guglielmo, durante la Prima guerra mondiale). Chi ha ragione? Sarà il campo di battaglia a fornire la risposta?

Nell’antichità tutti erano convinti che la verità sarebbe stata stabilita sui campi di battaglia: questa era l’idea più diffusa quando Isaia e Michea annunciavano le loro profezie, e così si pensava anche all’epoca di Gesù. Quando un monarca egiziano o greco, o un imperatore romano riportava sui nemici una vittoria che si riteneva essere “definitiva”, lo si chiamava “pacificatore” (colui che imponeva la “pax romana”) e spesso gli si attribuiva il titolo di “figlio di Dio”. Se aveva vinto significava che era benedetto dagli dei, e più ancora, era benedetto perché aveva vinto.

I profeti e Gesù hanno respinto con forza quella visione sanguinaria della storia. Isaia paragona le persone e le potenze umane a degli animali – lupi e agnelli, leopardi e capretti, e vitelli, leoni e altro bestiame – e dice che quando verrà il Messia, o inizieranno i tempi messianici, tutti i conflitti cesseranno, e tutte le creature di Dio vivranno in pace tra loro.

Michea, dal canto suo, precisa che le armi usate per fare la guerra dovranno diventare strumenti di pace: le spade diventeranno aratri, e nel cuore delle persone lo spirito della violenza verrà sostituito dallo spirito della pace (“non impareranno più la guerra”, dice). Quest’ultima immagine fu ripresa, nella Repubblica Democratica Tedesca, dal movimento pacifista – il quale aveva profonde radici cristiane – che promosse la rivoluzione nonviolenta che rovesciò il regime comunista, nel 1989.

La visione e la promessa dei profeti sono diventate, in Gesù, una proposta e un pressante invito a impegnarsi concretamente. “Beati quelli che si adoperano per la pace”, dice il Maestro di Nazaret. La pace è una cosa che si può fare, dice Gesù, senza attendere passivamente il Regno di Dio, che pure aspettiamo con impazienza.

Gesù rivolge ai discepoli – e rivolge a noi – l’appello a farsi costruttori e costruttrici di pace. Egli stesso lo ha fatto: ha guarito donne e uomini, ha trasformato persone marginali e dal passato discutibile in apostoli, ha dato da mangiare agli affamati. Certo, in questa sua azione è stato ostacolato, e per avere insistito è stato eliminato. Ma la sua risurrezione ci dice che aveva ragione lui, e il suo Spirito ci accompagna, oggi, nel seguire le sue orme.

Si può dunque fare come lui, seguire la sua stessa strada: cercando di correggere le ingiustizie del mondo, aiutando le persone, convertendo i cuori dalla violenza alla pace, operando a favore della riconciliazione.

In questi giorni parlare di pace non è cosa facile perché vediamo all’opera forze potenti che la negano e la vogliono distruggere. I terroristi di Hamas non a caso hanno colpito, tra l’altro – nel più puro stile insegnato dal filosofo Eraclito – i kibbutz di Kfar Azza e Be’eri, perché lì operano associazioni che promuovono il dialogo tra israeliani e palestinesi e cercano di facilitare il passaggio delle ambulanze che dalla Striscia di Gaza sono dirette agli ospedali in Israele.

Pensando a regioni e conflitti più vicini a noi, mi viene in mente la figura di Alex Langer, che nell’Alto Adige / Südtirol si è battuto, a partire da una profonda motivazione di fede, per la convivenza pacifica tra popolazione di lingua italiana e tedesca e per il rispetto della minoranza ladina. Langer era convinto della necessità di creare gruppi in cui fossero presenti persone appartenenti agli schieramenti opposti e decise a coltivare, all’interno di quelli, dialogo e conoscenza reciproca. Quei gruppi, diceva Langer, saranno una sorta di fermento nella società, laboratori di convivenza possibile.

Pensando alla Valposchiavo, mi viene in mente Giovanni Luzzi, che alla fine della Seconda guerra mondiale scrisse un appello a riformati e cattolici affinché non si considerassero più appartenenti a due religioni diverse, ma si riconoscessero figli e figlie del medesimo Dio; non continuassero a mantenere le scuole separate, ma le unificassero; e cominciassero a celebrare culti in comune, dopo avere fondato una “Fratellanza cristiana” che fungesse da motore di incontro tra le due comunità.

Non è detto che fare la pace sia facile. Ma è l’unica cosa sensata da fare in un mondo troppo spesso malvagio e disperato.

Pastore Paolo Tognina