Gioia, nonostante tutto

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Sermone del 26 novembre 2023

Per parlare di gioia, di questi tempi, occorre una buona dose di incoscienza e forse anche di egoismo. I nostri tempi vedono il trionfo di una mentalità consumista, competitiva, che promuove la vittoria dei pochi ricchi sui molti poveri. Sembra che di gioia possa parlare soltanto chi sta bene, chi ha cospicui conti in banca, chi si concede ogni distrazione per evitare di confrontarsi con la realtà.

E inoltre, la gioia non è forse la cosa più inafferrabile e sfuggente? Basta poco per farla svanire: e infatti passiamo molto tempo a rimpiangere la gioia perduta, a ricordare la gioia passata, a sperare in una gioia che ancora deve arrivare.

Occorre anche dire che siamo circondati da innumerevoli immagini di gioia fasulla, messa in mostra ma non vissuta: i sorrisi della pubblicità – così invitanti e apparentemente pieni di gioia – se confrontati con la realtà del nostro tempo, si rivelano vuoti e inaccessibili.

Che rapporto c’è tra cristianesimo e gioia? Il tema della gioia compare circa seicento volte nella Bibbia. Gesù esorta i suoi discepoli a seguire il suo comandamento d’amore “affinché viviate nella gioia” (Giovanni 15,11) e l’apostolo Paolo fa della virtù della gioia addirittura un comandamento: “Rallegratevi nel Signore; ve lo ripeto, rallegratevi” (Filippesi 4,4).

Ma bisogna ammettere che in molte tradizioni cristiane è radicata un’idea di sacrificio e di mortificazione che non lascia molto spazio alla gioia. Forse è questo uno dei motivi che spinge molte persone, che pure cercano la gioia nella religione o nella spiritualità, a rivolgersi altrove.

Molti cercano dunque la gioia là dove non compare il dolore, nella faccia sorridente del Budda, ad esempio. Altri, agnostici, rimproverano al cristianesimo di suscitare speranze illusorie e di colpevolizzare le persone, creando così le premesse per impedirci di vivere nella gioia.

Ma siamo sicuri che la gioia si trovi solo mettendo da parte o negando la dimensione del dolore e della colpa? Siamo sicuri che sia possibile vivere nella gioia solo a condizione di essere ricchi, di non avere fastidi, di potersi concedere divertimenti e distrazioni? Siamo sicuri che la gioia, per radicarsi e crescere, abbia bisogno di chiudere gli occhi di fronte alla realtà contraddittoria e conflittuale del nostro tempo? E se la gioia fosse possibile anche in un mondo come il nostro? E se fosse possibile vivere la gioia malgrado le storture di questo mondo e malgrado le nostre storture? E se fosse possibile coltivare e difendere la gioia in mezzo alle contraddizioni, come una piantina esile, che attende di crescere, di portare frutto, di trasmettersi ad altri?

Gesù esorta i suoi discepoli a seguire il suo comandamento d’amore “affinché viviate nella gioia” e l’apostolo Paolo fa della virtù della gioia addirittura un comandamento: “Rallegratevi nel Signore; ve lo ripeto, rallegratevi”. Il teologo Henri Nouwen ha detto che la gioia richiede disciplina. “In ogni momento”, scrive, occorre “decidersi tra la disperazione e la speranza. Si tratta di una decisione interiore, che non dipende dalle condizioni esterne, ma dalla volontà di rivendicare la propria libertà, senza badare alle circostanze”.

L’apostolo Paolo coniuga il verbo della gioia all’imperativo. Henri Nouwen scrive che la gioia è una decisione. Ma com’è possibile comandare la gioia? E si è mai visto qualcuno rifiutare la gioia?

Spesso noi confondiamo la gioia con il piacere. Il piacere è la soddisfazione di un desiderio: può essere la soddisfazione per un successo nel campo delle relazioni sociali o il fatto di avere ottenuto un aumento di stipendio, può essere anche l’esaltazione provocata da una bevanda inebriante o da una droga, o il piacere derivato dall’avere soddisfatto il proprio sadismo. Certi piaceri favoriscono la vita, altri portano la morte. La Bibbia non è contraria al piacere: essa parla dell’amicizia, di cibi squisiti, di amore e di prosperità. La Bibbia mette unicamente in guardia nei confronti dei piaceri che non portano vita.

Il teologo evangelico Paul Tillich ha definito la gioia come “il coraggioso sì pronunciato su ciò che veramente siamo”. E Blaise Pascal, nei suoi “Pensieri”, parla della gioia come dell’esperienza di avere finalmente trovato se stessi, di avere scoperto la verità più profonda sulla propria vita.

Oltre i desideri e i piaceri, la gioia è il frutto dell’ascolto e dell’accoglienza del sì che Dio pronuncia sulla nostra esistenza.

Ma appunto, bisogna decidere ogni giorno di nuovo di volerlo ascoltare, quel sì che Dio pronuncia sulla nostra vita. Bisogna decidere ogni giorno di nuovo di non dimenticare che siamo figli e figlie di Dio. È facile dimenticarlo, è facile ricadere nella tristezza e nella malinconia.

Come dice un proverbio cinese: “Non potete impedire che gli uccelli della tristezza volteggino sopra la vostra testa, ma certamente potete impedire loro di fare il nido nei vostri capelli”.

Pastore Paolo Tognina