Donne, donne, donne, donne, donne…

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Silva Semadeni ha presentato, in modo felicemente e argutamente colloquiale a Sondrio, il suo recente libro “Le cinque ave”, già ben recensito nel 2022 su questo sito da Nando Iseppi (9 dicembre) e da Achille Pola (15 dicembre).

Nella sede e utilizzando le attrezzature informatiche (vedi le registrazioni su Facebook e su Youtube) messe generosamente a disposizione da Emanuele Campagna, direttore del sondriese Centro Evangelico di Cultura, le “Argonaute” hanno organizzato l’incontro.

Le Argonaute: loro scelte culturali di genere e loro rivolta ai femminicidi

Prima di entrare in argomento giova dare spazio proprio all’Associazione Argonaute. Nasce nel 2004 per volontà e impegno di un gruppo di donne della provincia di Sondrio, “in una realtà dove il disagio e l’incomunicabilità pesano ancora nella quotidianità femminile. L’Associazione mira a favorire il benessere della donna come presupposto per giovare alla società tutta. Cultura, risorse, partecipazione, qualità della vita, opportunità di crescita umana, sociale e lavorativa: obiettivi ambiziosi, certamente, ma che l’Associazione persegue con entusiasmo ed energia attraverso una concreta interazione col territorio. Convegni, gruppi di discussione e incontri costituiscono esempi significativi dell’attività di “Argonaute.”.

Ricordiamo inoltre un percorso, tramite DVD e pubblicazioni, per dare voce a tutte coloro che ebbero un ruolo significativo nella comunità:  le levatrici, le maestre, quante che si dedicano alla terra, al cibo e alla cura della famiglia in valle e in Svizzera (le “Veltlinerin”).

“Un percorso nella convinzione che la memoria di genere debba servire a salvaguardare e tramandare ciò che fa onore alle donne”. Queste le premesse.

Nel non detto aleggiava però il fondatissimo timore di un nuovo femminicidio (102 certificati in Italia sino al 13  novembre, di cui 82 in ambito familiare e “malaffettivo”).

E le “Argonaute” oggi sono altresì presenti in tutte quelle manifestazioni che promuovono la cura del corpo e dove sono state  inaugurate “panchine rosse” a “memento” dei femminicidi (l’ultima a Civo). Anche se l’ampiezza del fenomeno delinquenziale sopra evidenziato  a loro giudizio evidenzia la profonda necessità di interventi radicali incisivi dal punto di vista penale e soprattutto formativo.

Torniamo alle “cinque ave”: un lavoro approfondito.

 Credo sia giusto insieme al doveroso tributo a Silva Semadeni, ricordare qui le persone che l’hanno aiutata e consigliata: Daniele Papacella e Alessandra Jochum-Siccardi (per la revisione dei testi), Pierluigi Crameri (per la grafica e l’impaginazione. E ancora i diversi contributi di Achille Olgiati (1940-2021), Rosanna Nussio, Arno Lanfranchi, Verena e Thomas Hartmann-Roffler (per le traduzioni dal danese), Velia Jochum, Andreas Hagmann, Renato Minoli, Jan E. Janssen (da Copenhagen), Ricardo Gurbindo Gil (da Pamplona), Fernando Recamán Solla (dalla Biblioteca de Galicia), Renzo Semadeni (da Arosa), Urs e Peter Flüeler, Arno Semadeni.

E qui si apre un piccolo siparietto prima della conferenza.

Silva: «Un grande contributo alla ricerca delle fonti e alla comprensione dei complessi rapporti di parentela l’ha dato mio marito Ruedi Bruderer».

Io: «Un lavoro complesso di oltre 300 pagine e di 200 immagini». 

Ruedi: «E di mille noti».

Silva: «No Ruedi, mille note!».

Io: «E magari anche di mille notti!».

Dopo questo dialogo informativo informale, l’amica Silva è entrata in argomento: «Questa sera la mia relazione verterà in particolare su 9 punti: «Percorsi biografici inaspettati • Emigrazione • Il mondo dei caffettieri e pasticcieri • Lunghi viaggi • Riformati anche all’estero • Mogli, madri e casalinghe • Elevata mortalità infantile • Il diritto famigliare patriarcale • Realtà femminili del passato degne di considerazione».

Schema rispettato, a cui aggiungerei due argomenti correlati: identità svizzera e italianità culturale.
Sappiamo che da una foto incorniciata è partita la ricerca. Ed ecco il punto di arrivo con l’identificazione delle donne in effige.

Sono annotati anche due nomi al maschile, perché coniugi e padri. In ogni caso l’autrice ha ribadito più volte che l’intento non era di illustrare una biografia familiare (anche se Angelina Olgiati fu la sua bisnonna).

Il suo è un affresco documentato di un’epoca passata, ma con rami ben presenti nella nostra contemporaneità

Emigrazione.

Ben nota è la diaspora economica grigionese. Possiamo appena immaginare i disagi provocate dai viaggi di andata verso i luoghi di lavoro in mezzo mondo e quelli di ritorno per motivi familiari, educativi, formativi e religiosi.

A partire dal primo quarto dell’Ottocento la Pasticceria della vedova Lardelli è presente a Copenhagen. Sappiamo di un periodo florido, cui seguì un evento “catastrofico: nel 1846 l’impresa fallì. Dopo il ritorno in patria una nuova partenza: questa volta per la Spagna. Le immagini presentano la presenza, la massiccia presenza, dei caffettieri svizzeri in Spagna , in particolare delle “nostre” a Pamplona e Vigo. Un lungo periodo di buoni affari,  a cui seguirono anni molto difficili per cause interne (concorrenza degli indigeni) e per cause esterne (guerre e conseguenti crisi economiche).

Lavoro al femminile

Le donne affiancavano i mariti o i figli nella gestione dei locali, occupandosi in particolare della biancheria di servizio. E soprattutto della cura dei familiari, figli e consorti. Aiutati da personale indigeno, di cui conosciamo il ruolo: serve

Cura, s’è detto anche dei coniugi, perché l’ambiente malsano, avvelenato dal fumo dei tabacchi, causò malattie estremamente serie.

Altra tragedia l’elevata mortalità infantile provocata probabilmente anche (e ripeto anche) dalla congenità fragilità dovuta a matrimoni nella ristretta cerchia di consanguinei valposchiavini riformati.

Pensiamo quale fu il dramma di che perse otto dei suoi undici figli.

Si è parlato della religione. Sappiamo che la cerchia familiare  descritta da Semadeni preferiva far confermare i la figliolanza a Poschiavo. Qualche volta avvenne all’estero, appoggiandosi alle comunità riformate non tanto luterane, considerate troppo vicine ai cattolici, quanto alle calviniste. Questo in Danimarca. Sappiamo anche che nella “cattolicissima” Spagna si poteva, si doveva, si voleva ricorrere almeno per il battesimo a preti cattolici tolleranti. In ogni caso restava lo stretto legame con la valle dove venivano inviata la figliolanza per frequentare le scuole in italiano (della comunità riformata, ovviamente).

Questo forte legame con la madre patria doveva scontare almeno per le donne la natura matrigna delle leggi, che non consentiva di norma alle donne la doppia cittadinanza, tollerata invece per gli uomini. Per aggiungere un ulteriore carico alla natura misogina della legislazione  vigente fino al 1988, ecco in foto un passo riferito al diritto di famiglia.

I caffé luoghi di Cultura

La relatrice ha voluto paragonare la disseminazione dei caffettieri e pasticceri svizzeri a quella dei pizzaioli napoletani (e dei gelatai veneti, aggiungo io), avvenuta per questi ultimi massicciamente solo nella seconda metà dell’Ottocento, dopo l’unificazione per fasi dell’Italia.

Sappiamo che i ristoratori napoletani contribuirono a fare conoscere la loro grande tradizione musicale nel mondo. Sappiamo anche che a Copenhagen gli italofoni Lardelli, contribuirono a far conoscere la musica colta italiana.  In Danimarca non erano presenti lavoratori generici italiani. Venivano invece ingaggiati musicisti e cantanti d’opera, con grande successo di pubblico e di critica. Cambiando scenario pensiamo per esempio che il “bel canto” fece impazzire gli Stati Uniti d’America appena nati. Ricordiamo che li operò Lorenzo Da Ponte, il geniale librettista delle tre opere in italiano di Mozart, giunto a New York nel 1809 in una città in cui non esisteva quasi la comunità italiana (si pensi che quarant’anni dopo erano in 833).

Il pubblico danese quindi potè conoscere bene la bella musica, per limitarci a quella del periodo 1826-1845, con opere come Nabucco, Norma, Elisir d’amore e Barbiere di Siviglia. La celebre cantante Maria Malibran nel 1826 ribadiva così:”Qui in America già stanno mezzo matti per l’opera italiana”.

Da ultimo una doppia curiosità.

Se il marito di Angelina sognava mirabolanti edificazioni, la moglie si adoperò per fare installare e far funzionare lo chalet della stazione di Poschiavo ancora oggi in attività, con diverso proprietario. Sguardo lungo il suo, legato all’arrivo della ferrovia transmontana, così come in “C’era una volta il West” di Sergio Leone, il personaggio interpretato da Claudia Cardinale si adopera in previsione dell’arrivo della ferrovia transcontinentale. Donne pioniere, con  gli occhi aperti sul futuro, ma con i piedi ben saldi.