Coltivare a mille metri e oltre: la scommessa di Elisa Bontognali

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Il vigneto più alto del mondo (così pare) si troverebbe nel Tibet, a 3’563 metri di quota. Giungendo in Europa, il record è conteso tra delle vigne della regione di Granada, in Spagna, ed altre della Sila calabrese. 
Venendo, invece, a latitudini più vicine alle nostre e alla catena alpina, in Valle d’Aosta e in Vallese vi sono dei vitigni che si inerpicano sino a un’altitudine di circa 1’150 metri. 
A Visperteminem, nel Vallese, appartiene infatti il primato svizzero. Un record che potrebbe essere presto quasi eguagliato da una vigna di casa nostra, in Valposchiavo. Sono andato a trovare Elisa Bontognali mentre, con un gruppo di aiutanti, stava piantando i pali del suo vigneto a Cologna, a 1’100 metri, in un terreno appartenente alla sua famiglia riparato da una particolare conformazione. Difficile non notare la determinazione e la passione che Elisa trasmette nel comunicare questa avventura. 

“Si tratta di due appezzamenti, uno qui a Cologna, l’altro invece più vicino al Borgo e alla casa dei miei genitori, il Mott da Jochum, appartenente a Luigi Badilatti”.
In totale si parla di 1’650 piantine, distribuite 750 nell’appezzamento di Cologna e 900 in quello di Poschiavo. Il terreno di Cologna è di circa 1’500 mq, mentre quello di Poschiavo è di 1’800 mq.  I vitigni prescelti sono i Piwi, cioè piante resistenti alla peronospora e alle malattie fungine, ma di due tipi distinti: Solaris per Cologna e Sauvignon per Poschiavo.

Le faccio presente che, che io sappia, il solo vigneto della Valposchiavo si trova a Campascio, quello appunto utilizzato per il Campà, ma che non vi sono vigneti a Poschiavo.
“In realtà non si tratta dell’unico vigneto di Poschiavo – precisa Elisa – Anche Peter Marchesi ha qualche filare proprio a Cologna. Solo che quando la produzione hobbystica è solo di qualche filare è un conto, quando invece un vigneto è da produzione serve un permesso da parte del cantone. Quindi non i primi vigneti, ma i primi vigneti da produzione, per essere precisi”. 

Le parcelle sono state scelte perché ben esposte, particolarmente d’estate e riparate dal vento dell’inverno, avendo però un naturale declivio che impedisce l’eccessiva formazione di umidità e il ristagno di acqua. Tra l’altro, anche Peter ha piantato da poco… Quindi non è ancora un test che possa garantire o suggerire una riuscita. 

Il progetto concreto di fare vino in Valposchiavo è nato due anni fa. “Tutte le colture si alzano – dice Elisa – e così ho pensato che avrei potuto provare, anche sulla base delle coltivazioni a vigneto già esistenti a quote simili nel Vallese. Io volevo rientrare in Valposchiavo, la mia famiglia ha vigne in Valtellina nella zona di Teglio e avrò la cantina presso la vecchia cantina storica Jochum, vuota da 30 anni. Io vinificherò in Valle, anche per questo la cantina e la coltivazione hanno un senso anche maggiore. Eccetto il Sauvignon di Triacca, non vi è nessuno che vinifica in Valposchiavo. Tipicamente, le cantine locali hanno la sede produttiva in Valtellina e vinificano quindi in Italia. Importerò quindi l’uva e la vinificherò qui, perdendo però il diritto alla DOCG per il vino italiano… Certo avrò però un vino locale con la denominazione protetta grigionese”. 

“La produzione vitivinicola è un lavoro di pazienza”, sorride Elisa. Le tempistiche, infatti, non sono brevi. Piantando le barbatelle quest’anno, gelo ed eventi climatici permettendo, la produttività comincerà tra il terzo e il quarto anno”. 

Un progetto pilota, in qualche modo, nato dai calcoli di Elisa e dalla consulenza del Plantahof. Per quanto riguarda i vitigni, invece, c’è stata una consultazione con un vivaista svizzero.
“Ci sono anche contromisure per il gelo e per evitare danni, però, è qualcosa di nuovo. Mi sembra che il progetto sia guardato da fuori più con curiosità che con scetticismo. Speriamo in bene, solo il tempo  dirà se la scelta è stata vincente. Magari diventerò un apripista anche per altri”. 

Maurizio Zucchi
Collaboratore esterno

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