Riscoperta della fraternità

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Salmo 133
Sermone del 2 giugno 2024

Ecco, quant’è buono e quant’è piacevole che fratelli dimorino insieme!

È come l’olio profumato che, sparso sul capo, scende sulla barba,

sulla barba d’Aaronne, che scende fino all’orlo della sua veste;

è come la rugiada dell’Ermon, che scende sui monti di Sion;

perché là l’Eterno ha ordinato che vi sia la benedizione, la vita in eterno.

(Salmo 133)

Il salmo 133 è un cantico che esalta la bellezza della fraternità (e della sororità), paragonata – con due immagini tipicamente orientali, che fanno sorridere l’ascoltatore e l’ascoltatrice moderni – all’olio profumato dell’unzione sacerdotale e alla fecondità della rugiada.

Esaltazione della fraternità (e sororità), dunque, dell’essere assieme di più persone, dove l’uno considera l’altro come fratello, come sorella.

Qualche commentatore moderno ha pensato che si tratti dell’esaltazione della coabitazione sotto uno stesso tetto di più fratelli, cioè dell’esaltazione della vita patriarcale. Un’interpretazione dubbiosa, poiché anche anticamente non fu mai una realtà positiva quella della coabitazione di varie famiglie: valgano gli antichi esempi biblici di Abramo e Lot, di Giacobbe ed Esau con i loro contrasti di idee e di interessi!

No, in questo salmo non c’è l’esaltazione della tribù, della parentela, della grande famiglia “naturale”: nella Bibbia non sono i vincoli di “carne e sangue” che vengono posti a fondamento di un’autentica fraternità e di un’autentica sororità.

Lo stesso Gesù – in una delle sue parole più scandalose e forse meno capite e recepite – quando sua madre, i suoi fratelli e le sue sorelle erano venuti per impadronirsi di lui e distoglierlo dalla sua missione, dirà: “Chi è mia madre? E chi sono i miei fratelli?” e, dopo aver guardato quelli che lo circondavano, esclamerà: “Ecco mia madre e i miei fratelli! Chiunque avrà fatto la volontà di Dio, mi è fratello, sorella e madre”.

In altre parole: la famiglia vera, quella che niente può sgretolare, è quella che condivide uno stesso ideale, quella che risponde a una stessa vocazione e che si rinnova alla stessa sorgente. Quel vivere assieme che altrove diviene sorgente di frizione, di difficoltà, di disputa, creando malanimo e dissapori, è invece motivo di gioia quando c’è una profonda realtà spirituale che unisce.

Si tratta di un’esperienza tanto vera e profonda che viene esaltata e paragonata alla rugiada, così indispensabile per rendere lussureggianti le pendici del monte Hermon e della collina di Sion.

Cosa ha da dire a noi questo antico salmo? Molto, credo, se pensiamo alla società in cui viviamo, caratterizzata da uno spaventoso individualismo generatore di solitudine, di sospetto, dl timore e di chiusura verso gli altri. Quando gli uomini si riuniscono e s’incontrano, difficilmente, mi sembra, possono dire “quant’è buono e piacevole che dei fratelli (e delle sorelle) dimorino assieme”! Perché? Semplicemente perché non sono “fratelli” e “sorelle” gli uni delle altre, ma dei “concorrenti” per i quali, più o meno, è valida la norma: “il tuo arretramento, la tua sconfitta, la tua morte sono quelle che mi fanno avanzare, che mi fanno vincere, che mi fanno vivere”.

Le stesse fratellanze politiche – per altro necessarie e rese possibili da interessi comuni – rivelano sovente la loro fragilità quando cozzano con gli interessi del singolo, con la sua volontà di ascesa, di potere più che di servizio.

Nello stesso ambito del cristianesimo di massa, quando la religione è intesa solo come un fatto individuale, come un puro rapporto verticale con Dio invocato a benedire e a fare prosperare i propri piccoli o grandi interessi, la dimensione dei rapporti orizzontali con il prossimo è atrofizzata, è assente, o pressoché assente, per cui non si può parlare di fraternità, di sororità, di solidarietà, di crescita comune, di gioia nel vivere assieme.

Ed è proprio in questo che risiede la causa di tutti i mali: nel non sapere vedere negli altri dei “fratelli” e delle “sorelle”. E allora?

Allora è assolutamente necessaria una riscoperta dell’evangelo, cioè una riscoperta di Gesù Cristo, di colui che ha realizzato sé stesso come “essere per gli altri”. È necessaria una riscoperta di colui che – creduto, accettato e seguito – (dico “lui” e non un’istituzione ecclesiastica), può far nascere un’umanità rinnovata, composta da uomini e donne che si riconoscono fratelli e sorelle nell’amore di Cristo e riconoscono, negli uomini e nelle donne che hanno accanto, e in particolare negli svantaggiati, nei deboli, nei minimi, delle sorelle e dei fratelli.

Pastore Paolo Tognina