Genesi 3, 1-6
Meditazione 12.08.2024 Culto Chiesa San Vittore per l’apertura dell’anno scolastico
Il serpente era il più astuto di tutti gli animali selvatici che Dio aveva fatto e disse alla donna: «È vero che Dio ha detto: “Non dovete mangiare di alcun albero del giardino”?». Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: “Non dovete mangiarne e non lo dovete toccare, altrimenti morirete”». Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male». Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò. (Genesi 3, 1-6)
Per gli abitanti delle zone più settentrionali del pianeta – che chiamiamo eschimesi –, la neve è un elemento molto importante. Perciò pare che conoscano un centinaio di parole diverse per indicarla. Essi distinguono tra neve d’inverno e neve primaverile, neve polverosa e neve compatta, neve fradicia e coltre nevosa che regge il peso di una slitta.
Per le popolazioni della penisola arabica, il cammello è da millenni un animale utile e prezioso. Perciò hanno sviluppato un ricco vocabolario con cui indicare le caratteristiche di questo animale. Pare che in arabo esistano oltre cento parole per indicare il cammello.
Per il popolo ebraico un elemento di centrale importanza è la domanda. Nel talmud, che è la raccolta dei commenti dei rabbini, esperti della Scrittura, ci sono almeno trenta vocaboli diversi per indicare la domanda. Quei maestri della Bibbia distinguono tra domanda difficile e domanda facile, tra domanda già parzialmente risolta e domanda che non ha ancora trovato soluzione, e così via.
In un’intervista, il rabbino e filosofo ebreo Adin Steinsaltz ha raccontato un aneddoto, riguardante un suo amico, che illustra bene l’importanza che l’ebraismo attribuisce alla domanda e al domandare.
Quell’amico, ha detto Steinsaltz, gli ha rivelato che il padre, quando tornava a casa, non gli chiedeva mai se avesse ottenuto dei buoni voti, ma se avesse posto, durante la giornata, qualche buona domanda.
L’aneddoto ci dice che secondo il pensiero ebraico la qualità più importante, in una persona, è quella di saper porre buone domande, di non accontentarsi di ciò che sa, di essere alla ricerca di risposte.
Domandare, ricercare delle risposte, è un processo continuo, che non ha lo scopo di spegnere la sete di conoscenza, ma piuttosto mette in dubbio ciò che abbiamo acquisito e spinge ad andare oltre.
Nel racconto del libro biblico della Genesi, dove si parla della tentazione, incontriamo un serpente. E quel serpente si presenta con una promessa: quella di dare agli esseri umani la conoscenza di ogni cosa. “È finito il tempo delle domande”, dice il serpente, “io vi darò tutte le risposte”.
Ma il serpente è un bugiardo, è un ingannatore: la caratteristica dell’essere umano è quella di rimanere in ricerca, di continuare a porre domande. Solo così rimaniamo noi stessi, solo così rimaniamo umani.
I commentari rabbinici dicono che gli angeli scolpiti sulla cassa di legno contenente le tavole della legge, avevano la faccia di bambini. Perché avevano la faccia di bambini? Perché i bambini pongono domande: vogliono sapere, vogliono capire, sono curiosi. Quando noi non facciamo più domande, significa che siamo vecchi, o che siamo morti.
Porre delle domande significa tenersi alla larga da due atteggiamenti che non ci aiutano a crescere: il dogmatismo e lo scetticismo.
Il dogmatismo crede di possedere tutte le risposte, lo scetticismo crede che non ci siano risposte. Né il dogmatismo né lo scetticismo pongono delle domande. Il dogmatismo è una forma di orgoglio spirituale, lo scetticismo una forma di disperazione esistenziale.
Sono due atteggiamenti ai quali contrapporre la paradossale versione del Padre nostro proposta da un pensatore francese. “Dacci oggi la nostra fame quotidiana”: fame di risposte, fame di conoscenza, fame alimentata dalla curiosità e dalla voglia di porre domande.
Che questa fame accompagni allieve e allievi, maestre e maestri, nel corso dell’anno scolastico che sta per iniziare. E che essa non manchi nemmeno nelle nostre case, nelle nostre famiglie, affinché tutti rimaniamo in cammino, verso una sempre maggiore conoscenza.
Pastore Paolo Tognina