Il ristorante a tempo ‘Il Movimento’ ha combinato gastronomia, inclusività e un sano modello di vita
Durante la Settimana del Gusto, dal 16 al 22 settembre, Poschiavo ha ospitato “Il Movimento”, un ristorante a tempo che ha saputo coniugare inclusività e gastronomia. Ideato da Claudia Daguati di Valposchiavo Turismo, il progetto ha coinvolto gli utenti dell’Associazione Movimento e del bar ristorante FreeAbile di Sondrio. Guidati dalla chef Fabia Lardi, questi due gruppi si sono fusi in una squadra coesa, trasformando un evento temporaneo in un esempio tangibile di come la cucina possa diventare un’occasione di incontro e collaborazione.
A chiunque, penso, deve essere capitato almeno una volta nella vita, certamente più d’una, di essersi ritrovato in uno stato di contentezza accompagnato da gratitudine e calore: non alimentato da un estemporaneo momento di euforia, ma da un silenzioso riconoscimento. L’emergere di questa sensazione è precisamente riconducibile al fatto di aver ricevuto qualcosa, dopo essere stati riconosciuti: dopo aver ricevuto qualcosa ed essere stati considerati con un’attenzione particolare, ecco: dopo aver ricevuto una certa qualità di attenzione. La particolarità di tale attenzione, ricevuta e declinata nelle più svariate espressioni, deve averci poi smosso qualcosa dentro, sicuramente: tanto da esitare nella riconsiderazione di parecchi dei nostri modi di vedere le cose del mondo. Credo che chi abbia colto l’occasione di partecipare ad una di queste cene, abbia anche potuto vivere una sensazione simile.
Ogni ospite, accolto nella sede diurna dell’Associazione Movimento, ha sperimentato diverse forme tangibili di attenzioni. Una volta arrivati presso il locale, agli ospiti è stato offerto un aperitivo con prodotti locali per poi proseguire con il menù della cena. Un elemento interessante è stato quello di avere un’unica tavolata con dodici posti, a favorire la condivisione di qualche parola con i commensali e, nel frattempo, poter anche curiosare con gli occhi attraverso il varco fra la sala e la cucina a vista, per apprendere magari qualche nuova competenza gastronomica. La stessa configurazione degli spazi è stata pensata con cura. Le impressioni dirette, invece, sono state quelle di un’ottima conduzione della cucina da parte della giovanissima chef Fabia Lardi, un’impeccabile esecuzione dei piatti previsti dai due menù classico e vegetariano, una notevole cura degli impiattamenti e grande attenzione del personale di sala. In un contesto curato, elegante ma conviviale, professionale ed umano, è sembrato, da un lato, che questa iniziativa fosse una prova dal buon esito per dimostrare la possibilità di considerare questa iniziativa come un progetto definitivo; dall’altro, però, l’elemento ‘a tempo’ ha imposto una riflessione sulla straordinarietà dell’evento. Risulta conseguente, quindi, pensare a un progetto stabile in cui gli utenti del Movimento possano contribuire lavorativamente nel settore della ristorazione; e, parimenti, riflettere sul perché tanta straordinarietà nella natura di tale evento.
Come accade in questo caso, si parla spesso di progetti. Progetti lavorativi, progetti di vita, progetti personali. Pensandoci bene, pare che il progettare sia parte della quotidianità dell’uomo e sua attività essenziale: l’uomo, che si trova gettato nell’esistenza, pro-getta, trascendendo la realtà immediata e lavorandola invece secondo un suo piano ideale. Ogni nostro progetto, dal più banale al più elevato, rappresenta, così, un tentativo di attribuire significato alla realtà che ci circonda. Che cos’è interessante però di questo fatto? Che i nostri progetti sono il significato che noi diamo all’esistenza, e i valori presenti in questi progetti sono ciò attraverso cui ha senso per noi la realtà. E per comprendere verso quali valori siamo inclini basti pensare a ciò per cui noi abbiamo cura.
Quale sarebbe per noi il significato della realtà se il nostro progetto fosse incentrato sulla cura dell’altro? Una risposta la potrebbero dare gli utenti del Movimento, che conoscono l’altro e i suoi bisogni, a tal punto da sapersi responsabili, perché la presenza dell’altro e la nostra stessa presenza sono i primi trascendimenti visibili della realtà materiale. Per Emmanuel Lévinas, il volto dell’Altro è ciò che ci interpella, ciò che ci chiama fuori dal contingente, per una responsabilità immediata e ineludibile, che inquadra l’aver cura come atto fondativo dell’esistenza umana.
Inutile sondare qui le implicazioni di una simile condotta di responsabilità generale e autentica, ma questo basti per osservare meglio l’esempio che ci troviamo difronte. L’esperienza del ristorante a tempo, non si è limitata a essere un evento gastronomico — per quanto il cibo sia stato ottimo. È stata appunto un esperimento di responsabilità condivisa. Gli utenti del Movimento, immersi nel progetto, hanno dimostrato come la cooperazione e il superamento dell’egoismo individuale possano trasformare un semplice atto di cucina in un’opera collettiva. Come ha osservato la chef Fabia Lardi, il lavoro di squadra è stato straordinario: nessuna rivalità, nessun protagonismo. Solo un desiderio comune di apprendere, di contribuire, di fare la propria parte.
In questo contesto, la responsabilità non è stata vissuta come un peso, ma come una scelta consapevole, un modo di esistere insieme. Come suggeriva Emmanuel Lévinas, l’incontro con l’Altro impone un’etica della responsabilità che non può essere ignorata. Gli utenti del Movimento, con la loro dedizione e il loro entusiasmo, ci hanno mostrato, anche questa volta, che il vero significato della realtà emerge quando ci facciamo carico del bene reciproco.