Violenza e nonviolenza

0
71

Efesini 6,10-18
Sermone del 20 ottobre 2024

Fortificatevi nel Signore e nella forza della sua potenza. Rivestitevi della completa armatura di Dio, affinché possiate stare saldi contro le insidie del diavolo; il nostro combattimento, infatti, non è contro sangue e carne, ma contro i principati, contro le potenze, contro i dominatori di questo mondo di tenebre, contro le forze spirituali della malvagità. Perciò prendete la completa armatura di Dio, affinché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver compiuto tutto il vostro dovere. State dunque saldi: prendete la verità per cintura dei vostri fianchi; rivestitevi della corazza della giustizia; mettete come calzature ai vostri piedi lo zelo dato dal vangelo della pace; prendete, oltre a tutto ciò lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno. Prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, che è la parola di Dio. Pregate in ogni tempo, per mezzo dello Spirito, con ogni preghiera e supplica; vegliate a questo scopo con ogni perseveranza (Efesini 6,10-18)

Il cristianesimo è portatore di un messaggio di pace. Quel messaggio di pace è definito, in Efesini 6,15, “l’evangelo della pace”. All’inizio della Lettera, si specifica che questo messaggio deve essere annunciato ai lontani e ai vicini (Efesini 2,17).

L’apostolo Paolo, nella sua lettera ai Romani, ribadisce che il messaggio della pace deve essere vissuto nella concretezza delle relazioni umane personali e sociali: “Se è possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti gli uomini” (Romani 12,18).

Ebbene, malgrado queste premesse, il cristianesimo non è riuscito, e ancora non riesce, a mettere in pratica con la necessaria determinazione l’evangelo della pace.

Anziché essere annunciato e vissuto, l’evangelo della pace è stato da un lato spiritualizzato, ridotto a fatto puramente interiore, e dall’altro secolarizzato, cioè, affidato all’arte della diplomazia e, se necessario, agli argomenti delle armi.

Il discorso nuovo della fede in un Dio forte e allo stesso tempo disarmato, vittorioso con la sola forza dell’amore e la Parola come unica arma, è stato messo da parte. A imporsi è stata la logica secondo cui la forza risolutiva, quella che ha l’ultima parola, è quella armata.

Alla logica del Regno di Dio si è sostituita la logica del Regno di Cesare, tanto più dal momento in cui quest’ultimo è diventato cristiano. E se l’imperatore, che è cristiano, scende in guerra contro i suoi nemici, i cristiani, sudditi dell’imperatore, possono e devono prestare servizio militare e combattere nell’esercito dell’imperatore. Dall’annuncio dell’evangelo della pace si è così passati alla legittimazione della guerra.

Il tramonto dell’evangelo della pace è stato accompagnato dalla progressiva scomparsa del pacifismo radicale di Gesù.

Il maestro di Nazareth aveva proposto, nel sermone sul monte, una forma di pacifismo che si spingeva fino all’amore dei nemici (Matteo 5,44).

Quel pacifismo trova la sua più chiara espressione in due beatitudini: “Beati i mansueti, perché erediteranno la terra” e “Beati i costruttori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio”.

La storia del cristianesimo, purtroppo, non porta molte tracce di quelle due beatitudini: cristianesimo e pacifismo faticano, fino a oggi, a darsi la mano.

Il cristianesimo non è stato capace di ribaltare quella che per noi è diventata un’affermazione scontata: “Si vis pacem, para bellum”, ovvero “Se vuoi la pace, prepara la guerra”.

È una frase che risale alla fine del quarto secolo e si trova in un testo sulla guerra, opera dell’autore latino Vegezio. Il concetto è stato ripreso dal politico e filosofo romano Cicerone, in una delle sue Filippiche: “Se vogliamo godere della pace, bisogna fare la guerra”.

Detto in altre parole: la pace la si ottiene soltanto se tra i nemici c’è un equilibrio di forze, vale a dire se entrambi hanno armi potenti ed efficaci, tali da farsi paura a vicenda e quindi temere una sconfitta devastante.

È la dottrina moderna del cosiddetto “equilibrio del terrore”, espressione di quello che definiamo “realismo del buon senso”.

D’altronde, dobbiamo ammettere che molte guerre sono combattute da cristiani e alcune anche tra cristiani, come tra Ucraina e Russia, dove si giustifica la guerra in nome di Dio e in suo nome si benedicono le armi.

In obbedienza alla teoria dell’equilibrio del terrore, molti cristiani oggi, di fronte al comandamento dell’amore verso i nemici e della ricerca della pace, rimangono indifferenti o, tutt’al più, lo considerano possibile solo nell’ambito privato delle relazioni interpersonali.

Diverso era l’atteggiamento della generazione dei cristiani e delle cristiane del primo secolo. Lo testimonia il testo della Lettera agli Efesini, capitolo 6, versetti 10-18.

La Lettera, scritta probabilmente dopo la morte dell’apostolo Paolo, da un suo collaboratore, è indirizzata a tutte le comunità cristiane dell’Asia Minore. Scopo della Lettera è quello di ricordare che i cristiani sono stati coinvolti da Dio nel suo progetto d’amore, che trasforma le nostre esistenze, supera la nostra fragilità e le nostre resistenze e ci dona, in Cristo, un’esistenza nuova, capace di vivere relazioni interpersonali di comunione e di pace.

Siamo chiamati a vivere secondo uno stile di vita rinnovato, ma con la consapevolezza che la vita cristiana in questo mondo è una lotta contro mentalità violente che si insinuano nelle coscienze e nelle istituzioni, dominandole e rendendole disumane e invivibili. Ecco perché l’autore della Lettera esorta i cristiani a rivestirsi dell’armatura di Dio, cioè della potenza disarmante di Dio, per resistere a queste mentalità malvage e imparare a combatterle.

L’immagine usata dall’anonimo autore della Lettera è straordinaria: egli prende un soldato, un legionario romano, armato di tutto punto, pronto a scendere in battaglia. Quel soldato, che porta tutti gli strumenti che servono per combattere, viene letteralmente spogliato, dapprima, e subito dopo rivestito di una nuova armatura e di nuove armi.

La sua nuova armatura è l’armatura di Dio, che non è fatta né per offendere, né per uccidere. Rivestirsi dell’armatura di Dio significa rivestirsi della potenza di Dio, disarmante e non guerrafondaia.

Quell’armatura di Dio è fatta innanzitutto per disarmare noi stessi e per resistere e lottare, non contro le persone (“carne e sangue”, dice il testo), ma contro quella cultura di violenza, di arroganza e di divisione (il testo usa un linguaggio antico, e parla di “diavolo”, e di “spiriti del male”) che domina in questo mondo (è questo il significato di “principati e potenze”) e che si insinua nelle coscienze deformandone lo stile di vita.

In altre parole: tu, cristiano, tu, cristiana, anche del 21. secolo, che hai dimenticato, o relativizzato, le parole del tuo Signore, rivestiti con l’armatura nonviolenta del vangelo, che è finalizzata ad abbattere muri e fili spinati e a costruire relazioni di pace, di riconciliazione e di fraternità tra gli uomini e le donne di questo mondo. O, per dirlo con le parole dell’apostolo Paolo alla comunità di Roma (Romani 12,21): “Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene”.

Si tratta di imparare l’arte della lotta nonviolenta, che si combatte con le armi indicate in Efesini 6,14-18: la cintura della verità, la corazza della giustizia, i calzari per l’annuncio della pace, lo scudo della fede, l’elmo della salvezza, la spada della Parola di Dio.

Valeva per il contesto dominato dalla violenza e dalla guerra dell’Impero Romano, e vale per noi oggi.

L’elenco delle armi è lungo: ritorneremo su questo nella predicazione delle due prossime domeniche. Oggi mi limiterò a rendervi attenti alla conclusione dell’elenco dei pezzi che compongono l’armatura del nuovo legionario.

L’autore della Lettera conclude dicendo: “Pregate in ogni tempo, per mezzo dello Spirito, con ogni preghiera e supplica; vegliate a questo scopo con ogni perseveranza”.

La Bibbia non ignora che la giustizia e la pace e la costruzione di una società più umana e fraterna tardano a venire, e perciò richiedono impegno, pazienza e perseveranza. E sa che la lotta comincia dentro di noi: è il nostro cuore, la nostra interiorità, che devono essere convertiti a un percorso evangelico di umanizzazione e di pacificazione della vita. È il nostro cuore di pietra, violento, che deve rinascere a vita nuova, una vita nonviolenta, capace di amare e di aprire nella storia sentieri di pace e di riconciliazione.

Pastore Paolo Tognina