Scarabocchi nella polvere

0
32

(Giovanni 8, 2-11)
Sermone del 06.04.2025

Una delle pagine forse più conosciute dei Vangeli racconta la storia dell’incontro di Gesù con una donna adultera, colta in flagrante, che sta per essere lapidata da una folla inferocita. In quella circostanza, Gesù compie un gesto che è rimasto celebre.

La mattina presto Gesù tornò al Tempio, e il popolo si affollò attorno a lui. Gesù si mise seduto, e cominciò a insegnare. I maestri della Legge e i farisei portarono davanti a Gesù una donna sorpresa in adulterio e gli dissero: “Maestro, questa donna è stata sorpresa mentre tradiva suo marito. Nella sua legge Mosè ci ha ordinato di uccidere queste donne infedeli a colpi di pietra. Tu, che cosa ne dici?”. Parlavano così per metterlo alla prova: volevano avere pretesti per accusarlo. Ma Gesù guardava in terra, e scriveva col dito nella polvere. Quelli però insistevano con le domande. Allora Gesù alzò la testa e disse: “Chi tra voi è senza peccati, scagli per primo una pietra contro di lei”. Poi si chinò di nuovo a scrivere in terra. Udite queste parole, quelli se ne andarono uno dopo l’altro, cominciando dai più anziani. Rimase soltanto Gesù, e la donna che era là in mezzo. Gesù si alzò e le disse: “Dove sono andati? Nessuno ti ha condannata?”. La donna rispose: “Nessuno, Signore”. Gesù disse: “Neppure io ti condanno. Va’, ma d’ora in poi non peccare più!”. (Giovanni 8, 2-11)

La domanda posta a Gesù mira a coglierlo in contraddizione. Se infatti egli non conferma quella condanna e non approva l’esecuzione che ne consegue, può essere accusato di trasgredire la Legge di Dio, di essere disobbediente ad essa. Se, al contrario, decide a favore della Legge, allora perché accoglie peccatori e prostitute e mangia con loro (Marco 2,15-16; Luca 15,1-2)? Perché si comporta in modo tale da sembrare «un mangione e un beone» (Matteo 11,19; Luca 7,35)? Perché annuncia la misericordia? Quel: «Che ne dici?» significa dunque: «Tu che predichi il perdono di Dio, la remissione dei peccati, che dici di essere venuto a cercare i peccatori e non i giusti (Marco 2,17), da che parte ti schieri in questo caso?».

Osserviamo la scena. Ci sono alcuni che hanno portato a Gesù una donna non perché sia salvata, ma perché sia condannata. Discepoli e ascoltatori sono distanti: qui c’è solo Gesù di fronte a questi uomini religiosi e, in mezzo, una donna in piedi. Solo lei è stata condotta in giudizio, non il suo complice che, secondo la Legge di Mosè, doveva essere anche lui condannato a morte: solo lei, esposta all’opinione pubblica con il suo peccato che viene dichiarato di fronte a tutti. Una donna nell’infamia, nella vergogna, e tutti intorno a lei sono giudici, nemici, accusatori. Non c’è spazio per considerare la sua storia, i suoi sentimenti, la sua consapevolezza: per i suoi accusatori essa non ha solo commesso il peccato di adulterio, è un’adultera, è tutta intera definita dal suo peccato, noto a tutti. È la stessa situazione che incontriamo in un altro episodio, riferito dall’evangelista Luca dove, di fronte a una donna prostituta, giunta di nascosto vicino a Gesù per piangere sui suoi piedi e profumarli, il fariseo Simone afferma: «Questa donna è una peccatrice!» (Lc 7,39).

Ma qui Gesù si china e si mette a scrivere per terra, senza proferire parola. Dalla posizione di chi è seduto passa a quella di chi si china verso terra; di più, in questo modo egli si inchina di fronte alla donna che è in piedi davanti a lui. Si pensi all’eloquenza di questa immagine: la donna che era stata presa e fatta stare in piedi davanti a Gesù seduto come un maestro e un giudice, la donna che ha alle spalle i suoi accusatori con le pietre già pronte in mano, vede Gesù chinato a terra di fronte a lei.

Ma cosa significa questo gesto? Gesù scrive i peccati degli accusatori della donna, come pensavano alcuni interpreti antichi? Oppure scrive frasi bibliche, secondo l’opinione di alcuni esegeti moderni? Non è facile interpretare questo gesto: a mio avviso però esso va inteso in quanto tale, in quanto gesto appunto, senza soffermarsi su parole eventualmente scritte da Gesù. Penso dunque che qui si debbano vedere da un lato gli scribi e i farisei che ricordano la Legge di Mosè scolpita, scritta su tavole di pietra; dall’altro Gesù il quale, scrivendo per terra, la terra di cui siamo fatti noi uomini e donne figli di Adamo, il terrestre, ci indica che la Legge va inscritta nella nostra carne, nelle nostre vite segnate dalla fragilità, dalla debolezza, dal peccato. Non a caso è detto che Gesù scrive «con il dito», così come la Legge di Mosè fu scritta nella pietra «dal dito di Dio» (Esodo 31,18; Deuteronomio 9,10).

Gesù ha davanti a sé la donna e i suoi accusatori. Il contrasto tra questa donna umiliata e la violenza di quelli che l’hanno presa deve avere colpito Gesù. Il quale sembra voler trovare una strada che, da un lato, permetta alla donna di liberarsi, e dall’altro costringa gli accusatori a riflettere su quello che stanno facendo. Non è un compito facile. Non è facile trovare una soluzione. È per questo, probabilmente, che Gesù si mette a scarabocchiare nella polvere: per prendere tempo, per pregare, per far emergere una proposta che eviti di dividere il mondo in peccatori e innocenti.
Anche noi spesso non riusciamo a trovare risposte semplici, soluzioni lineari, percorsi privi di curve. Anche noi dobbiamo, in altre parole, chinarci a terra – come Gesù – e scrivere nella polvere, cercare una strada percorribile, una risposta. E siamo presi dall’ansia, dall’inquietudine, dall’incertezza. Ci sono momenti in cui dobbiamo fare una pausa, imporci una sosta, per poter tentare un cammino nuovo o, almeno, cercarlo. Questo riconoscerci poveri anche di soluzioni appartiene alla nostra realtà, fatta molte volte di scarabocchi sulla polvere, di tentativi, di ricerca. Ma in questa ricerca noi crediamo che Dio sia presente al nostro fianco.

Il copione sembra già scritto: gli accusatori scaglieranno la loro pietra, e la donna morirà. Nessuno, individualmente, potrà essere considerato colpevole di quell’uccisione. La responsabilità ricadrà sull’insieme del gruppo, sul branco. Dopo avere scarabocchiato nella polvere, provocando una pausa di raccoglimento, Gesù dice: “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra”. È una frase stupenda, disarmante. Con quelle poche parole, Gesù dissolve la massa degli accusatori. Ora non rimangono che singoli individui, non più certi del fatto loro.
Gesù scioglie il branco. Non accusa gli accusatori, ma li interpella, singolarmente, in modo diretto. È come se dicesse a ciascuno: non nasconderti nel branco, non nasconderti nella massa, non cercare rifugio dietro norme e paragrafi. Esci dal tuo nascondiglio. E dai ascolto al tuo cuore, ai tuoi sentimenti, alle tue passioni. Assumi la responsabilità di prendere una decisione personale: davanti a te stesso, davanti al tuo prossimo, davanti a Dio.

Ancora una considerazione sulla reazione alla parola-domanda di Gesù. Il testo dice che gli accusatori, «udito ciò, se ne vanno uno per uno, cominciando dai più anziani». Questa precisazione dell’autore attesta una verità semplice, ma che non dovremmo mai dimenticare: più si avanza in età, più numerosi sono i peccati fatti e accumulati; questa coscienza dovrebbe attenuare la nostra inflessibilità verso gli altri, invece di indurirla.

Gli accusatori, dunque, se ne vanno. Chissà che cosa avranno fatto quegli uomini, dopo avere deposto a terra la pietra che tenevano in mano? Chissà se avranno trovato il coraggio di tornare a casa più disponibili a fare i conti con il loro cuore, e a imboccare nuovi cammini? Dopo avere lasciato cadere le loro pietre, i loro cuori si saranno aperti? E avranno accolto l’invito di Gesù a diventare persone dotate di una positiva individualità?

Ma non ci sono solo gli accusatori che si allontanano. C’è anche la donna che rimane, sola, davanti a Gesù.
Dopo l’incontro silenzioso, fatto di soli gesti, ora è possibile l’incontro parlato, che comincia con l’appellativo rivolto da Gesù alla sua interlocutrice: «Donna». La chiama «donna», come aveva fatto con sua madre (Giovanni 2,4) e con la samaritana (Giovanni 4,21), come farà con Maria di Magdala nell’alba di Pasqua (Giovanni 20,15).
Rivolgendosi a lei in questo modo Gesù le restituisce la sua dignità, la fa risaltare davanti a sé per quella che è: non un’adultera, non una peccatrice (tutti titoli che anche daremmo e di fatto diamo a una moglie infedele), ma una donna.
Nessuno le aveva rivolto la parola, tutti l’avevano trascinata lì come un oggetto; Gesù invece le rivolge la parola, la restituisce alla sua dignità di donna e le chiede: «Dove sono [i tuoi accusatori]? Nessuno ti ha condannata?». Ed essa rispondendo: «Nessuno, Signore» fa una grande confessione di fede. Colui che si trova di fronte a lei è più di un semplice maestro, «è il Signore».

Infine, Gesù conclude questo incontro con un’affermazione straordinaria: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».
Sono parole gratuite e unilaterali. Il testo, infatti, non ci dice che la donna era pentita, non è interessato ai suoi sentimenti ma rivela che, quando è avvenuto l’incontro tra la santità di Gesù e il peccato di questa donna, allora – per riprendere ancora le parole di Agostino d’Ippona – «rimasero solo loro due, la misera e la misericordia». Ecco la gratuità di quella assoluzione: Gesù non condanna, perché Dio non condanna, ma con questo suo atto di misericordia preveniente offre a quella donna la possibilità di cambiare.
Non ci viene detto che essa cambiò vita, che si convertì, che andò a fare penitenza né che diventò discepola di Gesù e si mise a seguirlo. Guardiamoci bene dal far dire a questo brano ciò che noi desidereremmo dicesse. Non sappiamo se questa donna perdonata dopo l’incontro con Gesù abbia cambiato vita: sappiamo solo che, affinché cambiasse vita e tornasse a vivere, Dio, che non vuole la morte del peccatore, l’ha perdonata attraverso Gesù e l’ha inviata verso la libertà: «Va’, va verso te stessa e non peccare più».

Dopo la lettura di questo incontro possiamo comprendere meglio perché Gesù abbia potuto dire: «Io non giudico nessuno» (Giovanni 8,15). Gesù, infatti, è venuto non per giudicare ma per salvare il mondo (Giovanni 3,17); è venuto per i peccatori, non per i giusti; per i malati, non per i sani (Marco 2,17).

Pastore Paolo Tognina