Il primo trattore della Valposchiavo torna in strada

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Sembrava che non si potesse muovere più il Motrac quando nel 2023 la rottura di un tubo causò l’allagamento del locale dove per anni venne conservato: la decisione si fece allora inderogabile “o lo si rottama o lo si restaura” racconta Romeo Lardi, orgoglioso proprietario del mezzo insieme al figlio Patrick. E dopo due anni di lavori per un restauro completo ad opera di Massimiliano Nussio, il 17 aprile il Motrac ha superato i severi test di collaudo dell’Ufficio della circolazione grigionese e si è reimpossessato delle carte per richiedere una nuova targa.

600 ore di lavoro e costi parecchio alti. Insomma, un restauro del genere non lo si fa in economia ma per conservare un pezzo di storia il cui valore non ha prezzo. L’85% circa delle componenti meccaniche sono state recuperate grazie alla robustezza costruttiva, il resto è stato cercato e ricercato in altri mezzi oramai fermi o nei più disparati mercatini dell’usato. E quello che non si è trovato lo si è dovuto ricostruire ad hoc. Il lavoro di restauro è stato facilitato anche dal contributo di Hans Matti-Ruchti che lavorò per anni alla Motrac, azienda produttrice del trattore.

La Motrac, fondata a Zurigo nel 1937, si specializzò nella produzione di macchinari agricoli, introducendo modelli innovativi come le motofalciatrici MA e sviluppando il primo piccolo trattore con trazione integrale e sterzo articolato. Durante la Seconda Guerra Mondiale, la produzione fu adattata, per poi includere spazzaneve e veicoli da trasporto. Tuttavia, a causa dei cambiamenti nel mercato agricolo e delle dinamiche di produzione, l’attività cessò nel 1969.

Era pratica diffusa a quell’epoca che i trattori ereditassero motori automobilistici presenti precedentemente su vetture non più destinate alla circolazione. È così che anche il primo trattore della Valposchiavo, immatricolato nel 1939, ha in dotazione il motore di un’autovettura Ford del 1926.

Il telaio del trattore è in ghisa stampata per un peso complessivo di circa 1600 chili. Raggiunge una velocità massima di 20 km/h.

La storia e i valori dietro al restauro

Patrick Lardi ha raccontato a Il Bernina che «sin da piccolo il trattore fermo e in disuso mi ha affascinato e questa è la cosa che assieme al Cavresc mi lega di più a mio nonno Ugo e alla storia della nostra famiglia. Il trattore è anche stato la chiave della mia passione per le auto d’epoca. Sono grato di poter aver avuto la forza e la possibilità di restaurarlo, questo grazie in particolare alla pazienza e precisione di Max (Massimiliano Nussio n.d.r.) il risultato è andato oltre le aspettative. Con suo padre stiamo lavorando a un libricino che ne racconterà passato, presente e avrà anche qualche idea sul futuro».

Il valore di questo mezzo non è sola testimonianza storica del trattore in sé, ma segna il passaggio dall’agricoltura tradizionale, caratterizzata dalla fatica manuale, alla modernizzazione della vita rurale attraverso nuove tecniche di campicoltura. E non solo: grazie a questo mezzo è stata possibile la realizzazione di bonifiche del terreno come nel caso di Selva. Ma c’è altro ancora, basta guardarlo: linee robuste e un motore che si può intravvedere. I suoi componenti tecnici sono lì, visibili. Non nascosti o mascherati per credute esigenze estetiche. A guardarlo bene sembra quasi che anche la ghisa, l’acciaio, i bulloni avvitati e gli ingranaggi giustapposti, stiano lì, con un loro linguaggio, a raccontarci qualcosa.

Per permettere a tutti di ammirare questo antico gioello tecnico, racconta ancora Patrick Lardi «il trattore, dopo decenni di fatica nei campi di decadimento, verrà usato per raduni, esposizioni e attività di rappresentanza, e di sicuro ogni tanto farà bella mostra oltre che al Cavresc anche al borgo, dove Jacopo ri-aprirà con Orlando un ristorante».