“Anche una semplice palude può fornire il pane”

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Pian di Gembro, lo scrigno di Ivan Monti
In questi giorni, in zona c’è in libreria e in edicola un nuovo libro di Ivan Monti, il cui titolo ha attirato particolarmente la mia attenzione: Uno scrigno chiamato PIAN DI GEMBRO.

Una zona, quella del Pian di Gembro non lontano da qui anche se oltre frontiera. Una montagnetta sopra Tirano, oggi famosa nel ramo turistico per la valorizzazione che ne ha fatto e sta facendo la comunità Montana di Tirano che prende il titolo di: “Riserva naturale di Pian di Gembro“. A attirare la mia attenzione è il titolo del libro: “Uno scrigno chiamato Pian di Gembro”.

Quindi: uno scrigno che può incuriosire il lettore e tenuto conto che quelli della mia generazione, dei paesi dei dintorni, vi hanno lavorato sulla ormai dimenticata torbiera, chi meglio di noi può descrivere il contenuto o ex contenuto di quello scrigno?

A parte la ricca illustrazione dello stato vegetativo e faunistico con nomi propri e che farà felice anche i visitatori della Riserva d’oggi che non è più entro uno scrigno, ma alla luce del sole della Riserva, ci sia permesso aprire quello scrigno e mostrare il lato storico, che riguarda la ex torbiera di Pian di Gembro.

 

Ripeto, fatto storico, in quanto la torbiera è stata attiva durante le due guerre. Della prima guerra non possiamo dare testimonianza, ma nel periodo della seconda guerra, quelli della mia generazione, abbiamo lavorato per almeno un decennio di stagioni estive, risalendo ogni mattino dall’Aprica, a piedi noi vicini, mentre quelli che venivano dai paesi vicini pernottavano nell’apposita baracca, che non solo faceva il servizio di ospitare quegli operai che venivano da fuori, ma offriva il pasto a tutti e riparo quando pioveva.

Come funzionava la torbiera? Esternamente la torbiera si presentava come una palude. Ogni anno designavano una vasta area e con il semplice badile estraevano quella specie di pantano che versavano a badilate su un nastro scorrevole (come usano ancora nei cantiere) che a sua volta, girando, risaliva fino in superfice e si scaricava entro una macchina che funzionava elettricamente. Un macchinario, che tenuto conto delle debiti proporzioni, assomigliava nell’aspetto e nella funzione, alla macchina del macellaio che introduce la carne e esce tritata a mo’ di salsiccia.

Così succedeva a quel materiale che uscendo tritato si posava su scorrevoli assicelle e caricate su appositi carrelli, spinti a mano (non trainati da cavalli o altro) da ragazzi o ragazze, portati sui dintorni dove non c’era ancora il bosco, ma solo pascolo. I carrelli avevano una forma tipo quelli che vediamo dal panettiere. Caricato il materiale uscito dalla macchina, posato le assicelle sui bracci del carrello, partiva, sempre spinto da uomini o anche da ragazze, sui pendii vicini per essere esposta al sole a asciugare, un primo tempo e dopo una decina di giorni, la torba veniva rigirata, pezzo per pezzo per essere essiccato completamente. A quel punto raccolta la torba secca, veniva messa nei carrelli chiusa a mo’ di cassoni, che venivano spinti, sempre a mano, verso la locale partenza della teleferica e da lì scendevano direttamente verso la stazione di Villa di Tirano per essere inviati nelle città a alimentare le fabbriche in sostituzione del carbone.

Ecco quindi che in quello scrigno di Ivan Monti c’è una pagina di storia che noi, della generazione precedente, vorremmo che rimanesse nella memoria della storia, comune, che poi non è così lontana. Si potrebbe dire tanto in merito, ma basti sapere che la torbiera di Pian di Gembro ha dato lavoro, sia nella prima guerra mondiale che nella seconda, a tanta gente, di cui siamo ancora testimoni.

Ben venga la valorizzazione per altri scopi moderni che è quello che sta facendo la Comunità Montana di Tirano con la Riserva, ma siamo grati all’autore per quanto ha scritto, del presente, ma soprattutto del passato e ci auguriamo che i lettori guardino con interesse entro quello scrigno e si ricordino, e lo dicano anche ai visitatori della Riserva, grandi e piccoli, come anche una semplice palude, all’occorrenza possa fornire il pane agli abitanti dei dintorni, nei periodi di crisi.


Ivan Monti (1984) è laureato in Scienze dei Beni culturali e da qualche anno lavora nel campo della comunicazione.


 

 

Luisa Moraschinelli