Per una narrazione d’aiuto condivisa

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„Di sera avveniva una cosa strana: le venti famiglie diventavano una famiglia, i figli diventavano figli di tutti. La privazione della casa diventava una privazione comune, e gli anni felici nell’Ovest erano un sogno comune.“ —  John Steinbeck, “Furore”

Qualche tempo fa ho assistito a un evento pubblico dove fra le altre cose si è parlato anche delle cosiddette “fake news”, le notizie false. Dalla serata, in compagnia di Maurizio Canetta e altre persone, mi sono portato via queste due cose: le notizie false sono un problema che riguarda tutti noi. Le notizie false, in questo preciso periodo storico, sono molto meno un problema di quanto pensiamo.
Più che alle notizie false infatti, in questi tempi di Coronavirus dovremmo iniziare a prestare attenzione e certi tipi di narrazioni, a un certo tipo di storie. Le notizie false possono farne parte, ma non sono quasi mai di per sé il Problema, forse anche per la rapidità e l’incertezza che caratterizzano il momento. L’estate ci aveva illusi di poter di nuovo governare tempistiche e certezze, ma oggi sembra chiaro che non sarà così almeno ancora per un po’. La cosa su cui vale la pena concentrarsi dunque non è l’esattezza di ciò che sta succedendo, bensì il posto dove vorremmo andare. Quale nuova storia vogliamo condividere?

La primavera scorsa, quando superato il primo impatto pandemia si iniziava a pensare lentamente a una riapertura, scrissi un breve pezzo (“La Lotteria”) dove m’interrogavo sulla questione del rischio sociale e a come la stessa riflessione in merito fosse condizionata dalle domande che ci ponevamo in quel momento. A dipendenza delle domande che oggi riaffiorano, costruiremo una narrativa che ci dirà qualcosa in più sul posto dove vorremmo andare. Ed è in quest’esercizio che i fatti e la loro veridicità assumono un ruolo secondario. Importa meno se sia vero, importa che sia giusto e ancor più risulta essenziale che sia in un qualche modo utile.

Ma utile a cosa? Utile forse a fare quattro conti in tasca e vedere se dopo tutto questo, una volta che tutto sarà passato, torneremo ad essere gli stessi, come se nulla fosse. Utile a guardarsi intorno e vedere se le quattro cose che ci servono davvero nella vita siano ancora al loro posto. Utile sin d’ora, dentro la tormenta, per cercare da subito di mettere al riparo le cose a noi care. E non è solamente questione di chiudere baracca e burattini, affiggere al portone il cartello “chiuso per pandemia”, e pensare a un luogo sicuro per svernare. Qui si tratta del dopo, della nostra vita dopodomani. Il viaggio è appena iniziato, l’inverno sarà lungo e complicato e la differenza la farà la nuova storia comune che sapremo raccontarci. Bene, mi piace pensare (e sperare) che sarà una nuova grande narrazione d’aiuto condivisa. Un momento dove tirare assieme l’essenziale, sederci attorno al fuoco la sera, e guardarci negli occhi mentre i vecchi raccontano e i giovani ascoltano.

Mio nonno aveva quarant’anni quand’è scoppiata la seconda guerra mondiale; quanti ne ho io oggi. E oggi penso al tipo di narrativa di quei tempi, a come l’avranno imbastita, a come si saranno organizzati collettivamente e individualmente per ridisegnare la verità. Qualcuno forse chiuso in uno scantinato di nascosto, a pensare parole da mettere su carta per contrastare la nuova oscena visione hitleriana che si stava impossessando dell’Europa, altri al fronte a combattere per chissà quale improvviso ideale, fino ad arrivare a quelle madri e quei padri che invece si trovarono a dover ripensare un nuovo mondo da raccontare ai propri figli, rimboccandogli le coperte prima di andare a dormire la sera. Che parole avranno usato per aiutare i loro bambini in quel momento? Su cosa avranno posto l’accento? Quali bugie avranno raccontato pur di salvare almeno il loro mondo in qualche modo? Mi piace pensare che non si siano concentrati sulla verità. Mi piace pensare che abbiano dato libero sfogo alla fantasia, affinché infine emergesse dal loro racconto che la vita è bella e guai a smettere di credere che fosse così.

No, non siamo in guerra oggi (almeno non nella ricca, tranquilla e sicura Europa), ma chi ha figli piccoli lo sa. Spiegare loro questo nuovo mondo, compreso l’inverno che verrà, non è una cosa semplice. Ci vogliono parole nuove e storie diverse, e allora lo faremo nel miglior modo possibile. Ci trasformeremo in incredibili contastorie moderni e ci emozioneremo nuovamente di fronte ai loro grandi occhi curiosi, con l’innata convinzione di chi ha riscoperto improvvisamente cosa sia utile fare, e l’unico posto giusto dove andare.

Prima di gas e TV, prima che le persone avessero le automobili, ci sedevamo attorno al fuoco, passandoci le nostre chitarre. — Mark Knopfler “Before Gas and Tv”


Josy Battaglia