La ragione del cuore

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Un novembre di sole e di tepore, strade che invitano all’incontro, luci della sera che parlano di ritrovo, di amicizia intorno ad un tavolo. Vorremmo levarci dal viso la mascherina, gettare via i disinfettanti, star vicini e muoverci da un luogo all’altro a nostro piacimento. Soprattutto vorremmo ritornare ad un anno fa a quest’ora e cancellare i mesi a partire da febbraio 2020. Ma non lo possiamo fare perché questo potrebbe significare malattia per noi e per quelli che avessimo ad incontrare. Per qualcuno potrebbe persino significare raggiungere e oltrepassare il confine tra la vita e la morte.

Abbiamo ormai capito che non ci troviamo davanti ad una semplice influenza ma ad un nemico contro il quale le armi sono poche. Ed abbiamo capito che quelle armi le dobbiamo utilizzare. Quindi non pensiamo alla sensazione di libertà che proveremmo gettando via la mascherina perché in questo momento tale libertà si potrebbe trasformare in una totale e dolorosa dipendenza. Questa è la realtà d’oggi, che va guardata nella sua brutale concretezza. E che non va relativizzata perché non ci hanno certo servito gli sproloqui del (per fortuna ex) incaricato della sanità a livello federale Koch che, affermando non ci fosse “evidenza” del beneficio della mascherina, ha arrischiato di demotivare un’intera nazione nei riguardi di un’arma di difesa, certo imperfetta ma pur’ sempre riconosciuta e atta a trasmettere un appello generale di attenzione.

In questo momento sappiamo che il livello di guardia deve restare alto se non vogliamo spingerci fino al limite estremo che potrebbe comportare la decisione su chi lasciar vivere e chi lasciar morire. Su queste considerazioni è destinata ad impattarsi la rivendicazione sulla libertà per diritto costituzionale che con queste misure di protezione tra l’altro ben poco ha a che vedere. Sono ben certa che alla base della riflessione che ha condotto alla determinazione dei diritti costituzionali ci fossero intenzioni in favore della vita, della sua preservazione e della minore sofferenza. Che la Costituzione demandi oltre che ai cittadini allo Stato il compito di proteggere la vita è una conseguenza ovvia e deriva dagli stessi diritti che il cittadino si è democraticamente dato. Non avviliamo quindi questi diritti collocandoli su un baricentro che non appartiene loro. L’autodeterminazione va certo bene: ma solo se rispetta parametri di ragione e soprattutto se rispetta il contesto e l’altro. Vuol dire che non possiamo pensare solo a noi stessi.

Ma parliamo pure della ragione. Che certamente non è un diritto ma quell’istanza silenziosa, quella facoltà che sovrintende alle nostre decisioni ed azioni, percio` anche a quelle sull’uso della nostra libertà. La ragione che da sola certo puo’ anche partendo da false premesse giungere a falsi risultati. In merito a questa discussione, mi piace pero’ guardare alla ragione in senso aristotelico e cioè distinguendola – quale semplice ragione – dall’intelletto, al quale Aristotele assegnava la capacità di giungere, con l’ausilio dell’intuizione, alla verità. Mi piace anche, e questo certamente Aristotele non lo direbbe (mi sembra anzi che dica il contrario), associare l’intelletto intuitivo ai sentimenti, alla ragione del cuore. E forse proprio questa avremo bisogno nelle prossime settimane per fare cio’ che è giusto e buono per noi e per gli altri.


Nicoletta Noi-Togni

1 COMMENTO

  1. Concordo. Ma io sono molto più prosaico.

    La verità svelata è “l’aletheia”, presente fin da epoca remota nella filosofia naturale dell’antico mondo greco. Tuttavia, la verità di cui qui parliamo non richiede uno sforzo metafisico particolarmente impegnativo per essere riconosciuta. Basterebbe guardare le statistiche sui ricoveri in terapia intensiva ogni volta che abbassiamo la guardia, sul relativo andamento dei decessi e sull’affanno delle strutture sanitarie.
    Non serve Parmenide o Aristotele per capire. La maggior parte degli svizzeri dovrebbe dopotutto riuscirci, anche se l’aliquota di negazionisti un po’ indietro di cottura risulta purtoppo particolarmente nutrita.

    Com’è noto dai media, la Svizzera è emersa alla ribalta internazionale per la sua pessima strategia di controllo sul territorio, verosimilmente la peggiore d’Europa (personalmente lo sostengo da mesi). La nazione è oggi classificata come uno dei maggiori focolai di Covid-19 sull’intero globo terracqueo ed è stata varie volte ripresa dall’Oms. Un disastro storico tamponato parzialmente solo dalla capacità ricettiva della sanità. Ma quante vite di pazienti defedati, anziani e con comorbilità sono state sacrificate?

    La vera domanda in questo contesto è: come ha fatto Daniel Koch a rimanere in carica così tanto – quel Koch che ha minacciato le dimissioni più volte, perché era contrario alle restrizioni? Le conoscenze scientifiche man mano acquisite sono sempre risultate in opposizione alle sue tesi assurde e irresponsabili, ma lui è andato avanti imperterrito a relativizzare il pericolo, ovviamente concorrendo alla disinformazione generale. Evito per decenza di parlare della strategia sanitaria preventiva sul territorio locale della Regione Bernina; sarebbe come sparare sulla Croce Rossa.

    E come è stato possibile che il Consigliere federale Alain Berset per mesi interi abbia sostenuto “reagiremo proporzionalmente alla minaccia”? Questo ha dell’incredibile. Le epidemie sono notoriamente fenomeni più che proporzionali (esponenziali nelle fasi iniziali), quindi occorre prevenirle. Tentare invece d’inseguirle è a priori fallimentare, è segno di un’impreparazione e di una mancanza di buon senso intollerabili, che mettono a repentaglio la salute dei cittadini più fisiologicamente esposti.