Storie valposchiavine di (long) Covid, un’insidia poco conosciuta

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Dopo quasi due anni di pandemia, tutti noi abbiamo ormai fatto conoscenza con il Covid-19. Che sia stato di persona o che abbia riguardato gli amici o i parenti, che sia stato nella prima ondata o nelle successive, si può dire che si tratta di un virus che ci ha toccato, cambiando diversi aspetti della nostra vita anche a livello economico, sociale e relazionale.

Qualcuno ha avuto dei sintomi lievi ed altri sintomi severi, altri ancora hanno per loro fortuna avuto una malattia totalmente asintomatica. Dopo un certo tempo, però (eccetto alcuni fragili, per i quali il virus è stato fatale), i sintomi sono spariti, la positività ai test anche e tutto è tornato come prima… Tranne a livello sociale, ovviamente!

In realtà, non per tutti questo è stato il percorso completo. Talvolta, infatti, le persone sviluppano una sindrome, chiamata long Covid che reca diversi disturbi anche nei mesi successivi. Alcuni studi stimano che sino al 30% dei contagiati non vaccinati possa sviluppare questo genere di disagio. A volte si tratta di fastidi di piccola entità, altre volte invece di problemi più grandi o addirittura di una riduzione permanente della capacità polmonare.
Anche nella Valposchiavo non mancano questi casi. Grazie all’aiuto del loro medico, che ha segnalato a “Il Bernina” la disponibilità a un contatto, abbiamo chiesto a due persone che hanno sofferto di questi disturbi di parlarcene. Si è trattato più di una conversazione che di un’intervista, nella quale le due donne ci hanno parlato della inaspettata e a tratti difficile situazione nella quale si sono trovate.

Per volontà delle due intervistate, useremo soltanto un’iniziale, così da mantenerne l’anonimato.

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L. e S. sono due donne che hanno molte cose in comune: entrambe sui quarant’anni, sposate e madri di più figli, entrambe persone in buona salute che, prima del Covid, non avevano avuto alcun problema a livello fisico, anzi erano in ottima forma. Entrambe, infine, hanno contratto la malattia prima che un vaccino fosse disponibile. S. vive in Valposchiavo mentre L. vi lavora da tempo, ma risiede in Valtellina.

La prima a contrarre il Covid è stata proprio la lavoratrice frontaliera, durante la prima ondata.
“Allora – racconta – non si era capito un granché di questa malattia, non c’erano cure e non sapevamo bene cosa dovessimo fare. Un mese prima la sentivamo come una cosa lontana, soltanto in televisione, e poi è arrivata qui. Sono stata tra le prime sia in Valposchiavo che in Valtellina… Era tutto nuovo”. Con l’aggravante, all’inizio, di sentirsi una specie di “appestata”, con quasi un senso di colpa per essere stata una delle prime ad affrontare i disagi del Covid.
La malattia di L. all’inizio è piuttosto tosta con la febbre e colpisce anche l’apparato respiratorio, generando inoltre un senso di malessere, forte mal di ossa e spossatezza e colpendo anche il marito, mentre i figli, apparentemente, ne restano fuori.

Tuttavia, la donna è giovane e ha un fisico forte e dopo qualche tempo torna negativa e pensa, giustamente, di essere uscita dalla malattia. E invece…
“E invece no! Mi sono, per esempio, accorta che né io né mio marito sentivamo più i sapori, o li sentivamo in un modo completamente sballato. In realtà erano i miei figli che mi dicevano che quel che avevo cucinato era troppo salato o troppo poco. Anche l’olfatto risultava alterato”.
Ma ci sono anche altre conseguenze inaspettate. “Ancora a distanza di mesi, mi accorgevo di non essere a posto. La testa, alterazioni dell’olfatto e soprattutto delle strane reazioni all’attività fisica. Capitava, magari, di fare un pomeriggio in bicicletta ed arrivare a casa senza problemi, credendo che fosse passato tutto. Poi magari, un paio di giorni dopo, bastavano quattro passi per tornare a casa stanchissima, distrutta, come se avessi fatto chissà cosa”.

L. ha sofferto di questi sintomi per più di un anno, vedendoli poi progressivamente sparire.

L’esperienza di S. si sovrappone in parte a quella di L., anche se contrae la malattia in una delle ondate successive. “In realtà devo dire che noi ci siamo fatti una specie di Covid di famiglia in casa. All’inizio abbiamo provato a mantenere isolato chi era positivo e chi era negativo, ma con la gestione della casa e dei figli era impossibile.” Anche nel caso di S. “la malattia non è stata una passeggiata, anche se non ho avuto sintomi particolarmente forti. Però non mi aspettavo il dopo”.

Nei mesi successivi, S. si accorge di avere all’improvviso meno energie e di avere apparentemente una capacità polmonare un po’ ridotta: “Mi capitava magari che dei lavoretti che prima facevo senza problemi, che ne so, spalare la neve, mi causavano una grande stanchezza: dopo cinque minuti ero distrutta. Oppure andavo a camminare mezzoretta e mi trovavo all’improvviso con il fiatone. Non ero quella di prima, in poche parole”.

Con il passare dei mesi, i sintomi di L. sono quasi spariti e quelli di S. affievoliti: tuttavia, entrambe hanno dovuto passare all’incirca un anno prima di vedere la propria vita tornare davvero “come prima”. Entrambe si dicono fortunate, perché non ci sono state conseguenze gravi o invalidanti, ma in una cosa concordano: “Non è un’influenza, ne ho avute di influenze ma niente che lasciasse delle cose del genere per mesi, poi”, dice S. “Non è un’influenza, altro che influenza, io all’inizio ero anche un po’ impaurita e depressa! – le fa eco L. quando la sento al telefono – però una cosa la voglio proprio dire a tutti: vaccinatevi, è importante, avrete meno possibilità di sviluppare la malattia e di avere conseguenze a lungo termine. Lo avessi avuto io un vaccino prima lo avrei fatto più che volentieri! Ora io e tutta la mia famiglia siamo completamente vaccinati, io e mio marito anche con il booster. Mi piacerebbe che tanti che anche qui in Valposchiavo sono ancora indecisi o non vaccinati riflettano anche sulla mia esperienza e magari qualcuno cambierà idea”.
E non è solo un’impressione delle nostre due intervistate: secondo numerosi studi scientifici, tra cui uno pubblicato recentemente dalla prestigiosa rivista “Scientific American” (Le Scienze), la vaccinazione riduce fortemente la possibilità di contrarre il Long Covid.

Maurizio Zucchi
Collaboratore esterno

7 COMMENTI

  1. Cara Claudia

    non è una questione di “pungere sul vivo”: quello che Il Bernina intende fare, giorno dopo giorno, nel limite delle proprie risorse, con onestà intellettuale, è informare la nostra gente, ragionare su determinate situazioni, pubblicare storie di persone e di eventi di attualità. Non siamo in competizione con nessuno, e non si vuole in nessuna maniera imporre una ragione.

    Forse non è pertanto molto corretto volere spiegare tu al nostro staff redazionale quale è la maniera di fare informazione. Spesso è una questione di priorità, come quella di scrivere prima sulle vittime del Covid e quindi su quelle del long Covid. Il tema delle “vittime del vaccino” (io le chiamerei diversamente) non è trascurabile, ne siamo coscienti.

    Bruno Raselli

    • Con tutto il rispetto per te Bruno e per tutto lo staff de ilbernina, ma anche in senso più ampio per tutti i giornalisti: non mi trovo completamente d’accordo con la tua affermazione sulla maniera di fare informazione.
      Purtroppo, specialmente negli ultimi due anni, molti media non hanno certo brillato per la loro imparzialità. Sia da una parte che dall’altra, nel nome della libertà di informazione, la stessa è stata pilotata in una determinata direzione diventando quasi “disinformazione”. Ora che (almeno sembra) si vede la luce in fondo al tunnel pandemico, quegli stessi media (che fino a qualche mese fa inveivano contro NOVAX e altri simili mostri) cercano di ritrovare un tono più pacato (forse in vista delle prossime votazioni?).

      Come detto in apertura ribadisco il mio massimo rispetto per tutti i lavoratori di questa categoria e in modo particolare per tutto il gruppo de ilbernina che fa un lavoro straordinario per la nostra regione. GRAZIE.

    • Suvvia Bruno, non mi dire che mettete le finestrelle sotto gli articoli per permettere agli abbonati di scrivere i commenti e poi li bacchettate sulle mani se scrivono qualcosa che differisce dalla vostra linea!? Allora è vero che la libertà di opinione e di stampa è andata a farsi benedire con l’arrivo del Covid?! O si può sperare che ritorni la sana cultura del dibattito?

      Ho punto eccome sul vivo, se invece del giornalista che ha scritto l’articolo mi si sguinzagliano contro a mo’ di avvocati difensori un medico, un medico in pensione, nonché vicedirettrice del giornale, e infine poi anche il direttore.

      Se non siete in competizione con nessuno coglierete la mia proposta (che non è una spiegazione su come si fa informazione, ma si può intendere in questo modo se si è eccessivamente permalosi) in modo positivo e leggeremo dell’altra faccia della medaglia, delle vittime del vaccino, che tali sono! Delle vittime delle restrizioni, che abbondano nei reparti di psichiatria e negli uffici di collocamento. Dei disagi, sempre più frequenti e preoccupanti, dei giovani per colpa del distanziamento sociale e della società divisa da questi assurdi giochi di forza.

      Parli di priorità e secondo me i disagi da Long Covid non sono una priorità così importante quanto i disagi causati da tutto il resto, appunto l’altra faccia della medaglia, che da due anni viene sistematicamente ignorata e calpestata. Ma questa è la mia opinione, che penso non sia così blasfema da non poter essere espressa in questa sede e non meritare rispetto. Con questo non voglio dire che le vittime da Long Covid siano inesistenti o indegne di considerazione, perché tutte le creature hanno il diritto di essere considerate, sempre e indipendentemente dal colore, genere, religione, orientamento sessuale, età o stato vaccinale.

      Sembra che si voglia, a forza, tenere alto il livello di paura, informando in modo unilaterale, ma per raggiungere cosa? E qui parlo riferendomi alla stampa in generale. Come ho letto in un intervento sotto: non crederci non significa ancora che non esiste… vale anche per tutto il resto, non solo per il Long Covid!

      I lettori a questo punto della storia hanno bisogno di un messaggio di speranza, non di vedersi di nuovo zittire … (la verità poi verrà a galla, è questione di tempo).
      E voler far passare tutti per fessi, cioè voler far credere che solo una certa categoria di persone sappia veramente come stanno le cose, mentre gli altri devono tacere, mi sembra scorretto.

      Se ho scritto proponendo una svolta di tema è perché credo nella neutralità di questo giornale e spero di non essere delusa.

      Io sono responsabile di quello che scrivo, non di come si vogliono capire le mie parole.

      Claudia Lardi Menghini

  2. Noto che ho punto sul vivo…
    Sono lieta di leggere che vi stiano a cuore le persone colpite da Long Covid, e oso sperare che vi stiano a cuore anche le persone lesionate dal vaccino.
    Infatti non vedo l’ora di leggere sul vostro giornale le testimonianze delle vittime del vaccino, che sono anche presenti in Valle e che i medici in Valle sicuramente potranno pure intervistare.
    Del resto se si vuole fare informazione, di regola si mettono le due facce della medaglia, sennò che informazione è?
    In questi ultimi due anni invece si sono sentite troppo poco le voci delle persone che purtroppo per una patologia o l’altra non possono portare la mascherina o che non possono inocularsi il vaccino, gente esclusa, segregata, additata e maltrattata.
    La vera tristezza e il vero dramma di tutta questa storia è voler convincere a forza chi, per un motivo o l’altro, non può.
    Claudia Lardi Menghini

  3. Dopo la lettura del buon articolo di Zucchi e del commento cerco di rispondere alle domande della signora Claudia Lardi Menghini. Lo scopo della mia replica è quello di esporre alcune attuali evidenze scientifiche, affinchè le persone razionali possano trarre le loro conclusioni. Inoltre le molte persone sofferenti di Long Covid meritano rispetto, comprensione e sostegno.

    Per avere le fonti degli studi citati basta digitare su Google il termine «Long Covid» e si potranno leggere centinaia di articoli scientifici gratis.

    Il termine Long Covid descrive gli effetti a lungo termine della malattia da Coronavirus. Le persone colpite da Long Covid soffrono di più sintomi, non presenti prima della malattia, a distanza di mesi dall’infezione. Tra i sintomi più comuni ci sono affaticamento, mancanza di respiro, mal di testa, perdita del gusto e dell’olfatto, disturbi mentali e cognitivi (come depressione, brain fog, disturbi dell’equilibrio), nausea, febbricola ecc..

    Cito solo tre articoli riguardanti la Svizzera. Uno studio dell’Università di Zurigo ha calcolato che il 26% degli adulti colpiti da Covid-19 soffrono dopo più di mezzo anno dall`infezione acuta di sintomi da Long Covid (doi.org/10.1371/journal.pone.0254523), uno studio dell’Università di Ginevra arriva al 39% (doi:10.7326/M21-0878).

    Nel caso dei pazienti dimessi dall`ospedale i risultati sono ancora più drammatici. Il 70% di questi pazienti presenta sintomi da Long Covid dopo più di un anno, come dimostra uno studio dell`Università di Basilea (doi:10.4414/SMW.w30091).

    Inoltre, come ben evidenziato nell`articolo, la vaccinazione completa riduce notevolmente il rischio di Long Covid. (Cito solo uno studio israeliano, doi.org/10.1101/2022.01.05.22268800).

    Dott. med. Gianfranco Zala

  4. Rispondo a questo commento come membro della direzione de ilBernina e anche come medico.

    Il termine Long COVID , creato inizialmente dai pazienti stessi, è ormai un termine indicante una sindrome riconosciuta dalla letteratura scientifica, Il nostro giornale, proprio nell’idea di rimanere concreto, ha voluto intervistare persone che ne soffrono o ne hanno sofferto. Nel rispetto della privacy, il loro medico curante, dopo averle contattate e informate del nostro intento, ha segnalato al Bernina la loro disponibilitá ad un contatto. Definire ora queste testimonianze “gonfiate artificialmente” per secondi fini è lesivo e offensivo per chi ha deciso di raccontarsi e per chi ha raccolto scrupolosamente l’intervista.

    Dopo due anni di pandemia la realtà della sindrome da long COVID è ancora in fase di studio, ma é una realtà.
    L’incidenza di questa diagnosi varia negli studi a dipendenza del periodo di follow up e della tipologia di pazienti indagati ( sesso,età, stato di salute, vaccinati, non vaccinati….) ma la stima riportata di un 30% è una cifra verificabile su riviste scientifiche ( the Lancet, British medical journal, Annals of internal medicine, Le Scienze)

    Per concludere vorrei ancora sottolineare che proporre ai nostri lettori queste testimonianze non cambia di una virgola l’incidenza statistica di questa patologia. Il long COVID è una realtà: non crederci non significa ancora che non esiste.

    Serena Bonetti

  5. Citazione: “Alcuni studi stimano che sino al 30% dei contagiati non vaccinati possano sviluppare questo genere di disturbo.(inteso Long Covid)”
    Gradirei sapere la fonte di “questi” studi…. per verificarne l’attendibilità, e gradirei pure sapere quanti sarebbero questi “alcuni” studi.
    In mancanza di queste informazioni, alquanto rilevanti per farsi un’idea sulla veridicità di “alcuni” racconti, consiglierei di lasciar perdere di pubblicare testimonianze gonfiate artificialmente con l’intento di convincere i pochi intatti rimasti a inocularsi la pozione tanto miracolosa quanto colma di false promesse!
    Tanta salute a tutti 🤍