Educare alla pace

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Allendesalazar Street, CC BY-SA 3.0 , via Wikimedia Commons

Era appena cominciata la guerra quando una notte, in un’ora di solito abitata dal silenzio, le campane del convento hanno iniziato a suonare. Un suono deciso, insistente, durato diversi minuti. Mi sono affacciata alla finestra, fuori tutto era quieto, la gente dormiva. Mi hanno poi spiegato che quelle campane annunciavano l’inizio della Quaresima (come ogni anno d’altronde, ma davvero non lo sapevo!).

Sta di fatto che in piena notte, quel suono qualche pensiero l’ha scatenato. Così ho pensato a quando erano le campane ad annunciare disgrazie e pericoli nei paesi. Annunciavano il fuoco, per esempio e considerando il numero di giornate che stiamo passando senza pioggia, il pensiero era persino credibile.  Poi ho pensato alla guerra che sta succedendo poco distante da noi. Ho pensato a tutte le ovvietà che ci fanno stare tranquilli, al tetto sopra la testa, al riscaldamento che funziona, alla posta che arriverà domani mattina, alla luce che posso accendere in ogni momento, ai sogni dei nostri figli…

So che non è scrivendo i miei pensieri in fuga che fermerò una guerra, ma sento il bisogno di difendere a parole la pace, di credere che esiste una forma di educazione alla pace.

Putin è un pazzo? Un dittatore? Una persona malata? Non lo so, ma mi chiedo chi lo ha fatto crescere, che valori gli sono mancati, che bambino è stato, che mamma, che papà avrà avuto. Gli avranno insegnato da piccolo a perdere, ad abbracciare, a consolare, a condividere? Si sarà mai commosso ascoltando Mozart?

Forse è per questo che credo nella cultura, perché la cultura veicola voglia di costruire, non di sottrarre, voglia di bellezza e poesia, non di competizione, sentimenti di uguaglianza non di sottomissione, capacità di sognare, non strategie di vittoria.

Tra le tante, desolanti e drammatiche scene che i media da un mese ormai quotidianamente ci mostrano, con palazzi squartati o rasi al suolo, carcasse di automezzi ancora fumanti, gente smarrita che fugge o che scava tra le macerie, sirene che feriscono il cielo, un video mi ha particolarmente commosso: su una scalinata nei sotterranei di una metropolitana, un gruppo di suonatori d’archi regalava musica alle tante persone rifugiate lì sotto. Proviamo ad immaginare: donne, bambini, anziani, spaventati, costretti al buio e dentro un’aria malsana, ridotti a vivere come talpe…ma quella musica ridava loro la dignità e il coraggio di sentirsi e riconoscersi ancora esseri umani. Quei giovani musicisti su quella scalinata, non hanno abbracciato un’arma, ma tenuto stretto e in salvo il loro violino, portatore di un messaggio universale.

Quando tutto attorno a te si disintegra e sparisce, quando anche trovare acqua e cibo diventa un problema, una musica d’archi non è inutile, ti aiuta a tenere duro con dignità.

Il Consiglio dell’Unione Europea, nato per promuovere diritti umani e un’identità culturale europea, ha sentito la necessità ad un certo momento di munirsi di un inno europeo. Sapete che musica ha scelto? L’inno alla gioia, l’ultimo movimento della Nona sinfonia di Beethoven. E affinché quel linguaggio musicale risultasse davvero trasversale e universale, l’hanno spogliato delle parole, tenendo solo la musica. Un inno alla gioia, non alle armi!

E ora invece, in nome della pace, si parla di riarmo, di militarizzare maggiormente l’Europa, ma sarà dall’arte, dalla musica e dalla letteratura, che potrà ripartire una ricostruzione. Perché più di qualsiasi vittoria o sconfitta e più di qualsiasi arma, sarà l’arte in tutte le sue manifestazioni a ricordarci che l’uomo porta dentro di sé anche cose buone da non sprecare.

Non vince e non perde la cultura, ma di sicuro può aiutare ad educare i popoli alla pace.

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