Leonhardt straordinario; poco pubblico, purtroppo
Leggendario organista, clavicembalista e direttore d’orchestra. Così canta la prima “strofa” del curriculum di Gustav Leonhardt, che si é esibito martedì scorso sull’organo Metzler (1978) della Chiesa evangelica riformata di Poschiavo. Esagerazione? Montatura pubblicitaria?
Certo che no. L’aggettivo “leggendario” è invece assai appropriato, perchè riferito ad un artista che è molto più di un pezzo di storia della musica del secondo Novecento, cioè un riferimento imprescindibile per l’estetica e la storia dell’interpretazione – soprattutto barocca – ancora oggi. Filologia, strumenti originali, ricostruzioni storiche, sono argomenti scontati, che fanno parte oramai del patrimonio di qualsiasi musicista, critico o musicologo.
Quando Leonhardt cominciò la sua carriera, all’inizio degli anni ’50, tutto ciò era fantascienza, soprattutto nei Paesi mediterranei. La ricerca cosiddetta musicologica allora si permetteva di “correggere” i grandi autori antichi, considerati ingenuamente antiquati, e di riproporli secondo categorie interpretative di molto posteriori. Leonhardt, con i suoi studi sulle fonti autografe, con le sue interpretazioni come solista o come direttore d’orchestra, contribuì in misura decisiva alla creazione di una new wave del concertismo, una rivoluzione copernicana che ha poi portato il compositore al centro del discorso musicale, costringendo gli interpreti a documentarsi profondamente sugli autori da eseguire. Da allora non è stato più possibile eseguire Bach senza conoscere la prassi dell’epoca, gli strumenti sui quali suonava, la cultura e la società coeve, i suoi vari interessi culturali (filologia classica, teologia, astronomia, matematica): e tutti questi studi non hanno avuto una funzione di semplice complemento, ma hanno portato alla scoperta del simbolismo nelle opere bachiane, della costruzione retorica, della “sectio aurea”.
Ma il concerto di martedì ha evidenziato ancora più che Leonhardt è, ed è stato, soprattutto un grandissimo, finissimo musicista. Le composizioni di Sweelinck, Scheidemann, Kerll, Pachelbel, Fisher, Muffat e naturalmente Bach, hanno regalato al pubblico presente momenti di sublime poesia, evidenziando le qualità timbriche di uno dei più sensazionali organi del territorio, fortemente voluto, a metà degli anni Settanta, dall’allora organista della Chiesa evangelica Colette Hasler.
Le dita del maestro olandese scorrevano raggianti sulle tastiere, intrecciando polifonie raccontate con sapienza e raffinata eloquenza. Ma è nelle composizioni in stile variato che Leonhardt sa tirare fuori tutte le sue doti da autentico fuoriclasse. Nei preziosi giochi di tocchi delle partite riscontriamo sempre la capacità di scolpire nettamente ciascun profilo fraseologico, con un senso del divertissement che sa di colto intrattenimento, intellettualmente elevato. In Kerll, Pachelbel e Muffat si scorge una particolare predilezione per la dialettica tra diverse masse sonore, un discorso poggiato su monumentali concatenazioni accordali, soppesate con un senso nitido degli attriti, che vanno per esempio a comporre quel sublime “planctus” che è la Toccata “durezze e ligature” di Kerll. Masse che poi si frangono con energica risolutezza, generando lampi scintillanti nella Toccata prima di Muffat.
Senza parole l’esecuzione dei brani di Bach, con quel “Liebster Jesu, wir sind hier” il cui canto penetrante, intagliato con una perizia unica, rimarrà inciso, come su di una platonica tavola di cera, nella nostra memoria (anima) per molto tempo.
Il pubblico, unica nota dolente e chiesa mezza vuota. Si deve dedurre che eventi del genere, nonostante la vasta diffusione pubblicitaria, difficilmente possano attirare il grande pubblico. Soprattutto se continuerà a mancare una vera volontà di coordinamento tra le varie Associazioni, scolastiche e culturali, che oltretutto si ingegnano per concepire una assurda, controproducente, sovrapposizione di diversi eventi, quasi a fregarsi reciprocamente un virtuale “share”. Peccato che questa, però, non è la televisione.
Redatto da Matteo Luigi Piricò – matteo.pirico@tiscali.it