“Meduse” ha aperto la rassegna invernale de “I film di Devon House”

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Con il film Meduse (Meduzot il titolo originale) si è aperta giovedì sera la piccola, ma molto interessante rassegna invernale dei film di Devon House. La pellicola israeliana, dei registi Edgar Keret e Shira Geffen, rientra nel tema scelto per la rassegna, ovvero quello del matrimonio in una nazione molto giovane e piena di contraddizioni qual è appunto Israele.

Non penso sia stata una scelta casuale proporre questo film per aprire la rassegna, dal momento che sì, affronta il tema del matrimonio, ma più in generale tratta dei rapporti umani: dunque si parla di matrimoni all’israeliana – questo il titolo della rassegna, che richiama il più ben noto film di De Sica Matrimonio all’italiana –, ma si entra nel tema a piccoli passi e quasi facendo un percorso alla lontana per poterlo osservare da ogni punto di vista, mano a mano che si vedranno gli altri film e si giungerà al cuore della questione.

Il concetto principale su cui si basa tutta la trama è che nessuno si salva da solo.
Il film, infatti, segue le vicende di tre personaggi femminili, costruiti in modo tale che una sia legata all’altra anche senza che le tre protagoniste abbiano qualcosa in comune o che si incrocino (se non in modo del tutto casuale) nel corso della storia.

Batya, cameriera senza ambizione che lavora ai ricevimenti nozze, è stata appena lasciata dal compagno e vive in un appartamento sgangherato ma il cui affitto aumenta sempre più; ad uno dei ricevimenti in cui Batya presta servizio, vediamo Keren: sposa novella e radiosa nella celebrazione di quello che lei pensa essere il giorno più bello della sua vita. Quando però la sposa si ritrova chiusa in bagno e non riesce ad aprire la porta, nel tentativo di uscire da sopra, cade e si rompe una gamba; fatto che costringe la giovane coppia a rimandare la luna di miele ai Caraibi per godersi un soggiorno (piuttosto scomodo) in un albergo di Tel Aviv con vista sul mare. Altra cameriera, a modo suo, è il terzo personaggio: Joy, filippina immigrata in Israele per lavorare come badante. Troverà lavoro da una signora di origine tedesca con cui farà fatica a comunicare a parole; ma con i gesti che una compie verso l’altra e viceversa, le due donne riusciranno a trovare un punto in comune e a non sentirsi più sole.

Il mare è un elemento che lega le tre donne: come meduse, infatti, galleggiano in balia delle onde della vita. Non è scontata la scelta di questo animale per il titolo del film: le meduse sono creature che impongono, con il loro movimento, una direzione a sé stesse ben più labile della forza della corrente che le trascina. Allo stesso modo le protagoniste cercano in qualche modo di darsi una direzione, ma gli eventi le travolgono e le sospingono come la corrente del mare, e possono solo sperare di non finire spiaggiate. Sembrerebbe una prospettiva piuttosto cupa, se tuttavia non ci fossero altri personaggi che intervengono nella trama ad aiutarle a “non spiaggiarsi”; se – soprattutto – non ci fosse il modo poetico con cui tutto questo ci viene raccontato. Per quanto la trama di per sé potrebbe suscitare una certa malinconia nello spettatore, questa viene addolcita con scelte di regia e di sceneggiatura molto originali, e arricchita dalla bravura e professionalità di tutto il cast.

Il prossimo appuntamento con la rassegna invernale de “I film di Devon House” è previsto per domenica 29 gennaio alle 20:30 con Yom Yom di Amos Gitai, sicuramente un’altra pellicola che non deluderà le aspettative di questa rassegna.