Il messaggio della Pentecoste

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Giovanni 3,1-8 e Giovanni 14,15-26
Sermone del 19 maggio 2024

C’era tra i farisei un uomo, chiamato Nicodemo, uno dei capi dei Giudei. Egli venne di notte a Gesù e gli disse: “Maestro, noi sappiamo che tu sei un dottore venuto da Dio, perché nessuno può fare questi miracoli che tu fai, se Dio non è con lui”. Gesù gli rispose dicendo: “In verità, in verità io ti dico che se uno non è nato di nuovo, non può vedere il regno di Dio”. Nicodemo gli disse: “Come può un uomo nascere quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e nascere?”. Gesù rispose: “In verità, in verità io ti dico che, se uno non è nato d’acqua e di Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quello che è nato dalla carne è carne e quello che è nato dallo Spirito è spirito. Non ti meravigliare se ti ho detto: ‘Bisogna che nasciate di nuovo’. Il vento soffia dove vuole e tu ne odi il rumore, ma non sai né da dove viene né dove va; così è di chiunque è nato dallo Spirito”. (Giovanni 3,1-8)

“Se voi mi amate, osserverete i miei comandamenti.  Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore, perché stia con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché dimora con voi, e sarà in voi.  Non vi lascerò orfani; tornerò a voi.  Ancora un po’ e il mondo non mi vedrà più, ma voi mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. “Se uno mi ama, osserverà la mia parola; e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e faremo dimora presso di lui. Chi non mi ama non osserva le mie parole e la parola che voi udite non è mia, ma è del Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste cose stando ancora con voi; ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto quello che vi ho detto.
(Giovanni 14,15-26)

Poco prima di morire sulla croce, Gesù ha lanciato un grido: “È compiuto!” (Giovanni 19,30). Tre giorni dopo, Gesù è risorto. Qualche giorno più tardi, è asceso al cielo. Con la morte, la risurrezione e l’ascensione di Gesù, si potrebbe pensare che tutto sia concluso, completato: completata la rivelazione di Dio, completata l’opera della salvezza, completata la manifestazione della grazia e della verità in Gesù Cristo. Si potrebbe pensare che non manchi più nulla.

Eppure – ci dicono i Vangeli e ci dice il libro degli Atti degli Apostoli – è come se tutto dovesse ancora cominciare. Tra il Venerdì Santo e l’Ascensione, tutto è accaduto. Ma è come se tutto dovesse ancora accadere. E che cosa deve accadere? Deve accadere una nuova manifestazione di Dio: Dio si rivela come Spirito. Questo è il messaggio, questa è la grande e bella notizia di Pentecoste: Dio è Spirito!

Gesù l’aveva già detto, alla samaritana: “Dio è Spirito, e quelli che lo adorano bisogna che lo adorino in Spirito e verità” (Giovanni 4,24), proprio come sta scritto sulla parete della chiesa riformata di Brusio. Dio è Spirito! Nella creazione, Dio si era manifestato come Padre, nell’opera di redenzione, come Figlio. Ora, a Pentecoste, si manifesta come Spirito.

Perché quest’ultima manifestazione come Spirito? Perché era necessario che sapessimo che Dio non è solo Padre, né solo Figlio, ma anche Spirito? Perché è come Spirito che Dio entra dentro di noi.

Il Padre è Dio sopra di noi, il Figlio è Dio per noi e con noi, lo Spirito è Dio dentro di noi. Questo è il significato dell’affermazione: “Dio è Spirito”: che Dio non si accontenta di stare fuori, ma vuole entrare dentro. Come dice Gesù ai discepoli: “Se uno mi ama osserverà la mia parola e il padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora dentro di lui” (Giovanni 14,23).

La grande sorpresa di Pentecoste, la notizia inaudita, l’avvenimento stupefacente, non è il parlare in lingue. No, la meraviglia di Pentecoste è che colui che i cieli e i cieli dei cieli non possono contenere (1 Re 8,27) – secondo la definizione che re Salomone diede di Dio – può farsi tanto piccolo da trovare posto nel nostro piccolo cuore. Come dice Martin Lutero: “Nulla è così grande che Dio non sia ancora più grande; nulla è così piccolo che Dio non sia ancora più piccolo”.

I credenti lo sanno: noi abitiamo in Dio. Lo dice in modo chiarissimo l’apostolo Paolo (Atti 17,28): “In lui viviamo, ci muoviamo e siamo”.

Ma a Pentecoste le cose si rovesciano, la relazione si capovolge. A Pentecoste è Dio che viene ad abitare in noi. È ancora l’apostolo Paolo a parlare e a chiedere: “Non sapete voi che siete il tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?” (1 Corinzi 3,16). Se abbiamo capito questo, allora possiamo riprendere il messaggio di Pentecoste ed esprimerlo in modo più preciso: Dio non sta solo fuori, sopra, accanto, vicino, in mezzo, ma sta dentro. È per questo che si è manifestato come Spirito.

Molte persone, oggi, cercano Dio soprattutto fuori: nella natura, nelle opere del creato, nei boschi, sulle montagne, nelle albe e nei tramonti; oppure in determinati fenomeni storici – i cosiddetti “segni dei tempi” – (vediamo tracce di Dio nell’opera di Martin Luther King, o di Nelson Mandela, o di Gandhi); oppure cerchiamo Dio nel prossimo, e in particolare nel prossimo che soffre, nei profughi, nei rifugiati, nei poveri, negli ultimi. Tutto giusto, tutto evangelico. Ma non dimentichiamo che Dio abita volentieri dentro ciascuno e ciascuna di noi.

Dio “è nel segreto” (Matteo 6,6) e perciò dev’essere cercato anche dentro di noi. Questa è la lezione di Pentecoste: non cercare Dio solo fuori, ma anche dentro.

Ma perché Dio vuole entrare dentro di noi e non si accontenta di restare fuori? Perché vuole portare dentro di noi quella salvezza che è avvenuta fuori di noi, nella storia di Israele e in quella di Gesù, nella sua vita, morte e risurrezione. Tutto è avvenuto fuori, ma ora deve entrare dentro perché diventi nostra storia personale, perché operi concretamente nella nostra vita, nella nostra intelligenza, nella nostra anima. Questa è l’opera di Dio come Spirito: portare dentro, nella profondità del nostro cuore, la parola, la grazia, la luce, la consolazione, la pace di Dio. In una parola: portare dentro di noi Cristo stesso, affinché Cristo viva in noi. Come dice l’apostolo Paolo: “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me” (Galati 2,20).

Questo è il messaggio di Pentecoste. Ma non è l’unico. Ce ne sono altri. Dio come Spirito vuol dire certamente tante cose. Nel racconto dell’incontro tra Gesù e Nicodemo (Giovanni 3,1-8), ad esempio, lo Spirito di Dio è paragonato al vento. “Il vento soffia dove vuole e tu ne odi il rumore, ma non sai né da dove viene né dove va”. Per parlare dello Spirito, Gesù ricorre alla metafora del vento, che è inafferrabile.

Che cosa ci suggerisce quella metafora? Che Dio, come il vento, non lo puoi afferrare, non lo puoi incamerare, accaparrare, privatizzare, non te ne puoi impossessare, né imprigionare nei tuoi pensieri, nelle tue esperienze, nella tua teologia, nei tuoi santuari, nei tuoi culti, nella tua religione, e nemmeno nella tua cultura. Dio come vento che soffia dove vuole, vuol dire che Dio è libero. Quel Dio che a Pentecoste vuole entrare dentro di te è un Dio di libertà e un Dio liberante. Un Dio che, essendo libero, dove arriva e dove entra porta libertà.

Pastore Paolo Tognina