Muri da abbattere

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Giovanni 12,20-25.32, Efesini 2,13-15.17
Sermone del 16 giugno 2024

Fra quelli che erano andati a Gerusalemme per la festa c’erano alcuni greci. Essi si avvicinarono a Filippo (che era di Betsàida, città della Galilea) e gli dissero: ‘Signore, vogliamo conoscere Gesù’.
Filippo lo disse ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose: ‘L’ora è venuta. Il Figlio dell’uomo sta per essere innalzato alla gloria. Se il seme di frumento non finisce sottoterra e non muore, non porta frutto. Se muore, invece, porta molto frutto. Ve l’assicuro. Chi ama la propria vita la perderà. Chi è pronto a perdere la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. [Gesù parlò ancora e disse]: ‘Quando sarò innalzato dalla terra, attirerò a me tutti gli uomini’”
(Giovanni 12,20-25.32)

Uniti a Cristo Gesù per mezzo della sua morte, voi, che eravate lontani, siete diventati vicini. Infatti, Cristo è la nostra pace: egli ha fatto diventare un unico popolo i pagani e gli Ebrei; egli ha demolito quel muro che li separava e li rendeva nemici. Infatti, sacrificando sé stesso, ha abolito la Legge giudaica con tutti i regolamenti e le proibizioni. Così, ha creato un popolo nuovo, e ha portato la pace fra loro. […] Egli è venuto ad annunziare il messaggio di pace: pace a voi che eravate lontani e pace a quelli che erano vicini (Efesini 2,13-15.17)

Il nostro mondo costruisce continuamente separazioni e non condivisioni. È un mondo con persone e popoli divisi, tra coloro che appartengono al “mio” mondo e gli “altri”; un mondo nel quale si afferma la necessaria divisione per consentire una coesistenza pacifica. Si afferma con grande chiarezza che, per il bene di tutti, “ognuno stia a casa propria”. E questo accade nei nostri giorni, non è un ricordo del passato.

Quando esplode in modo tragico il fenomeno migratorio si chiede di operare una scelta molto chiara: ogni popolo deve stare a casa propria così non vi saranno tutti i grandi problemi che affliggono i paesi europei. Si invoca, e si costruisce, il muro e non il ponte tra i popoli.

E di muri, in questo nostro mondo, ce ne sono molti. C’è il muro che separa la Corea del Nord dalla Corea del Sud: un sistema di reticolati, torrette di guardia e muri che tagliano in due la penisola coreana. C’è il muro che separa Israele dai territori palestinesi. C’è la barriera che la Turchia ha costruito per impedire l’afflusso di profughi siriani. C’è il muro che il governo americano ha costruito lungo il confine con il Messico per fermare l’immigrazione dal Sudamerica. C’è il muro che l’Ungheria ha costruito per sbarrare il passo ai profughi provenienti dai Balcani.

A dire il vero, l’intera storia umana potrebbe essere raccontata come storia di costruzione di muri. Dai “limes” romani al vallo di Adriano, dalla Grande muraglia cinese al Danevirke danese, dal muro difensivo costruito dai francesi in Algeria al Muro di Berlino.

Anche la storia del cristianesimo ha sviluppato l’immagine di una cittadella fortificata, chiusa dietro un’alta cinta muraria: le raffigurazioni antiche del paradiso – quello celeste, ma anche il giardino dell’Eden – mostrano infatti sempre alte mura difensive, provviste di merli e porte fortificate.

Il muro non è solo una realtà fisica, è anche un simbolo. Simbolo di separazione, di chiusura, di esclusione. Simbolo di paura. Dice che il mondo è diviso tra un dentro – ritenuto sicuro e amico – e un fuori – temuto perché considerato pericoloso e nemico.

Dentro c’è tranquillità, benessere e vita; fuori c’è miseria, violenza e morte. E chi sta dentro non vuole avere nessuno scambio, nessun dialogo con chi sta fuori.

Anche nel linguaggio quotidiano ricorre l’immagine inquietante del muro: si dice “parlare al muro” per intendere che non si trova nessun interlocutore; si dice “sbattere la testa contro il muro”, quando si vuole esprimere la propria disperazione; si dice “urtare contro il muro”, quando non si trova nessuna soluzione; e chi viene punito è messo “con la faccia contro il muro”.

La storia dell’umanità potrebbe però anche essere scritta come fallimento di tutti quei progetti di separazione: non uno di quei muri è servito allo scopo per il quale è stato eretto. Nessuna invasione è stata fermata, o anche solo contenuta, da quelle barriere. Tuttavia, a giudicare dall’attività nel settore dell’edificazione di muri, bisogna purtroppo dedurre che c’è chi continua a credere che i muri siano efficaci.

La Bibbia conosce un’immagine che presenta una visione diversa del rapporto con i muri: è l’immagine di Gesù Cristo, colui che “ha demolito quel muro che li separava e li rendeva nemici”, che ha abbattuto ogni muro di separazione tra i popoli, che “attira tutti a sé”. L’evangelo consiste nella potenza che abbatte i muri, che contrasta lo spirito di separazione e di esclusione, che scaccia la paura. “Abbattere i muri” è perciò la grande parola evangelica portatrice di speranza.

Pastore Paolo Tognina