Marco 4,35-41
Sermone del 9 febbraio 2025
La sera di quello stesso giorno Gesù disse ai suoi discepoli: “Andiamo all’altra riva del lago”. Essi lasciarono la folla e portarono Gesù con la barca nella quale già si trovava. Anche altre barche lo accompagnarono.
A un certo punto il vento si mise a soffiare con tale violenza che le onde si rovesciavano dentro la barca, e questa già si riempiva d’acqua. Gesù intanto dormiva in fondo alla barca, la testa appoggiata su un cuscino. Allora gli altri lo svegliarono e gli dissero: “Maestro, affondiamo! Non te ne importa nulla?”. Egli si svegliò, sgridò il vento e disse all’acqua del lago: “Fa’ silenzio! Càlmati!”. Allora il vento si fermò e ci fu una grande calma. Poi Gesù disse ai suoi discepoli: “Perché avete tanta paura? Non avete ancora fede?”. Essi però si spaventarono molto e dicevano tra loro: “Chi è dunque costui? Anche il vento e le onde del lago gli ubbidiscono!” (Marco 4,35-41)
I discepoli vivono la paura e l’angoscia di essere sommersi: la tempesta che si abbatte su di loro, in mezzo al lago, è immagine della morte, del nonsenso, dell’alienazione sociale, dello scivolare, dell’essere inghiottiti in un gorgo.
Per Gesù la fede è il contrario della paura.
I discepoli hanno paura: la paura è la conseguenza di un senso di insicurezza e di impotenza, la paura è il contrario della fede.
La fede qui non è intesa come un atteggiamento religioso: avere fede vuol dire sentirsi al sicuro, è la fede intesa come fiducia, serenità, assenza di angoscia, di preoccupazione.
A volte è proprio la paura che suscita l’aggressione di cui si è oggetto: il cane si mostra minaccioso e aggressivo perché percepisce la nostra paura. Anche il mare cesserebbe di apparire minaccioso, se solo i discepoli non lo temessero. La fede è un atteggiamento che permette di camminare sulle acque, cioè di non lasciarsi travolgere dalle difficoltà, ma di resistere ad esse, di dominarle.
La psicanalisi ci insegna che di fronte a un problema ci possono essere tre atteggiamenti: c’è chi si pone sul piano dei principi, della morale, operando come un genitore; c’è invece chi affronta il problema con soluzioni pratiche, pragmatiche: è un atteggiamento adulto; infine, c’è chi si lamenta, o si ribella, lancia accuse e pone le cose su un piano affettivo, in un atteggiamento infantile.
A questo terzo tipo di reazione appartiene il modo di agire dei discepoli che cercano di far ricadere su Gesù la responsabilità di ciò che succede. “Maestro, affondiamo! Non te ne importa nulla?”, gli dicono, rimproverandogli di non avere paura e di non essere solidale con il gruppo.
Nelle situazioni di crisi si tende a cercare un capro espiatorio da eliminare, una vittima su cui riversare la propria paura e il proprio odio.
La paura rende violenti, come dimostra il celebre episodio biblico di Giona, dove i marinai prendono il profeta e lo scaraventano in mare per placare la tempesta.
La paura rende violenti, come dimostrano tante crisi contemporanee che finiscono per indicare nello straniero, nell’emarginato, nel nemico o nel diverso l’origine di ogni male.
Con il suo atteggiamento in mezzo alla tempesta, Gesù esprime pace e fiducia. Dormendo, mostra di avere piena fiducia nella sovranità di Dio. Alzandosi e affrontando serenamente gli elementi scatenati, riporta pace intorno a sé. Il suo è un comportamento adulto: affronta con coraggio la situazione e la risolve.
Una fede adulta si distingue per questo: essa domina il mondo perché riconosce che il mondo è nelle mani di Dio.
Gesù minaccia e sgrida il male e lo fa tacere. Poi rimprovera i discepoli per non averlo fatto essi stessi: per non avere agito, cioè, secondo la loro vocazione a dominare il mondo e ad allontanare il male.
La missione di Gesù consiste in questo: nel rivolgere un appello agli uomini e alle donne perché esercitino in prima persona la vocazione a dominare il male, a smontare il meccanismo della violenza contro il capro espiatorio. Per assumere un atteggiamento adulto, autonomo e responsabile contro il male allo scopo di non esserne più dominati, bensì di liberarsene.
Pastore Paolo Tognina