L’opinione di Roberto Weitnauer
La storia infinita, si direbbe. Alludo a M13, il temuto inquilino della Valposchiavo. Per la verità, molti di noi temono ormai più le relative polemiche che non l’orso stesso.
Ma se l’ostica faccenda si trascina alle porte dell’inverno non è perché gli orsi non vanno propriamente in letargo; è invece perché ancora minime sono le spiegazioni ufficiali che, con buona pace di tutti, dovrebbero contenerla.
Non mi occupo di zoologia o di etologia, né ho competenze nella pratica dell’allevamento; lungi quindi da me l’intenzione di mettere il becco in questioni che non conosco. Ho però una minima dimestichezza con la biologia evoluzionistica e con la teoria dei sistemi. Quest’ultima ha concorso nei decenni a delineare cosa sia un “ecosistema”, un termine che viene continuamente citato con riferimento a M13.
“Sistema” viene dal greco “sýn-stêma”, nel significato di parti che “stanno insieme” tramite delle relazioni. L’approccio della suddetta teoria consiste nella ricerca di un modello semplificato che descriva appunto quelle relazioni, nel nostro caso il rapporto di M13 con quanto lo circonda. Descrivere non significa ancora prevedere, ma per risolvere un problema occorre dapprima porlo bene.
In una recente intervista pubblicata su “Il Grigione Italiano” l’ingegnere agronomo Charles Rossetti ha dichiarato che la questione sostanziale non verte sulla sopravvivenza dell’uomo o dell’orso, bensì di entrambi. Mi trovo d’accordo con l’ingegnere, giacché presenta la problematica nei citati termini sistemici e relazionali. Rossetti elenca infatti una serie di modelli ben rodati di convivenza con predatori, di condivisione delle risorse e di stima del pericolo.
L’applicazione di un modello ad hoc per la regione del Bernina è precisamente quanto aiuterebbe le autorità a valutare nel tempo l’integrazione di M13. Per quanto i processi ecologici trascendano ampiamente la somma delle loro parti, l’approccio sistemico resta fondamentale, anche alla luce del quadro normativo.
L’articolo 22 della Convenzione Internazionale di Berna del 1979 (in vigore dal 1982) protegge la vita selvatica, e dunque l’orso. La Convenzione fa in aggiunta esplicito riferimento alla conservazione dello spazio vitale in cui le specie selvatiche sono presenti. Come dire che non solo non si può allontanare o sopprimere M13 (a meno che non diventi pericoloso), ma che occorre adoperarsi per non inimicargli l’ambiente.
Volendo, le leggi si cambiano, ma certo l’impresa non è facile, salvo mobilitazioni ingenti. Sulla revisione del trattato il Consiglio Federale si è già pronunciato negativamente due anni fa e due mesi fa ha espresso il suo scetticismo anche l’Ue. I Comuni e i Cantoni hanno quindi le mani legate relativamente agli interventi drastici su M13, il che sembrerebbe sulla carta sfavorire le decisioni. C’è però il rovescio della medaglia. La direttiva obbliga infatti gli stati contraenti a mettere in atto programmi di studio, sorveglianza, informazione, educazione, prevenzione e cooperazione. Un bel po’ di modellistica. A che punto siamo?
Lunghe riunioni sull’orso hanno partorito solo scarne comunicazioni sullo smaltimento dei rifiuti o sulla riunione delle greggi. Una veloce ricerca su Internet mediante la chiave “convivenza con l’orso”, tanto per fare un esempio, fornisce una messe di preziose informazioni sui pascoli, sui rischi personali e generali e tanto altro ancora. Insomma, impariamo più dalla Rete che per via ufficiale.
Non ho la più pallida idea di quali difficoltà amministrative e politiche le autorità di vario livello debbano superare a proposito di M13. Da semplice cittadino osservo che in queste condizioni qualunque soluzione risulterà improvvisata. Credo a questo punto che ad alimentare l’incertezza sussista anche una lacuna scientifica che vorrei qui descrivere.
Da agosto vari autori di articoli pubblicati sui media locali (anche al di fuori della Valposchiavo) proclamano che la nostra area geografica non costituisca l’habitat o l’ecosistema dell’orso (che poi sono due cose differenti). La presenza dell’orso sarebbe “artificiale” o “forzosa”. Questi aggettivi, più volte impiegati, fanno proseliti tra chi è incline a erigere barriere tra la nostra regione e lo spazio della “wilderness”.
Malgrado le buone intenzioni, questo atteggiamento confonde le carte in tavola. Ci sono indiscutibili differenze tra i pascoli valposchiavini e la natura selvaggia in cui i parenti di M13 acchiappano salmoni e in cui gli umani, se ci sono, sono documentaristi della Bbc. Eppure, sul piano dell’approccio scientifico tale dicotomia è inconsistente. Solo dopo aver studiato oggettivamente le relazioni e le risorse abbiamo l’agio di trattare dei pericoli che ci riguardano.
Un altro vocabolo tipico usato in quegli articoli riguarda il “mestiere” che dovrebbe esercitare M13. Alcuni credono che la natura attribuisca ruoli immutabili agli organismi, come posti fissi per impiegati statali. Nessun evoluzionista potrebbe mai appoggiare questa concezione. Ma nemmeno M13 che non ha intenzione di svolgere il lavoro propostogli da alcuni bipedi, visto che se la cava egregiamente anche dopo il cambio d’azienda. Non esiste un destino cosmico delle creature biologiche che ci illumini nella ricerca di soluzioni.
Noi umani siamo talora propensi a ritenerci un “deus ex machina” in grado di operare dall’esterno del sistema, come se non vi appartenessimo. M13 può allora apparirci alla stregua di un’anomalia da correggere, un impiegato da licenziare. È questa la vera forzatura, perché presuppone la nostra onniscenza proprio laddove poi, nell’organigramma della natura, sbagliamo disastrosamente. Insomma, che piaccia o meno, se M13 sta bene vuol dire che la regione del Bernina può benissimo costituire il suo spazio adattivo condiviso (biotopo). Dobbiamo partire da qui.
Solo superando tale impasse potremo stabilire con un buon modello se i costi per il controllo di M13 (centrale, personale, ecc.) siano sostenibili per la comunità, a fronte dei relativi benefici (turistici, scientifici, naturalistici), ma anche dei relativi rischi e danni (squilibri, aggressioni, intrusioni, predazioni).
Può darsi che M13 risulti alla fine inopportuno in ogni modello, ma ora non lo sappiamo. Viceversa, una soluzione radicale frettolosa potrebbe causare un pessimo ritorno d’immagine, oltre che l’addio a un individuo straordinario. E anche il non fare nulla può ritorcersi contro. La Svizzera ha un’ottima tradizione nello studio ambientale e nella difesa della collettività. Perché mai dovrebbe essere M13 a segnare una battuta d’arresto?