In montagna un letto comodo o un pasto caldo riguadagnano il giusto valore

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Luca Godenzi: una passione per l’alpinismo
IL BERNINA ha intervistato Luca Godenzi, che recentemente ha completato quella che viene considerata la trilogia delle “Grandi Pareti Nord delle Alpi” ovvero Eiger, Grandes Jorasses e Cervino.

 

 

 

1. Quando e come è nata questa passione?

Mi sono avvicinato alla montagna in età scolastica attraverso gli sport invernali, snowboard in particolare. Più tardi ho spostato il mio interesse verso il fuoripista e le salite scialpinistiche. Qui ho trovato le prime semplici creste o magari qualche passaggio ripido da percorrere con i ramponi, e ho quindi cercato di migliorare le mie capacità tecniche al fine di potermi muovere con più sicurezza. Ben presto mi sono accorto che queste componenti tecniche mi interessavano e mi motivavano maggiormente rispetto al “camminare in salita”. Il resto è stata una naturale evoluzione: l’arrampicata su roccia, le cascate di ghiaccio e il terreno misto mi hanno spalancato le porte per un terreno di gioco tutto nuovo e dalle possibilità praticamente infinite. Ho iniziato a sognare montagne famose e a fantasticare vie di salita che fino a quel momento ritenevo assolutamente inarrivabili, e non ho più smesso.

Badile

 

2. Quali sono le scalate che ti hanno più emozionato? E perché?

È difficile stilare una classifica. Mi vengono in mente la prima ripetizione di Hiroshima sulla Nordest del Badile con l’amico Charly Micheli, il Grand Pilier d’Angle con uscita in vetta al Monte Bianco o la solitaria sulla Nord del Cervino. Ma anche tante altre: alcune vie di ghiaccio e misto praticamente sconosciute, le multipitch in Rätikon, le solitarie integrali. Quello che sicuramente accomuna le salite più intense è il fatto di mettersi in gioco, di cercare il mio limite personale e se possibile di spingermi oltre.

Rätikon

 

3. Che cosa significa per te l’alpinismo e che cosa cerchi?

L’impegno mentale e il fascino dell’incertezza hanno un’importanza primaria, il che non significa giocare alla roulette russa o buttarsi allo sbaraglio in imprese oltre le proprie possibilità senza valutare le conseguenze. Affrontare una salita preconfezionata, della quale conosco tutto e che sono assolutamente sicuro di portare a termine, non mi dà motivazione, non mi incuriosisce e non riesce a farmi accendere la “scintilla”. Devo avere delle insicurezze, delle paure da superare, allora sì!

Solitaria su ghiaccio

 

Per me l’alpinismo deve essere prima di tutto un’avventura. Non amo i percorsi preparati, gli affollamenti, le corde fisse, le vie addomesticate a misura d’uomo. Tutte queste cose annebbiano le sensazioni, è un po’ come guardare un tramonto dai colori stupendi attraverso una finestra con i vetri opachi. Mi affascina la natura selvaggia e primordiale, governata da regole semplici ed inderogabili, dove non è possibile imbrogliare né tantomeno prendere delle scorciatoie.

Le montagne sono solo quello che sono, un mucchio di pietre e terra, ma se si ha voglia di mettersi in gioco, di scoprire i propri limiti e le proprie debolezze, allora possono restituirci delle esperienze e delle emozioni autentiche, che difficilmente possiamo ritrovare nella vita quotidiana. Qui tutte le cose superflue della nostra società moderna scompaiono, le priorità si riducono all’essenziale, ed un letto comodo o un pasto caldo riguadagnano il giusto valore.

Ice-Climbing a Kandersteg

 

4. Quali sono le discipline che più ti interessano?

Sono sempre stato attratto dall’elemento ghiaccio. Effimero, mutevole, magico. Salire una cascata mi fa sentire come Alice nel Paese delle Meraviglie.

Eiger

 

5. Come ti alleni o prepari per affrontare certe imprese?

Non seguo un piano di allenamento vero e proprio e non mi preparo in modo mirato per una salita in particolare, anche perché in montagna non è possibile prevedere quando tutti gli elementi per una salita (meteo, condizioni, tempo a disposizione, etc.) verranno a combaciare. Cerco piuttosto di tenermi in forma e semplicemente di “uscire” il più possibile. La forza è uno dei miei grossi punti deboli, ho però la fortuna di divertirmi molto arrampicando su roccia. Difficilmente perdo l’occasione per mettermi l’imbrago e le scarpette e così in qualche modo riesco a limitare i danni e mantenere un livello più o meno decente. La resistenza di base è invece più facile da allenare, in una valle alpina come la nostra si ha solo l’imbarazzo della scelta tra corsa, camminate, scialpinismo, mountain-bike, sci nordico, nuoto etc. Sono abbastanza fortunato per quel che riguarda l’aspetto mentale, riesco a gestire lo stress e rimanere razionale anche in situazioni impegnative e questo in montagna è molto importante: le decisioni che prendi nel mezzo di una parete hanno delle conseguenze immediate.

Grandes Jorasses – Colton-McIntyre

 

6. Hai scalato le tre Grandi Pareti Nord delle Alpi. Come è stato?

A dire il vero è stata una cosa piuttosto casuale e poco programmata, nel senso che salire le tre Nord (Eiger, Grandes Jorasses e Cervino) non è mai stato un vero e proprio obiettivo per me. Il collezionismo e le statistiche mi interessano poco, salire tutti i 4000 delle Alpi, fare 100 ascensioni in un anno, la montagna più alta o la più larga, non fanno per me. Nel 2011 ho salito l’Eiger semplicemente perché per me era un sogno. La Nord è diventata un simbolo dell’alpinismo ed è impossibile non subirne il fascino. Arrivando a Grindelwald si ha l’impressione di avere tutto il peso della storia dentro lo zaino, ci si sente veramente minuscoli ed inadeguati. Guardi in alto e l’unica cosa che riesci a pensare è che questa parete non ha nulla a che fare con il resto delle Alpi, è semplicemente fuori misura. La via poi è veramente stupenda: lunga, tecnica, completa e con una linea logica, perfetta!

È poi stata la volta delle Grandes Jorasses lungo la via Colton-McIntyre. Luogo diverso ma stesse motivazioni: una via che mi portavo dentro da diversi anni, un sogno da realizzare prima o poi. Quest’anno le condizioni erano eccellenti, e quindi non c’era nessun motivo per non buttare tutta l’attrezzatura in auto e prendere la strada per Chamonix. La salita si è svolta senza imprevisti, seguendo il tracciato originale fino a tre quarti di parete per poi uscire con cinque lunghezze di corda lungo una variante diretta e tecnicamente più impegnativa.

Cervino – Schmid

 

Il Cervino invece si è concretizzato molto spontaneamente e senza preavviso, una specie di last-minute. Di solito la logistica prevede di raggiungere la Capanna Hörnli (punto d’appoggio per le salite dal versante Svizzero) il giorno precedente, per poi attaccare la parete verso le 2 o le 3 di notte. Non riuscendo però a raggiungere la Hörnli in serata, il programma prevedeva una salita in giornata partendo direttamente da Zermatt. Quindi prima cabina alle 08:30, ma con le poche ore di luce che si hanno a novembre ero poco fiducioso di raggiungere la vetta prima che facesse buio. Infatti le tempistiche di salita per i 1200m della via Schmid si aggirano normalmente intorno alle 10 ore. Inoltre il fatto di non essere mai stato sul Cervino e non conoscere niente della montagna non era molto incoraggiante. Alla crepaccia terminale dove inizia la via ho guardato l’orologio per valutare le ore di luce a disposizione: segnava le 11:15. Durante la prima parte di salita mi sono accorto di stare bene, di non avere problemi e che le difficoltà tecniche erano ben gestibili. Ho quindi deciso di continuare la solitaria, trovando subito la concentrazione necessaria per scalare in questo stile che non concede compromessi. Con una certa sorpresa ho raggiunto la croce di vetta quando il mio orologio segnava le 13:36.

7. Obiettivi futuri? 

Non si possono dire.