Valposchiavo in treno – Seconda tappa: Campocologno

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Quando si sale in auto da Tirano, verso il confine, la segnaletica stradale ci ricorda l’approssimarsi della dogana di Campocologno, il valico che ci conduce in terra grischuna.

Campocologno, la porta della Valposchiavo 

Superate le barriere dei due Paesi,  ci accoglie l’abitato, attraversato da quella strada cantonale che nel 1865 segnò la progressiva trasformazione urbanistica del paese, un tempo articolato in tre nuclei (le tre Contrade: Rodè, Tugn Ca d’zur), da allora sviluppato proprio lungo la strada, in una distribuzione sempre più lineare. A bordo del Trenino Rosso, l’ingresso in Campocologno offre visuali inedite; comincia qui la lenta ascesa verso le quote delle nevi perenni.

Mettetevi nei panni di un turista che per la prima volta percorre la tratta: a 540 m di quota ancora nulla lascia presagire lo spettacolo del Bernina, eppure, a buon osservatore, Campocologno offre già tutti gli elementi per cogliere le meraviglie ingegneristiche e paesaggistiche della Valposchiavo. Qui la valle è stretta, i pendii ripidi richiamano le caratteristiche comuni a tutte le valli alpine che confluiscono in valli più ampie, in questo caso la Valtellina; dalla stazione di Campocologno lo sguardo spazia e la mente si interroga: come faremo a salire?  Come superare tutto il dislivello che ci attende?

Il viaggiatore curioso ha di che osservare: qui c’è la storica centrale idroelettrica, nata come Forze Motrici Brusio, oggi Repower, cruciale nell’approvvigionamento necessario alla Ferrovia; ci sono i boschi con tutte le caratteristiche della media montagna e c’è il centro abitato, con la stazione rinnovata che in alcune ore della giornata è un crocevia di convogli in manovra, uno spettacolo che, benché osservato più e più volte, riesce sempre a sorprendermi, pensando agli spazi comunque angusti entro cui locomotori, vagoni e merci si muovono. E’ uno spettacolo che racconta della laboriosità di questa terra; un quadro che restituisce la tenacia e l’audacia delle genti di quassù, genti che, a fronte di un ambiente aspro e impegnativo, sanno costruire opportunità di vita e di sviluppo.

Forse meno evidente agli occhi dei turisti ma altrettanto cruciale nella vita di quassù è la centrale idroelettrica. Sono millenni che l’uomo si affida all’acqua per produrre energia meccanica e, in epoche recenti, energia elettrica; la Svizzera (come la confinante Lombardia) è storicamente tra i Paesi più evoluti nello sfruttamento di questa fonte rinnovabile (oggi il quarto in Europa, preceduto da Norvegia, Austria e Islanda). Prima che negli anni Settanta entrassero in funzione i cinque reattori nucleari, la Confederazione generava il 90% del proprio fabbisogno elettrico dalle centrali idroelettriche; oggi si attesta al 60 per cento. Torrenti, laghi naturali e artificiali, fiumi, ovunque ci sia acqua è possibile sfruttarne l’energia potenziale facendo sì che energia meccanica sia trasformata in energia elettrica, grazie alle turbine.

Per gli appassionati di storia dell’ingegneria, Campocologno è solo la prima tappa di un itinerario affascinante, tutto in territorio valposchiavino che racconta della capacità degli uomini di tecnica e scienza di essere uomini al servizio della comunità, la comunità della valle.


Chiara M. Battistoni