Un contributo esclusivo per “Il Bernina” di Angelo Zomegnan
Lo aveva promesso ed è stato di parola. Angelo Zomegnan, carismatico giornalista sportivo e già caporedattore della “Gazzetta dello Sport”, ospite d’eccezione alla scorsa assemblea de “Il Bernina”, ha risposto con piacere all’invito del nostro giornale di presentare un suo contributo.
In coda all’incontro dello scorso mese d’aprile, durante il quale Zomegnan ha intrattenuto il pubblico raccontando in modo simpatico e coinvolgente esperienze e aneddoti legati alla sua lunga carriera professionale, il noto giornalista e dirigente sportivo aveva promesso, a sorpresa, una sua collaborazione con “Il Bernina”, per quanto ciò gli fosse stato possibile. Alle promesse sono seguiti i fatti e ci fa pertanto molto piacere poter offrire ai nostri lettori un pezzo esclusivo scritto da una firma così prestigiosa, che ringraziamo sentitamente per la sua generosità.
Angelo Zomegnan, dal 2004 al 2011 direttore del Giro d’Italia e grande estimatore della Valtellina e anche della Valposchiavo, trae spunto nel suo articolo per “Il Bernina” dalla tappa regina di questa centesima edizione della kermesse sportiva, che ha visto la carovana arrivare a Bormio lo scorso martedì 23 maggio.
Nel descrivere le sue impressioni dopo una giornata che ha visto i corridori scalare i passi che hanno fatto la storia e scritto i momenti più epici della corsa rosa, lo Stelvio e il Mortirolo, Zomegnan mette in mostra la sua innata abilità nel raccontare una cronaca sportiva, deliziando il lettore con cenni allegorici ed esposizioni figurative che risultano vere e proprie chicche per gli amanti della cronaca sportiva.
La centesima edizione del Giro d’Italia si è conclusa domenica 28 maggio a Milano, con la vittoria finale dell’olandese Dumoulin.
La redazione
Il Giro d’Italia è storia che i corridori e la natura (meteo compreso) scrivono a capitoli. E come in ogni romanzo popolare ci sono dei passaggi – in assonanza con i… passi – più intriganti e altri meno.
A volte si sbizzarriscono i campioni. Altre ci provano i comprimari per emanciparsi da posizioni non certo comode: sono i “domestici” per i francesi, i “gregari” per gli italiani, i “luogotenenti” per i team manager, che non vogliono sancire direttamente lo stato dei loro atleti figli di un Dio minore.
Come accennato, c’è la natura con il caldo, il freddo, la pioggia, a volte persino la neve; con le valli profonde e le montagne che sono i “moloch” del ciclismo, laddove ognuno finisce al posto che gli compete.
Mettiamo tutto insieme lungo lo Stivale e oltre. Quindi mescoliamo con un l’oro di un cucchiaio zeppo di coraggio, abnegazione e fantasia: direbbe Lydia Bastianich, la vera cuoca di famiglia da cui tutto deriva in una ideale cucina di emozioni, bene annaffiate di Inferno, Sassella, Sfursat e via discorrendo.

Eccoci nella Valtellina del Giro e nelle valli che in essa confluiscono: area geografica che non si finisce mai di scoprire e che mai offre alla corsa tappe banali. Tutto il contrario.
E così anche per me, che lì ho vissuto estati su estati arricchite dalle scampagnate sino in Val Poschiavo e ben più addentro i Grigioni, una volta al timone del Giro (2004), messe a sistema le esperienze maturate in anni di lavoro nel giornalismo e non soltanto, conoscendo la Valtellina, l’ho piazzata al centro di diverse avventure in rosa.
E così, il capitolo di martedì 23 maggio a Bormio, finisce per essere il punto di arrivo di un processo emozionale e dai contenuti tecnici inconfutabili promosso con Gigi Negri, il più appassionato dei valtellinesi contemporanei nel cavalcare il Giro d’Italia quale veicolo d’immagine e dunque di promozione turistica nel mondo.
Ancora una volta le aspettative non sono state disattese… anzi!
Lo Squalo Vincenzo Nibali che si risveglia e consegna all’Italia la prima vittoria di un proprio figlio alla sedicesima delle ventuno tappe. Il Condor Nairo Quintana che si accende a corrente alternata e con gambe che parlano ben più di quel volto, che è una maschera. Il Delicato Tom Dumoulin che si inchina alla superficialità – sua e di chi lo dirige, medico di squadra compreso: tanto per mettere subito le cose in chiaro – e concede in diretta televisiva il secondo pit-stop in dieci mesi e alla seconda grande corsa a tappe consecutiva: fermata forzata sul ciglio della strada, via il casco, fuori la maglietta rosa, giù i pantaloncini e la liberazione (dell’intestino, s’intende). In 55 secondi fa tutto. Situazione sgradevole, per lui, sui televisori di almeno 165 “broadcast” nel mondo.
Partiamo dal Delicato. Quel che è accaduto a Giogo di Santa Maria (e quale definizione per Dumoulin sarebbe più sinistra di Giogo?) è la ripetizione del brutto quarto d’ora vissuto dopo lo scollinamento del Tourmalet al Tour de France del luglio 2016: là trovò un camper in cui infilarsi, liberarsi del mal di pancia, ringraziare i padroni di casa viaggiante e ripartire. Non lottava per la maglia gialla, lasciò sul terreno 20 minuti e si riprese a tempo per battere il leader Chris Froome nella cronometro di quattro giorni dopo.

Stavolta – e siamo solo al mese di maggio – la memoria corta di Dumoulin e del suo staff, gli errori madornali di alimentarsi con gel di glucosio e con barrette energetiche, senza poi cautelarsi nel gettarsi in discesa infilando un semplice foglio di giornale sotto la maglia per proteggere lo stomaco da sicuri colpi di freddo; gli errori, si diceva, stavolta hanno obbligato l’olandese in maglia rosa a pagar dazio in prato, a 33 chilometri dal traguardo, con lo Stelvio davanti agli occhi da scalare per la seconda volta nella stessa giornata. E con la morte nel cuore perché ha salvato la casacca più prestigiosa del Giro per appena 31” su Quintana, un batter di ciglia sulla strada per il capolinea a Milano, sfoderando determinazione, capacità alla sofferenza. In una parola: gli attributi.
Passiamo al Condor. Indipendentemente da come si chiuderà il Giro della centesima edizione, Quintana non ha impressionato sullo Stelvio. Vero è che la sua stella si è illuminata sul Blockhaus. Altrettanto certo è che si sia spenta sull’erta di Oropa dove abbozzò un attacco. Ma su Mortirolo e Stelvio, il Condor s’è difeso anziché attaccare: ciò è accaduto sul terreno per cui è nato. Dopo averne viste e sentite tante, sinceramente non riesco ad appassionarmi a un corridore che pure è in “feeling” con il rosa, ma si nasconde per mesi sulle creste alte della sua Colombia per poi scendere a valle, arrivare in Europa, sbancare qualche corsa e involarsi nuovamente verso casa a preparare l’appuntamento agonistico successivo, senza gareggiare tra un evento e l’altro. Mistero del terzo millennio. Oppure soffre davvero più del dovuto per una “cadutina” patita proprio al Giro.
Concludo questo primo colloquio con i frequentatori de “il Bernina” con lo Squalo dello Stretto di Messina. Beh, che aggiungere su Nibali? Dopo la festa del Mortirolo e il bagno di folla degli anni ruggenti del ciclismo al primo passaggio sullo Stelvio, lo Squalo ha attaccato al rientro in Italia dalla Svizzera: Dumoulin era già in ambasce per quel maledetto, forzato “pit-stop”; Nibali ha distanziato Quintana, s’è tuffato verso Bormio agguantando Mike Landa e l’ha infilzato in un tripudio di gente entusiasta. Un raggio di sole italico su un Giro dal livello così-così: troppi comprimari scalavano i gradini di un soglio destinato ai soli eletti.
Siccome la Valtellina e le Valli vicine mai propongono appuntamenti banali, il Giro della centesima edizione è stato riaperto da Nibali e ripartendo da Tirano, lanciando uno sguardo al Trenino Rosso dell’otto volante della Val Poschiavo, la carovana ha preso la via di Aprica e Tonale, con l’eroico Dumoulin ancora in rosa, per far rotta su Canazei sotto una nuova luce: i bagliori della rinascita della bandiera italiana abbinata per un giorno a quella rossocrociata. Stessa faccia, stessa razza. Valtellina e Grigioni sono ancor più vicini e aspettano di sapere chi a Milano meglio si è comportato al proprio crocevia dei destini.
Angelo Zomegnan