Lingua e cultura possono non coincidere?

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@Antonio Di Passa

Venerdì scorso, 15 settembre, si è tenuta a Brusio una conferenza dal titolo «ALTERITÀ: culture “italiane” indigene al di fuori dei confini dell’Italia», animata da Gabriele Paleari e Sacha Zala, i quali hanno cercato di dare delle risposte all’annosa questione identitaria che tocca da vicino gli abitanti del nostro territorio.

Nella sua dettagliata relazione, Gabriele Paleari, docente e ricercatore presso la Trent University di Nottingham, ha presentato gli esiti di un lavoro interdisciplinare di prossima pubblicazione, durato otto anni. Una ricerca nella quale ha preso in esame e messo a confronto storia, letteratura, geografia, antropologia, gastronomia e architettura delle minoranze italiane in Svizzera (Grigioni italiano), in Slovenia (Capodistria), in Croazia (Istria e Dalmazia) e in Montenegro (Bocche di Cattaro). Paleari è giunto alla conclusione che i tre principali elementi che accomunano queste quattro regioni sono la fragilità, la vitalità e i legami (con l’Italia). Parte della ricerca è stata condotta sul campo, anche in Valposchiavo, dove lo studioso ha selezionato un campione di persone con cui sono state realizzate delle interviste.

Da quest’indagine risulta con chiarezza che nelle minoranze italiane dell’Adriatico orientale il tratto fondamentale in comune è la “venezianità”, che oltre al dialetto veneto è rappresentato dal mare, un confine che li divide e al contempo li unisce alla Serenissima. Fatte le dovute distinzioni fra regioni, nazioni e demografia, il senso di appartenenza a una storia che consta di secoli di condivisione con Venezia e con l’Italia, nel periodo fra le due guerre mondiali, conferisce a queste genti un forte sentimento identitario, che si manifesta in una grande vitalità culturale, ma che è pure molto fragile, in primo luogo a causa dell’esodo massiccio di italiani dalle loro terre verso la Penisola, avvenuto dopo la fine della Seconda Guerra mondiale. Per questi motivi, nelle comunità resilienti, il fatto di sentirsi italiani è vissuto come una componente linguistica, culturale e anche patriottica.

Anche nel Grigioni italiano, sempre secondo Paleari, il confine unisce e divide i suoi abitanti dall’Italia, in particolare dalla Valtellina e dalla Valchiavenna. Tre secoli di storia in comune (anche se in posizione di predominio da parte grigionese) sull’attuale territorio della Provincia di Sondrio hanno lasciato forti legami fra le popolazioni al di qua e al di là dell’odierno confine italo-svizzero. Se nel caso della Calanca e della Mesolcina oggi i contatti sono andati vieppiù scemando a causa della distanza geografica e della mancanza di vie di comunicazione veloci, diversa è la situazione per le restanti due valli. Nuovi legami concorrono infatti ad unire bregagliotti e valposchiavini a valchiavennaschi e valtellinesi: scambi commerciali, interessi turistici in comune, matrimoni misti ed altri aspetti della cultura popolare, come ad esempio la gastronomia locale o la cultura della montagna. La tesi di Paleari è che anche da noi, malgrado l’identità politica sia stabilmente legata ai Grigioni e alla Svizzera, esista però un forte legame linguistico e culturale con l’Italia, che si poggia su pilastri diversi da quelli degli italiani dell’Adriatico orientale. Ad accomunarci ulteriormente a queste popolazioni, vi sarebbe inoltre la grande vitalità culturale, che si esprime nelle più svariate forme d’italianità. Il senso comune di una costante minaccia alla nostra lingua e la frammentarietà sul territorio, nonché la mancanza di un organismo politico unitario, sarebbero fra i maggiori fattori di fragilità.

Ricevuta la parola, Sacha Zala, presidente della «Società svizzera di storia» e direttore del gruppo di ricerca DODIS (Documenti diplomatici svizzeri), ha esordito dichiarandosi felice e al contempo lievemente irritato per la ricerca svolta da Paleari. Ad infastidirlo è soprattutto l’aspetto etnografico dello studio (dove i grigionesi di lingua italiana sarebbero stati oggetto e non soggetto della ricerca), il fatto di essere paragonati a popolazioni così diverse e distanti dalla nostra e l’approccio troppo poco storiografico alla tematica. Tuttavia egli non ha nascosto che il lavoro interdisciplinare di Paleari, proprio perché apre nuove prospettive e suscita emozioni contrastanti, potrebbe aiutare a raggiungere una nuova sintesi sulla questione dell’identità del Grigioni italiano.

Proseguendo nel discorso, Zala, ha poi precisato che ciò che ad alcuni studiosi oggi appare come un’eccezione, ossia l’esistenza di minoranze linguistiche o del plurilinguismo in Svizzera, era invece la regola un po’ in tutta Europa fino alla nascita delle nazioni moderne, nella seconda metà dell’Ottocento. Per chiarire la differenza che intercorre fra il Grigioni italiano e le terre italiane dell’Adriatico orientale, egli ha illustrato l’esempio di Fiume, una città che nel XIX secolo, proprio per la sua persistente instabilità politica, si pone agli antipodi della nostra esperienza di appartenenza a uno stato. A dimostrazione del forte legame identitario che unisce il Grigioni italiano alla Svizzera, egli ha inoltre voluto citare un fatto accaduto nel 1797, quando, dopo gli eventi napoleonici, la Valtellina (già facente parte della Repubblica Cisalpina) mandò una delegazione a Poschiavo, invitando i suoi abitanti a voler far parte della stessa repubblica e a condividere così in comune lingua e commercio. I valposchiavini, memori di una storia secolare con lo Stato delle Tre Leghe, che aveva loro garantito libertà e sicurezza, non aderirono all’invito suggellando così la loro lealtà nei confronti degli alleati d’oltralpe.

Sul finire Zala ha poi accennato al principio di “territorialità”, ancorato nella costituzione svizzera, il quale se da un lato garantisce la salvaguardia delle minoranze linguistiche nei vari territori, dall’altro, invece, oggi non basterebbe più a tutelare i diritti di molti cittadini italofoni residenti fuori territorio ticinese o grigionitaliano. Questo, stando a lui, sarebbe il maggior punto di debolezza e fragilità, contro il quale è necessario mobilitarsi. Per le ragioni sopra esposte Zala non ritiene tuttavia che l’italiano nelle valli meridionali del Grigioni sia a rischio, mentre per quanto riguarda l’identità, riferendosi a sé, egli dichiara di sentirsi di lingua italiana e di cultura svizzera.

Come ben ricordato nelle parole introduttive alla conferenza da Giovanni Ruatti, operatore culturale della Pgi Valposchiavo (organizzatrice dell’evento), la parola “alterità” ha un significato che si spinge oltre la crasi sottesa ai concetti di «alter» e «italianità». Essa indica il contrario di “identità”, ossia la percezione di sé – in ogni individuo – come un’entità irriducibile, che non gli permette di sentirsi completamente identico all’altro. Ciò significherebbe che pure la nostra identità linguistica e/o culturale, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, sfugge sempre al tentativo di farsi ingabbiare dentro a uno schema ben preciso.

Per chi non avesse potuto essere presente alla serata, ma è comunque interessato all’argomento, il pastore della Comunità evangelica di Poschiavo, Antonio Di Passa, ha filmato l’evento che ora si trova liberamente fruibile in rete all’indirizzo http://www.ustream.tv/recorded/107952393.