“Qui o là io amo la libertà” (1)
“Il momento che amo di più di questo lavoro (è Ursina Lardi che parla, n.d.r.) è quando lo spettacolo finisce e ancora non c’è l’applauso, quell’attimo di pausa collettiva in cui tutti aspettano qualcosa. Questi sono i momenti che (…) raccolgono tutte le emozioni”. D’accordo. Ma, a mio iniziale dispetto, la sera della Prima una parte del pubblico invece ha immediatamente reagito trascinandosi poi dietro tutti gli altri. Reagito, ben inteso, con fragorosi e insistiti applausi. “Che reazione veloce: mai successo prima”, sono sempre parole di Ursina. Evidentemente il pathos suscitato dalla messa in scena, accumolatosi e pronto per strabordare, non ha atteso un secondo in più per mostrarsi.
Insomma, una serata da segnare per l’attrice e autrice, come anche per il coautore e regista Milo Rau e per tutti i collaboratori che a diversi livelli, ma complementariamente, hanno contribuito al risultato. In altra sede Rau ha posto l’accento proprio sul modo di costruire teatrale, non individuale, ma il più possibile collettivo.
Occorre ora un passo indietro, proprio sulla genesi dello spettacolo. Il Festival Teatrale di Salisburgo chiese a Rau di occuparsi di una messa in scena del testo “Jedermann” (Ognuno) di Hugo von Hofmannstahl. Questa opera viene messa in scena sul sagrato della Cattedrale dal 1920 quasi interrottamente sino alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale e dal 1946 invece senza nessuna interruzione. Sono circa 700 (!) le recite in totale. Ne rappresenta se vogliamo l’asse fondante.
Milo Rau e Ursina Lardi hanno cominciato a lavorare. Chiaramente il loro intento non era di mettere in scena il testo in modo pedissequo, per esempio conservando le 25/26 parti attoriali. Rau ha ridotto le attrici a due, solo due: una professionista ed una dilettante. E dunque il titolo non poteva non essere modificato in “Evrywoman” (Ognuna), come è stato effettivamente fatto.
La dilettante si chiama Helga Bedau e vanta una giovanile presenza in un “Romeo e Giulietta”. Lei è malata: ha un tumore al pancreas, inoperabile. Desidera recitare come ultimo desiderio (proprio ultimo in effetti, essendo spirata dopo le prime rappresentazioni dello spettacolo). Lei è ancora presente grazie ad una registrazione proiettata su di uno schermo in scena. Come sono presenti in scena suoi oggetti: ritratti di famiglia, cartella clinica, audiocassette e un registatore/riproduttore portatile d’epoca. Venuti a conoscenza del suo desiderio, Lardi e Rau l’hanno coinvolta nel progetto. E lei in effetti è presenza forte in scena. Narra molto di sé. Nata in un borgo della Renania, “volata” a Berlino (“Ah, il ’68 a Berlino!”, si lancia con trasporto), ricorda il suo menage a tre, con la nascita di un figlio che rende felici lei, il padre putativo e quello biologico. E poi la separazione dal figlio Nico, che lei lascia andare, dodicenne, con il padre biologico, il lavoro in ambito educativo e la malattia.
Con la morte dietro l’angolo, ma con Helga è in scena Ursina Lardi (lasciatemelo dire qui: bravissima), consolatoria meno a parole e più con gesti. Ursina è prima di tutto se stessa e dunque racconta all’inizio, in italiano, di una storia familiare marcante (ci tornerò), accenna ai suo affetti stretti e al suo paese natio. E qui parla di valli montane confinarie e sperdute e della sua gente, forse solo rassegnata: i giovani che se ne vanno, le donne… mbé, gli uomini …doppio mbé. Per inciso: il giorno dopo la rappresentazione in un pubblico incontro ho definito come “severa” questa riflessione, ma Ursina si è mostrata sorpresa della mia interpretazione (almeno così, durante lo spettacolo, a me è parso di capire).
E poi Ursina attrice, che invita Helga a partecipare alla rappresentazione, tanto che ad un certo punto Ursina esce dal palco e raggiunge Helga a tavola nella scena registrata.
C’è altro: Ursina si sostituisce a Helga, cambiando anche la voce, nelle ardite e ardue riflessioni sulla vita e sulla morte.
La morte appunto. Della “nera signora” (2) Ursina parla subito all’inizio. Narra della atavica familiarità famigliare con i cavalli e di un cavallo in particolare. Questo corre, corre e corre (sta disputando un Gran Premio). Ma cade rovinosamente. In modo agghiacciante Ursina descrive l’esplodere delle ossa delle zampe, anticamera certa dell’abbattimento. Ursina è davanti a lui e i loro sguardi s’intrecciano nel profondo. Ma poi il cavallo guarda oltre la donna e nei suoi occhi si specchia la visione della “nera signora”. Ancora. Lui è di fronte a lei e a noi che ascoltiamo: oltre al suo occhio, percepiamo forse il suo respiro che viene fuori per rivelare tutta la sua umanità (se così si può dire riferito ad un cavallo).
Ecco il tema centrale dell’opera: la morte. Insomma, Helga (e noi) dopo una vita alla ricerca di libertà, “qui o là” poco importa, arriva lei.
Dove siamo? Stiamo giocando, stiamo recitando? Niente di tutto questo, questa è vita.
“Ad un certo punto della sua vita, ogni essere umano deve fare i conti con la morte; nessuno può evitare questo confronto. Il mistero che circonda l’enigma della morte di una persona e il modo in cui si trova faccia a faccia con la morte esiste in ogni religione e cultura. E l’umanità si è occupata di questo argomento da quando ha iniziato a cantare e scrivere e a produrre arte e immagini.
Questo periodo (pandemico) ci ha resi tutti acutamente consapevoli di quanto velocemente le nostre vite possano essere capovolte e di quanto inaspettatamente i nostri piani possano essere deragliati. In considerazione di queste circostanze, era importante per noi fare anche una dichiarazione politica. Oggi è fondamentale per noi agire e riportare dolcemente la società nelle esperienze comuni. Abbiamo bisogno delle arti e del senso di comunità per crescere come società, soprattutto in tempi difficili”, (3).
Per congedarci dalla signora Helga Bedau sceglierei un verso di Pablo Neruda: “Confieso che he vivido” (Confesso che ho vissuto).
Note: 1) “Qui e là”, è il titolo di una canzone del 1967 di Patty Pravo, che fa così e che dedico ad Helga: “Qui e là, io amo la libertà. E nessuno me la toglierà mai. Casa qui io non ho, ma cento case ho. Oggi qui, domani dove sarò?”.
2) “La nera signora” è evocata da Roberto Vecchioni nel suo successo “Samarcanda” del 1987, quella che (molti la ricorderanno) nel ritornello fa: “Oh oh cavallo, oh, oh cavallo, oh oh cavallo, oh oh, cavallo, oh oh”.
3) La citazione è ripresa dalla presentazione della edizione 2021 di “Jedermann” dal sito del Festival salisburghese.
“Everywoman”, finite le repliche allo Strehler di Milano, sarà alla Schaubühne di Berlino dal 24 al 31 ottobre 2021.
Piergiorgio Evangelisti