In mostra lo “stile svizzero” per i vent’anni di Casa Console

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In Casa Console, sabato scorso, alla presenza di un folto pubblico, si è aperta una grande mostra temporanea (visitabile fino al 30 ottobre del 2022), dedicata ad alcuni dei massimi esponenti dello “Stile svizzero”: Anker, Segantini, Giacometti (ma non solo).

Nella sala da concerto di Casa Console sono state subito notate due assenze. All’avvocato Ilario Bondolfi, presidente del Consiglio di Fondazione, è toccato il compito di presentare la serata e motivare appunto le mancate presente. Innanzitutto, quella di Guido Lardi, direttore del Museo: una indisposizione lo ha costretto a rimanere lontano dal “suo” museo. E immaginiamo il dolore per questo impedimento. Abbiamo detto “suo”, in realtà è ampiamente noto che il Museo di Casa Console lo dobbiamo al fondatore Ernesto Conrad, ma sappiamo anche che Guido Lardi lo affiancò subito e ne prosegui l’opera alla sua scomparsa nel 2011. La solerte Giada Tuena si è quindi sostituita al direttore leggendo con proprietà il suo intervento.

La seconda assenza è stata quella di Cristoph Blocher, già consigliere federale. Tutti i quadri in mostra provengono dalla sua collezione. Ma Bondolfi ha rassicurato sul fatto che i coniugi Blocher verrano a Poschiavo: nel 2022.

Dicevamo dell’introduzione scritta dal direttore Lardi. Eccone alcuni passi. “Per me personalmente, ma anche per i miei stretti collaboratori, così come per le numerose persone che fanno parte della cerchia delle volontarie e dei volontari, la giornata odierna in cui festeggiamo 20 anni di lavoro e d’impegno rappresenta un traguardo non privo di soddisfazioni, che mi sembra legittimo sottolineare anche con una punta d’orgoglio. Non è dunque il caso di volersi mettere in vetrina, ma piuttosto l’occasione per guardare lontano, per puntare su di nuovi obiettivi e nuove sfide da affrontare, che indubbiamente non mancheranno.

Il Museo nacque nel corso 2002 dalla felice decisione di Ernesto Conrad di lasciare alle poschiavine e ai poschiavini un regalo che potesse dare frutti e benefici anche in futuro. Ernesto Conrad non si limitò all’esposizione delle sue opere predilette, ma volle anche avviare la tradizione di altre attività collaterali di Casa Console, come la costante offerta di concerti e di corsi di pittura durante quasi tutto il corso dell’anno. Il Museo diventò in tal modo luogo d’incontro e di importanti scambi culturali.

[Ora] mi concederete di accennare ai nostri sforzi in questi ultimi dieci anni, ossia l’intento di continuare nel solco tracciato da Ernesto Conrad: ovvero di ampliare, di migliorare, di perfezionare e di valorizzare nel migliore dei modi le numerose premesse culturali offerte dalla sua Fondazione. Fra questi sforzi vorrei ricordare unicamente l’impegno sempre più oneroso di organizzare ogni anno una mostra temporanea da presentare all’attenzione delle visitatrici e dei visitatori che dimostrano nei confronti del nostro lavoro”.

Dopo i bilanci e gli impegni per il futuro, Lardi ha accennato all’oggi, dunque alla mostra presente, lasciando il compito di una compiuta ed esaustiva presentazione al curatore Gian Casper Bott. Dunque continua e termina Guido Lardi: “Devo poi ricordare il dott. Christoph Blocher, evidentemente la persona che ha reso possibile la realizzazione del progetto; egli ha risposto sempre in modo accondiscendente alle nostre richieste e ci ha permesso di operare delle scelte di prima qualità artistica”.

A questo punto Bott, costretto ad evitare gli assembramenti attorno alle opere nelle due sale a pianterreno, si è prodotto nella sala da concerto con la sua dotta presentazione e arguta. Sì, arguta, eccone un esempio giusto all’inizio: “Ernest Conrad espresse la sua ammirazione per Anker, per inciso la metà della mostra è Anker, affermando che le opere di questo pittore erano care e che raccoglierle era il campo di Cristoph Blocher” [sorrisi e piccoli commenti da parte del pubblico].

Dunque, troviamo in mostra ventitre opere (del periodo dal 1874 al 1925) con un ventaglio di tecniche: olio, acquerello, pastello, carboncino, inchiostro, matita e gesso.  Quattordici opere di Albert Anker, a cui si aggiungono tre di Giovanni Segantini, ecco il nucleo forte della mostra, attorno al quale sono raggruppati un dipinto a olio ciascuno di Ferdinand Hodler, Giovanni Giacometti, Alberto Giacometti, Ernst S. Geiger, Edouard Castres e Robert Zünd.

Tornando ad Anker citiamo la presentazione di sue opere emblematiche: “Tra le invenzioni pittoriche di Anker impresse nella memoria collettiva, Il segretario comunale (1874) è probabilmente la più famosa. Con la penna stretta con disinvoltura tra le labbra, il funzionario pubblico sta leggendo immerso nel suo lavoro: egli siede a un tavolo su cui strizzano l’occhio numerosi oggetti sparsi come in una natura morta. Il dipinto è l’immagine del conseguimento nella Svizzera di un autogoverno locale autonomo, ed è nel contempo l’espressione del superamento delle strutture di potere prevalenti nell’Ancien régime. Grazie alla sua opera, egli riuscì a plasmare l’identità del giovane Stato federale svizzero e, ben ancorato nella quotidianità del suo tempo, si dimostrò attento osservatore degli sviluppi sociali allora in atto: un vero documentatore della vita moderna” [vedi foto, con collega].

“La Ragazza che dorme su una panchina (1900 ca.) a piedi nudi e con il grembiule è dedicata a un tema chiave caro all’artista. Un fragrante bouquet di lillà è il segno della bella stagione; ma non si può fare a meno di pensare alla definizione di Omero del sonno, che egli considera come fratello gemello della morte”.

Un altro esempio della stupenda tecnica di Anker, quale indice di intimità e vicinanza umana dell’artista nei confronti dei suoi modelli, è rappresentato dal Ragazzino con una grande carota (1904). La carota, un prodotto della regione in mano a un vispo ragazzo del Seeland bernese, viene impugnata e avvicinata alla bocca come un prezioso strumento musicale, mettendo in risalto l’astuzia infantile del personaggio e il suo innocente buon umore.

L’ultima foto è per il Ragazzo che disegna (1890) “corrisponde al genere di natura morta con figura umana. La firma del pittore sulla scatola dei colori indica che la scena è ambientata nel suo atelier; al giovane visitatore, che sta facendo buon uso del suo tempo libero, il maestro ha prestato i suoi utensili per educarlo a stimolare il suo potenziale talento. Vedere e contemplare sono attività fondamentali, come se Anker volesse esprimere l’essenziale delle arti figurative e il primato del disegno nella sua arte”.