Lo Shabbat di tutti: a Sondrio cena rituale e poi ricette e precetti

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Miriam Camerini e i due musicisti : Rocco Rosignoli e Rouben Vitali

18 minuti sembrano nulla, ma non è così per tutti. Questo è il lasso di tempo, sospeso e aggiunto, prima dello Shabbat e alla fine dello Shabbat. Tempo cumulativamente sottratto alla settimana lavorativa e dedicato al riposo non solo fisico ma anche mentale. Tempo dedicato al sacro. Sacro perché la Creazione non si deve considerare terminata alla fine del sesto giorno, ma deve comprendere intrinsecamente anche il settimo giorno: tempio del tempo, secondo le Sacre Scritture.

Venerdì sera, 20 gennaio, al tramonto, 40 persone sono convenute all’Oratorio del Sacro Cuore di Sondrio per
riflettere e gioire per “Lo Shabbat di tutti”.
Il canto salmodiante di Miriam Camerini, accompagnata dai musicisti Rocco Rossignoli e Rouben Vitali, ci ha introdotti. Ecco il Salmo 95: Venite, cantiamo con giubilo all’Eterno. La tavola è pronta, le candele sono accese, le mani lavate, si levano i calici di vino e si recitano le benedizioni sul vino, il pane coperto viene svelato, quindi spezzato e asperso di sale.

D’ora in avanti per ore si alternano canti, letture e spiegazioni argute e coinvolgenti. E naturalmente si mangia in gioia, perché lo Shabbat è tempo di gioia, di piacere, di tutti i piaceri.

Tutto è stato preparato, ovviamente prima del tempo del riposo, dal talentuoso cuoco, sefardita egiziano, Manuel Kanah. E tutti i cibi corrispondono naturalmente alle regole rabbiniche, cominciando dal vino, un ottimo Negroamaro salentino.

Va precisato che i cibi proposti sono diventati tipici della diaspora ebraica che però ha accolto quanto di più conveniente è presente nelle culture dei popoli altri, dall’Europa Centrorientale, al Magreb, al Medioriente. E giusto si comincia con tre antipasti del Medioriente. Uno di questi i Napoletani lo chiamano coloritamente “pisce d’o fesso”: un composto di patate e tonno (e spezie varie) a forma appunto di pesce. Che sia partito da Napoli verso l’Oriente o viceversa importa in fondo poco: patrimonio mediterraneo è.

Poi sformato di riso e spinaci, quindi sgombro (vero questo) condito con senape e accompagnato da bamia (verdura d’origine africana). Si finisce con the alla menta che accompagna il dolce: la dolcissima “Halva” con miele, d’arancio, mandorle.
Si termina la serata con un canto corale pacifista a due voci, desunto da Isaia 2:4: “Lo yisa goy el goy cherev… (Un popolo non leverà più contro l’altro la spada… )”.

Serata di incontri speciali con ospiti inattesi: la laicissima ebrea milanese Marina Morpurgo. A questo proposito ricordiamo che se si è etnicamente ebrei, non necessariamente significa essere credenti, praticanti, più o meno osservanti. Ancora: defilato ecco l’ebreo che non ti aspetti, il nigeriano Daniel Cohen. Vive da qualche tempo a Sondrio e lavora in un bresaolificio della zona. Alla continua ricerca di una comunità di fratelli. Se a Milano la comunità conta oltre 6.500 persone, in Valtellina invece…
Insomma, una serata di incontri e scambi preziosi. Grazie all’iniziativa intrapresa da Emanuele Campagna, direttore del Centro Evangelico di Cultura di Sondrio, su proposta di Simone Evangelisti.

E proprio nella sede del C.E.C., dopo il tramonto, il giorno dopo secondo appuntamento. Ancora il cuoco Manuel Kanah insieme a Miriam Camerini e al moderatore Simone Evangelisti hanno illustrato il libro “Ricette e precetti”, scritto dai primi due ed edito da Giuntina.
Qualche informazione in più su Miriam Camerini. Nasce a Gerusalemme. Studiosa di ebraismo, ha intrapreso il viaggio per diventare rabbina, un unicum almeno in Italia. Regista teatrale, attrice, cantante vive a Milano dove si dedica all’allestimento di spettacoli teatrali e musicali, festival e rassegne attorno e all’interno della cultura ebraica. Collabora regolarmente con Jesus, mensile delle edizioni San Paolo, e saltuariamente con altre testate.

Come si sa la storia biblica inizia con un morso di troppo: Adamo ed Eva sono in scena da pochi versi quando Dio vieta di mangiare il frutto della conoscenza del bene e del male, che loro prontamente assaggiano. Da quel momento in poi la nostra alimentazione è caratterizzata da divieti e obblighi, tradizioni e usanze, devozione e ribellione. Quarantacinque storie e ricette raccontano del rapporto intricato fra cibo e norme religiose ebraiche, cristiane e islamiche.

Le ricette sono state provate e scritte da Benedetta Jasmine Guetta e Manuel Kanah, e illustrate da Jean Blanchaert e prefate da Paolo Rumiz.

Ed ora la parola ai due relatori: «L’ebraismo, tra queste tre, è la religione che ha più precetti: se ne contano 613. Cristianesimo e Islam in generale hanno un rapporto con il precetto meno intenso. Nel Cristianesimo certamente c’è un legame con ricorrenze e festività, come il venerdì di magro, la Quaresima. Nel caso dell’Islam è un po’ diverso, perché il Ramadan può cadere in qualunque momento dell’anno, quindi non c’è una stagionalità. Ciò che abbiamo apprezzato nella cultura del cibo dell’Islam è la semplicità e il rapporto molto particolare con il dattero: si rompe il Ramadan prima di tutto con acqua e datteri e c’è qualcosa di molto umile nel cercare di trovare nutrimento e zuccheri in questa pianta. In generale c’è una forma di semplicità, quasi mistica, che attraversa tutte le culture religiose». Per inciso, sul tavolo dei relatori fiori, acqua e appunto datteri.
«Facciamo nel libro l’esempio ebraico del “gefilte fish”, che significa “pesce ripieno”. L’idea è quella di osservare sia il precetto positivo dello Shabbat, il sabato ebraico, cioè mangiare carne e pesce a simboleggiare la festa, ma anche rispettare il divieto di separare la parte edibile di un cibo dal suo scarto. In questo caso la polpa del pesce dalle lische. Gli ebrei del centro e est Europa hanno inventato questo escamotage: si prepara il pesce prima del sabato, estraendo tutta la parte che si vuole mangiare e lasciando da parte le lische. Si trita il tutto e si inserisce questo polpettone, condito e speziato, all’interno della pelle del pesce. Molto spesso le invenzioni e le idee più geniali vengono da una costrizione. Non è vero, secondo noi, che l’assenza di regole libera la creatività, casomai il contrario: più abbiamo dei vincoli da rispettare e osservare e più vengono fuori le idee, incanalate dalla necessità di trovare una via d’uscita».