Plurilinguismo e italianità in Svizzera: connubio indissolubile per il Consigliere federale Flavio Cotti

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Flavio Cotti il 26 marzo1993. (KEYSTONE/Karl-Heinz Hug)

Il plurilinguismo e l’italianità hanno accompagnato fedelmente la vita e il percorso professionale e politico del Consigliere federale Flavio Cotti: ha sempre riservato grande attenzione ai destini dell’italianità e al benefico effetto culturale e integrativo del multilinguismo. Flavio Cotti ha vissuto il multilinguismo fino in fondo, quotidianamente. L’ha fatto suo. L’ha vissuto come forza di coesione e non come elemento di disturbo.

Quando si chinava sul valore del multilinguismo citava volentieri una considerazione del celebre scrittore Friedrich Dürrenmatt, che il 1° agosto 1967, parlando dei rapporti tra i gruppi linguistici della Svizzera si espresse in questo modo: «Il rapporto non è buono, anzi di per sé non esiste alcun rapporto. Abitiamo gli uni accanto agli altri, ma non insieme. Quel che manca è il dialogo, il colloquio, la curiosità reciproca, l’informazione». Questa riflessione, pervasa da una visione pessimistica, ha sempre stimolato Flavio Cotti a trovare risposte che aprissero delle prospettive concrete, sentite e qualificanti.

La padronanza delle tre maggiori lingue nazionali e il percorso mentale che esse favoriscono, hanno rafforzato in Flavio Cotti il sentimento dell’appartenenza alla realtà multilingue del Paese. Lo hanno posto nella condizione di far parte pienamente di una dimensione linguistico-culturale più ampia e di promuovere soluzioni che non contemplassero solo la difesa del principio di territorialità delle lingue.

Italianità nobilitata dal multilinguismo

Per Flavio Cotti la difesa della lingua italiana in Svizzera passa dal multilinguismo. Solo l’apertura a una realtà multiculturale vissuta creano le condizioni per conferire alla lingua italiana un ruolo più importante e riconosciuto nell’ambito culturale svizzero e quindi non solo nella Svizzera italiana.

Flavio Cotti è uno di quegli esponenti che ha vissuto in ogni momento la realtà multilingue. Che cosa significa questo? Significa che passava da una lingua all’altra a seconda delle conoscenze linguistiche dei suoi interlocutori, mettendoli subito a loro agio. Le lingue nazionali erano per Flavio Cotti lo strumento straordinario non solo per comunicare, ma per farlo con efficacia e per dar vita ogni qualvolta al vigoroso intreccio del suo bagaglio intellettuale, dell’analisi critica e della riflessione.

Flavio Cotti apparteneva innanzitutto alla sua lingua, a quella italiana beninteso, ma grazie alla sua indole comunicativa, all’abilità retorica e all’approfondita conoscenza delle lingue apparteneva anche al mondo culturale francese e tedesco del nostro Paese, qualità estremamente utile nell’amministrazione federale e negli ambiti politici del Paese. Era capace di imprimere vigore dialettico a quanto comunicava, ogni qualvolta, nel segno di un profilo libero e interculturale.

Per comprendere la capacità di servirsi della lingua, desidero leggere un brevissimo passaggio del famoso discorso di Poschiavo, tenuto il 27 ottobre del 1990. In quell’occasione il Consigliere federale Cotti rilanciò l’idea del Centro universitario della Svizzera italiana, suggerendo di considerare i temi delle moderne scienze e tecnologie, senza dimenticare la lingua, la letteratura e la cultura italiane: “Desidero oggi soltanto affacciare qualche idea che abbia a consentire una ripresa, dopo quella che è stata una opportuna pausa di riflessione, di un tema che nella Svizzera italiana non dovrebbe essere considerato morto. Naturalmente spetterà però al solo Cantone Ticino, se lo vorrà, (e, perché no? anche al Cantone Grigioni, se desidererà associarsi) di valutare l’opportunità di riprendere in termini concreti il discorso dell’Università nella Svizzera italiana. Un fatto è certo: se lo studio dovesse essere ripreso, la Confederazione non mancherebbe di accompagnarlo con tutta la sua benevolenza; un’opera di questo tipo rivestirebbe senza dubbio una grandissima importanza di politica generale. Sarebbe un’opera cui la Confederazione riserverebbe il massimo sostegno.”

In pochissime parole Flavio Cotti è riuscito a condensare una serie di messaggi e stimoli, proposti con grande chiarezza, con tatto diplomatico e con la sensibilità che la lungimiranza richiede. Ha parlato di un progetto della Svizzera italiana, scegliendo, non a caso, il Grigioni Italiano per lanciarlo. Metaforicamente, ha preso tre piccioni con una fava. Ha messo in evidenza la responsabilità del Cantone Ticino. Ha allargato l’invito ad associarsi anche al Cantone dei Grigioni. Infine ha chiamato in causa la benevole disponibilità della Confederazione.

Questo breve passaggio dimostra le capacità di Flavio Cotti di unire la forza concettuale alla precisione e alla nitidezza espressiva, di rendere chiaro e veloce il pensiero, l’analisi, il ragionamento. La forza dei suoi messaggi si basava sulla solidità concettuale, sorretta dalla forza della lingua: concisa, chiara, pertinente, adagiata sullo sfondo della piena veridicità. Lanciò una sfida ambiziosa disegnando il quadro teorico, e soprattutto le finalità concrete.

Il passaggio centrale sull’idea dell’Università della Svizzera italiana è stato preceduto da un’approfondita contestualizzazione sulla ricchezza delle quattro lingue ufficiali e del multilinguismo del Paese e in particolare sui pericoli che minacciano la lingua italiana in Svizzera. In quel discorso, programmatico e soprattutto strategico, Flavio Cotti è partito da lontano. Il titolo del discorso era “Quattro lingue, un formidabile arricchimento”. Si è avvicinato al messaggio centrale, ha preparato il terreno con una serie di ponderazioni linguistico-culturali, evidenziando dapprima una grave lacuna strutturale della Svizzera italiana, quella di non disporre di un’università: “L’assenza di un tale centro priva la Svizzera italiana di una irradiazione culturale e, prima ancora, di una sorgente di cultura che si rivelano per molti versi necessarie.”

Perché Flavio Cotti non ha indicato subito, già nel titolo del suo discorso, il messaggio centrale di rilanciare l’idea dell’Università della Svizzera italiana? A mio avviso questo modo di porgere gli ha consentito di definire l’indissolubile connubio tra l’italianità e il multilinguismo. In altre parole, Flavio Cotti ha spiegato che la difesa dell’italianità in Svizzera dipende dalla nostra disponibilità di aprirsi alle altre culture linguistiche del Paese, di abbracciare e di amare il multilinguismo. E, ovviamente di poter contare sullo stesso atteggiamento da parte degli esponenti delle altre culture linguistiche del Paese.

Suggerimenti autorevoli

Flavio Cotti si è chinato più volte con spontanea dedizione sul tema del multilinguismo, specie nel 1991 e nel 1998, negli anni in cui ha ricoperto il ruolo di Presidente della Confederazione. Nel 1991 pubblicò perfino un decalogo sul plurilinguismo in un discorso dal titolo molto esplicativo “I dieci comandamenti del plurilinguismo elvetico”, convinto che l’identità della Svizzera poggiasse sulla sua diversità culturale, in cui si coniugano in modo costruttivo e pacifico gli sforzi di popoli così diversi.

Quanto alla scelta del termine comandamenti Flavio Cotti ha puntualizzato: “… il plurilinguismo non può essere disciplinato da imposizioni. Esso vive soltanto se vogliamo che viva.” Nella stesura del decalogo si ispirò, fra gli altri, anche al filosofo e saggista Denis de Rougemont: “Se rifiutiamo i contatti e gli scambi, perdiamo la migliore occasione di prendere coscienza di noi stessi.” Il Presidente della Confederazione Cotti invitò quindi il popolo svizzero a conoscere la Svizzera innanzitutto, a essere curiosi delle nostre diversità, a essere sensibili nei confronti dei media plurilingui, a scoprire la simpatia reciproca, a incoraggiare la mobilità nell’ambito degli studi e delle attività, a imparare la lingua altrui, a riconoscere i valori legati alla maggioranza e alla minoranza, alla disponibilità di amare i paesi che con noi condividono i valori culturali, a irradiare il nostro plurilinguismo all’esterno delle nostre frontiere. Il decimo comandamento è la sintesi degli altri nove: “Il decimo comandamento si rifà più ai sentimenti che alla ragione. Intendo dire che occorre rallegrarsi di questa appartenenza pluriculturale e sentirne tutto lo straordinario fascino.”

Nei suoi discorsi, carichi di contenuti e di messaggi, convergono, grazie anche alla sua dimestichezza con le lingue, le qualità di un esponente politico autorevole e distinto: lo spessore della sua personalità, la sua coscienza e la sua statura politica, i ferrei principi, l’attitudine comunicativa, la dedizione al discorso culturale e interculturale, la sua onestà intellettuale.

Il suo modo di porgere, i suoi interventi si basavano su una spiccata linearità formale accompagnata dalla complessità del messaggio e dai contenuti differenziati. Dava carattere e sostanza alla lingua e quindi la rendeva altamente fruibile e ricettiva. Sapeva tradurre i concetti in parole e viceversa.

In un’intervista rilasciata sempre nel 1991 al giornalista Moreno Bernasconi, Flavio Cotti, sempre sul tema multilinguismo, inviò messaggi chiari in particolare ai responsabili della politica e delle istituzioni: “Se il multilinguismo non sarà vissuto maggiormente, se esso non diverrà una realtà tangibile per tutti gli Svizzeri, questo Paese incorrerà in non pochi pericoli. Il rischio della disgregazione è dietro l’angolo. Non posso che esortare i Cantoni a sfruttare al massimo le loro competenze nel campo scolastico per favorire la reciproca conoscenza: dobbiamo conoscere meglio la lingua e la cultura delle altre Regioni! il federalismo impegna i Cantoni ad assumere anche compiti di importanza nazionale. Il vero federalismo moderno si misura a partire dalla capacità dei Cantoni, volontariamente uniti, di realizzare anche missioni politiche di carattere nazionale.”

Sulla scia di questa consapevolezza e della responsabilità che le istituzioni devono assumere per agevolare lo spirito di comprensione e di collaborazione a livello linguistico, Flavio Cotti il 1° agosto 1998 a Lugano ha spiegato a chiare lettere che occorre una politica linguistica con progetti concreti, interpellando direttamente le autorità a ogni livello: “… si tratta di provvedere non più soltanto alla vitalità di una lingua e di una cultura sul suo territorio, bensì di promuovere la presenza delle lingue nazionali fuori dai confini d’origine, su tutto il territorio del Paese. Perché il multilinguismo in Svizzera non può significare soltanto l’esistenza, una accanto all’altra, di aree linguistiche diverse […] molte cose rimangono da realizzare: per esempio nel campo dell’insegnamento delle lingue nazionali, in particolare di quelle minoritarie, come l’italiano, nelle scuole del Paese. Qui sono chiamati alle loro responsabilità i nostri Cantoni. Se il multilinguismo in Svizzera vuol essere realtà vissuta, ciò deve significare un apprendimento adeguato delle lingue nazionali accanto all’inglese, lingua universale.”

Questi passaggi sono stati in un certo senso profetici (a chi chiedeva previsioni a lungo termine, Flavio Cotti rispondeva spesso di non essere un profeta), se pensiamo allo sviluppo linguistico nel Cantone dei Grigioni. Uno dei suoi ultimi discorsi quale Consigliere federale Flavio Cotti lo ha tenuto proprio nei Grigioni nel 1999, nell’Alta Scuola pedagogica, luogo privilegiato e una sorta di laboratorio per il multilinguismo vissuto con coerenza nel segno della pace linguistica.

Era un periodo in cui la lingua italiana nei Grigioni sentiva spesso soffiare in faccia un vento gelido. Le discussioni politiche sull’insegnamento delle lingue straniere erano spesso poco generose e non promettenti nei confronti della lingua italiana. Il destino della lingua minoritaria del Cantone era incerto. Si temeva che l’italiano fosse ulteriormente marginalizzato, specie a livello di insegnamento come lingua straniera.

Flavio Cotti, anche in quell’occasione, davanti ai maggiori esponenti dell’educazione dei Grigioni, guidati dall’allora Consigliere di Stato Joachim Caluori, ha sostenuto con forza e convinzione le due lingue minoritarie del Cantone, l’italiano e il romancio. Si è poi pronunciato in modo chiaro per l’insegnamento della lingua italiana come prima lingua straniera nelle scuole di lingua tedesca. Il suo intervento era improntato sulle peculiarità del multilinguismo, tratto distintivo della ricchezza linguistica del Cantone dei Grigioni. Lo ha fatto mettendo in evidenza la preziosa ricchezza di tutte le lingue del Paese. Ha insistito sulla necessità di studiare le lingue, di farle nostre, come la nostra cultura ci ha sempre insegnato. Era una visione a lui cara. Ha ribadito il ruolo fondamentale della lingua italiana e di quella romancia per la coesione del Cantone e della Svizzera e per l’apertura dei giovani alla realtà mistilingue.

Flavio Cotti ha sicuramente aiutato ad avere fiducia in noi stessi per difendere la presenza della lingua italiana nell’intero Cantone. Sapeva che nei Grigioni si sarebbe accesa un’intensa discussione sul concetto linguistico, sull’insegnamento delle lingue straniere. Infatti, nei primissimi anni del nuovo secolo il concetto linguistico è stato dibattuto, infine approvato e attuato, grazie soprattutto alla spinta energica dell’allora Capo del Dipartimento dell’educazione, il Consigliere di Stato poschiavino Claudio Lardi. Un concetto linguistico che mirava a promuovere innanzitutto le tre lingue cantonali, dando rilievo anche all’inglese. Per quanto attiene la lingua italiana si decise di introdurla come prima lingua straniera nelle scuole di lingua tedesca.

Apertura nel segno della decentralizzazione  

Il Consigliere federale Cotti ha seminato per anni il germe del multilinguismo e della presenza della lingua italiana. Fedele al concetto di Svizzera quale “Nation de Volonté” non mancava mai l’occasione di accennare alla vocazione culturale del Paese, quale insieme di regioni, etnie, lingue diverse a cavallo delle alpi. Lo fece anche a livello delle istituzioni europee. Il 20 settembre 1991 tenne un discorso a Strasburgo, ospite dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, con l’obiettivo di individuare il futuro della Svizzera sull’avvicinamento all’Europa. Flavio Cotti metteva l’accento sulla giusta valorizzazione degli aspetti centrali del nostro Paese e sulla necessità di trovare l’equilibrio fra la sostanziale unità nella pace e della democrazia ed una vasta irrinunciabile decentralizzazione che desse importanza alle differenze e alle diversità.

Anche in quell’occasione evidenziò le peculiarità culturali della Svizzera: “La Svizzera è figlia delle culture dell’Europa: tre di esse fra le più importanti vi si incontrano, urtandosi a volte, ma più sovente fecondandosi a vicenda: non già nell’uniformità, ma nella familiarità ch’esse conseguono, nel loro slancio creativo. Più che l’economia, il confronto delle culture ha forgiato e sostiene tuttora la tolleranza degli Svizzeri, la loro curiosità per quanto in essi è diverso, il rispetto amichevole di quanto è minoritario.”

Nello stesso modo come ha creduto fino in fondo e a giusta ragione, che il multilinguismo fosse la chiave per un maggiore riconoscimento della lingua italiana in Svizzera, Flavio Cotti era convinto che la conoscenza di alcune delle più importanti lingue e culture dei paesi europei potesse rafforzare il ruolo della Svizzera in Europa.

Dall’alto dell’autorevolezza e della saggezza, Flavio Cotti è riuscito a collocare le sue riflessioni nell’ampio contesto dei valori nazionali e internazionali e dell’apertura mentale che ne consegue, dando prova di essere abile ad addentrarsi nelle varie tematiche e problematiche con un atteggiamento dettato dalla differenziazione e dall’approfondimento. I suoi punti forza!


Livio Zanolari