Grytzko Mascioni italico: un fecondo intreccio

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Intervenuti in presenza. Da destra Luigi Corfù, Angelo Schena, Saveria Masa, Simone Zecca, Sergei Roić, Sonia Bombardieri ed Ennio Galanga (Unitre Tirano).

Certamente parlante italiano, impregnato fino al midollo di cultura italiana, tant’è che fu nominato, per chiara fama, direttore dell’Istituto Italiano di Cultura a Zagabria. Grytzko Mascioni cittadino italiano? Forse. Certamente svizzeroitaliano e grigionitaliano. Insomma, un fecondo intreccio.

A Tirano è stato giusto presentato il volume “Mascioni italico”, edito da Armando Dadò (2022). Lungo l’elenco dei promotori della serata e del libro (vedi più avanti). Presenti i due curatori: Sergei Roić e Katarina Dalmatin (da remoto). Storicamente, lo sappiamo, gli Italici erano le popolazioni attratte, conquistate, inglobate dai Romani un paio di millenni fa.

Oggi invece che senso diamo al termine italico? E Roić, originario dell’isola dalmata di Hvar/Lesina, emigrato a 9 anni in Ticino, entra subito in argomento: «Circa 200 milioni nel mondo, secondo alcune stime, consapevolmente o inconsapevolmente hanno nel tempo aderito al sistema dell’italicità, ovvero a una comunità di scambio culturale, valoriale e in parte anche prepolitico e commerciale, nata e cresciuta attorno all’indiscussa importanza della lingua italiana.
Italia, Svizzera italiana, Dalmazia, Istria, Malta, San Marino, dove si parla l’italiano, ma anche Stati Uniti, Australia, Svizzera interna, Belgio, Francia eccetera, dove la lingua italiana è capita e adoperata e dove, innanzitutto, i valori e la cultura di origine italiana-italica sono ben presenti nella società, sono i “luoghi” dell’italicità, una civiltà o civilizzazione “soft” (di condivisione con le caratteristiche locali e di relativa influenza propria) che, nelle parole di Verio Pini, che ha scritto la prefazione di questo libro, ha assunto una valenza particolare anche in una fase drammatica della recente storia europea come la dissoluzione della Jugoslavia».

E qui arriviamo a Mascioni e a questo libro: «L’idea di scriverlo nasce infatti da una discussione portata all’interno di Coscienza svizzera, su idea originale di Remigio Ratti, onde chiarire, spiegare e presentare l’italicità vista e considerata come incarnata in una personalità culturale e intellettuale come fu quella di Grytzko Mascioni, svizzero, italiano e, alla fine, in qualche modo pure croato o vicino ai croati durante il suo periodo trascorso dapprima a Zagabria e poi a Dubrovnik/Ragusa in qualità di mediatore culturale durante gli anni Novanta dello scorso secolo».

Idea sviluppata da Roić e dalla professoressa Dalmatin: la prima parte del volume è dedicata al percorso culturale di Mascioni in Croazia negli anni Novanta; la seconda presenta un profondo e documentato saggio che Katarina Dalmatin, spalatina, ha dedicato all’autobiografismo nella letteratura europea e nell’opera letteraria di Mascioni. Nel corso della serata abbiamo ascoltato (purtroppo molto male) le parole della seconda curatrice. In sostanza questa la sua spiegazione: «La ragione principale per la quale ho scelto di occuparmi della prosa autobiografica di Enzo Bettiza (splatino) e di Mascioni risiede nel fatto che una congrua parte dei loro testi pubblicati negli anni Novanta del ventesimo secolo tematizza questioni legate alla Croazia e alla sua identità culturale e nazionale. I due autori sono legati anche da una forte predilezione per il discorso autobiografico e dalla loro vicenda esistenziale, ma anche i loro orizzonti poetici sono stati modellati in gran misura dall’esperienza di una vita sviluppatasi sulla frontiera, come pure da un forte senso di non appartenenza a una qualsiasi corrente politica o ideologica».

Katarina Dalmatin

Quest’ultimo tema è al centro di diverse domande rivolte a Roić e di cui daremo conto in altra occasione intervistando Simone Zecca, che Mascioni indicava come assoluto conoscitore della sua opera.

Roić ha conosciuto Mascioni? «Certo, cominciando dall’ambito del Centro PEN che riunisce scrittori e giornalisti della Svizzera italiana e retoromancia, da lui presieduto per molti anni e di cui attualmente sono il vicepresidente.
Aggiungo che mi sono laureato in filosofia e italianistica a Zagabria, luogo concreto da cui si è dipartita l’azione cultural-politica di Mascioni un decennio dopo, e ho pure partecipato ai due grandi convegni che Mascioni organizzò o contribuì a organizzare, tenutisi negli anni Novanta in Croazia.
Seppure di idee in parte diverse per quel che concerne l’organizzazione politica del mio Paese di origine, confesso di aver recepito e alla fine anche apprezzato la chiarezza della posizione mascioniana a favore di una nuova Croazia. La questione, come l’ha impostata Mascioni circa trent’anni fa, è infatti la seguente: la Croazia e la sua anima dalmata sono anche italiche e in sinergia con una tradizione culturale adriatica-mediterranea condivisa? La risposta di Mascioni è sì. La Croazia appartiene al campo politico occidentale? Anche in questo caso la risposta di Mascioni è chiara ed è pure un sì. I recenti tragici fatti accaduti e che tutt’ora accadono nel nord-est dell’Europa sembrano, se la politica non è semplicemente un’opinione ma una serie di fatti e scelte concrete, dargli ragione».

E la Croazia oggi è nell’Unione Europea (di cui dal 1° gennaio scorso adotta anche l’euro) e nella NATO. Insomma “la piccola patria” non risulta evidentemente più attuale e sufficiente. A questo proposito chi scrive è intervenuto così: Nel 1520, Tiziano, cadorino e cittadino di Venezia, dipinse una “Sacra conversazione” o Pala Gozzi conservata presso la Pinacoteca Podesti di Ancona, mia città natale. Al di là del rilievo artistico (molto alto) del manufatto e del suo significato religioso (una sorta di liturgia della parola), mi pare curioso sottolineare il significato politico del quadro. In basso a destra c’è il committente: Alvise Gozzi, alias Alojzije Gučetić, mercante raguseo residente in Ancona. I due santi che conversano con la Madonna sono Biagio (Vlaho) patrono di Ragusa e Francesco. Il poverello di Assisi non è il patrono di Ancona, ma di qui nel 1219 partì per la Terrasanta. Le repubbliche marinare di Ancona e Ragusa furono per secoli alleate nel vano tentativo di arginare in Adriatico la potenza di Venezia. Nella parte centrale della Pala troviamo un paesaggio marino: né Ancona, né Ragusa, bensì Venezia (svetta un alto campanile che richiama quello di san Marco). Dunque, questo dipinto rappresenterebbe il riconoscimento della supremazia della Serenissima.

Tiziano, Pala Gozzi

Il messaggio, confortato da altri elementi presenti nel dipinto, potrebbe essere questo: “Le due città (piccole patrie) troveranno sviluppo e prosperità riconoscendo il giusto dominio di Venezia e mettendosi sotto la sua protezione”. Quadro non profetico. Sei anni dopo la Repubblica ragusea cadde in mano dei Turchi, mentre dodici anni dopo la Repubblica anconetana fu inglobata nello Stato pontificio.

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La serata è stata promossa dall’Associazione Mascioni: il suo presidente, Angelo Schena, l’ha introdotto con una relazione ampia e affettuosa. Sono poi intervenute per la Pro Grigioni Italiano l’operatrice culturale Saveria Masa, per il Comune di Tirano l’assessora Sonia Bombardieri. Non poteva infine mancare l’intervento di Luigi Corfù per le due istituzioni promotrici dell’edizione: Coscienza Svizzera e l’Istituto di ricerca sulla Cultura Grigione.