“Onora tuo padre e tua madre”, dice uno dei comandamenti dati da Dio a Mosè. È una parola che indica una responsabilità precisa nei confronti di chi ci ha messo al mondo. Il comandamento non dice tuttavia: “Obbedite a padre e madre”. Questo sarebbe forse ciò che alcuni genitori e molti adulti vorrebbero che fosse stato detto. Ma quel comandamento non c’è. “Onora tuo padre e tua madre” non può essere utilizzato per imporre l’obbedienza, per legittimare rapporti gerarchizzati tra genitori e figli, tra giovani e adulti. Esso si limita a ribadire la responsabilità dei figli e delle figlie nei confronti dei genitori anziani non più autosufficienti. Nulla di più.
Forzature autoritarie
È vero purtroppo che nella storia dell’interpretazione e soprattutto dell’applicazione di quel comandamento ci sono state delle forzature perverse: è stato utilizzato per edificare una famiglia patriarcale, delle comunità rette da principi autoritari, società basate su ruoli rigidamente fissati, luoghi segnati da coercizione e violenza.
Ma perché accanto a un comandamento relativo al rispetto dovuto dai figli ai genitori, non c’è nel Decalogo una parola altrettanto chiara relativa alla tutela dei figli? E non sarebbe utile inventarla?
Un nuovo comandamento
In una società come la nostra, segnata dalla frequente trasgressione della responsabilità verso i figli (e verso i bambini), da parte dei genitori (e di non pochi adulti), un simile comandamento sarebbe utile e necessario. Forse è ora di crearlo, un nuovo comandamento, diretto ai genitori, e più in generale agli adulti, relativo all’obbligo di rispettare i bambini, di educarli bene, di crescerli coraggiosi e liberi. Rispettando la loro integrità.
Contro ogni forma di abuso
Oggi esiste un consenso diffuso, nella società, sulla necessità di difendere i figli e le figlie – e più in generale tutti i bambini – da ogni forma di abuso, e in particolare di abuso sessuale. Ma non è altrettanto diffusa la consapevolezza che tale difesa passa necessariamente attraverso l’abolizione dei silenzi, delle omertà, delle ambiguità che ancora avvolgono l’ambito famigliare e alcuni ambiti comunitari, dalle palestre alle scuole, alle chiese, dove si annidano zone d’ombra nelle quali la cultura della violenza contro i bambini trova fertile terreno.
Il silenzio copre la violenza
Non dimentichiamo che oltre l’80% delle violenze sui minori accadono in famiglia e che quasi sempre il violatore è una persona che il bambino conosce. Come sta rivelando l’ampio e insopportabile scandalo che colpisce la chiesa cattolica in Svizzera, descritto nelle quasi 140 pagine del rapporto pubblicato a Zurigo qualche giorno fa – ma “chi è senza peccato scagli la prima pietra” – il problema si annida nei complici silenzi, nei “non si dice”, nei tenaci tabù contro i quali ancora non ci stiamo battendo con la necessaria determinazione.
Basta silenzi e segreti
“La cultura del segreto dev’essere abolita”, hanno ammonito, in una presa di posizione comune gli eticisti cattolici svizzeri Alberto Bondolfi e Thierry Collaud e protestanti Didier Müller e Pierre Bühler, “non per instaurare un’illusoria trasparenza totale, ma affinché sia dato ascolto, ovunque, alle testimoniante e alle sofferenze delle vittime”. Nella loro riflessione, pubblicata su “Le Temps”, aggiungono: “Non dimentichiamo che milioni di cattolici, in tutto il mondo, preti e laici, provano un’infinita tristezza, una collera legittima e una vergogna senza fine di fronte allo scandalo in corso”.
Cambio di rotta
Quella giustificata indignazione, dicono i quattro eticisti, deve portare a un chiaro cambio di rotta: “Cambiamento delle pratiche e delle dottrine, conversione spirituale, nuovo rapporto con la società civile, riforma del diritto canonico, chiarimento dei legami tra diritto penale, diritto civile e morale sessuale. E, soprattutto, uno stile di governo diverso, che sia critico nei confronti del potere sacerdotale e dimostri lucidità e coraggio”.
Sarebbe facile – e sbagliato – puntare ora il dito solo contro la chiesa cattolica. Il cambio di rotta si impone all’intera società: una nuova cultura, amica della vita e della verità, deve farsi strada in ogni ambito, civile e religioso. A chiederlo, a imporlo, sono le sofferenze delle vittime.