Siamo a ottobre, e fa ancora caldo. La mattina, mentre faccio colazione, guardo il cielo dalla finestra della cucina e vedo le rondini volare. Mi chiedo quando se ne andranno. Apro il giornale e leggo che anche nel Trentino i ghiacciai si sciolgono perché questo autunno le temperature, in quota, non scendono sotto lo zero. Vuoi vedere che gli scienziati che da tempo ci ripetono che il clima sta cambiando, abbiano ragione? E che le condizioni del nostro pianeta stiano peggiorando? La domanda, a questo punto, è scontata: “Di fronte a questa situazione, che cosa facciamo?”.
Contro il disfattismo
Riflettendo sul misto di fiducia e catastrofismo presente nell’opinione pubblica riguardo alla situazione ambientale, la saggista americana Rebecca Solnit ha scritto: “Spesso ho l’impressione che le persone s’impegnino di più a cercare prove del fatto che ormai abbiamo perso invece che a inseguire una possibile vittoria”. In un articolo dal titolo “Il pessimismo sul clima non serve a niente”, dice: “Gli allarmi sono preziosi, se accompagnati dall’idea che ci sia qualcosa da fare per impedire che le cose vadano male”.
Perché reagire
Che cosa potrebbe indurci a non mettere la testa sotto la sabbia e ad agire? Sono due le risposte possibili: la paura o la gratitudine. Secondo il filosofo Hans Jonas soltanto la paura può indurci alla ragione, come il profeta di cui porta il nome e che fece cambiare condotta agli abitanti di Ninive con l’annuncio della distruzione della loro città.
Da un punto di vista evangelico, invece, si potrebbe propendere per la gratitudine. Ricordando l’esortazione contenuta nella parola dell’apostolo Paolo, il quale dice: “Che cosa possiedi che tu non abbia ricevuto?” (1 Corinzi 4,7). Aprire gli occhi, vedere la natura come un dono e non come qualcosa di dovuto, imparare a prendersene cura secondo il proverbio africano che recita: “Non ereditiamo il mondo dai nostri padri, ma lo prendiamo in prestito dai nostri figli”.
Radici della crisi
Certo, il cristianesimo è stato ripetutamente accusato di essere all’origine di un atteggiamento di dominio e sfruttamento nei confronti della natura. Già nel 1967 lo storico americano Lynn White, in un articolo dal titolo “Le radici storiche della nostra crisi ecologica”, denunciava il ruolo svolto dal cristianesimo nel rafforzare il dominio dell’essere umano sulla natura e sugli animali. Tra gli elementi problematici nel rapporto del cristianesimo con la natura, White individuava l’antropocentrismo derivante dall’incarnazione del divino in un essere umano, la dissacrazione della natura prodotta dalla lotta contro i paganesimi, l’importanza data al discorso sulla fine dei tempi che porrebbe tutto l’accento sull’aldilà.
Rivedere il modello di sviluppo
In Svizzera, quella critica è stata accolta come uno stimolo a mettere al centro della riflessione e dell’azione cristiana il tema della protezione dell’ambiente. Alcuni teologi protestanti, tra i quali André Bièler e Lukas Vischer, hanno dato vita alla “Dichiarazione di Berna” (oggi “Public Eye”), per ripensare in modo critico il nostro modello di sviluppo e consumo. Nella scia di quel movimento, nel 1986 è stato aperto l’Ufficio ecumenico Chiesa e Ambiente. Noto con la sigla OeKU, riunisce oggi oltre seicento parrocchie cattoliche ed evangeliche in tutta la Svizzera e promuove, tra l’altro, il marchio “Gallo verde” che certifica l’impegno ambientalista delle comunità che adottano una gestione ecologicamente attenta e consapevole delle proprie attività e risorse.
Da Schweitzer a Francesco
Se in campo protestante il discorso sulla responsabilità nei confronti del creato può rifarsi anche alla riflessione di Albert Schweitzer, pastore e premio Nobel per la pace nel 1953, il quale si è battuto per i diritti degli animali – celebre la sua affermazione del “rispetto per la vita” applicato a tutte le creature -, o a quella, recente e attuale, del teologo Jürgen Moltmann, in ambito cattolico il pensiero va in particolare a san Francesco, il quale introdusse, già nel 13. secolo, un ideale di povertà in cui gli animali sono creature di Dio allo stesso titolo degli esseri umani.
Ma il riferimento più recente, per quanto riguarda il cattolicesimo, è costituito dall’enciclica di papa Francesco, “Laudato si”, risalente al 2015. In quel testo si afferma, ad esempio: “Occorre rendersi conto che quello che c’è in gioco è la dignità di noi stessi. Siamo noi i primi interessati a trasmettere un pianeta abitabile per l’umanità che verrà dopo di noi. è un dramma per noi stessi, perché ciò chiama in causa il significato stesso del nostro passaggio su questa terra”.
Per nuova spiritualità ecologica
Rebecca Solnit, citata in apertura, sostiene che “la speranza non è la stessa cosa della felicità, della fiducia o della pace interiore: è un impegno a cercare opportunità”. Quella ricerca dovrà portare a una trasformazione del sistema di valori, basata anche su una rinnovata dimensione spirituale, a un nuovo modo di percepire il nostro rapporto con la natura e a fare tutto il possibile per curare la Terra. Prima che sia troppo tardi.