Santo Cielo. Una breve storia del tempo

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Nella notte tra sabato e domenica guadagneremo un’ora di sonno in più grazie al passaggio dall’ora legale a quella solare. Prendendo spunto da questo cambio dell’ora, permettetemi di raccontarvi, in pochi minuti, la storia del tempo misurato.

Il tempo scorre
In principio, l’umanità ha calcolato il tempo osservando e seguendo il ritmo delle stagioni. Poi però l’interesse si è spostato all’osservazione delle stelle e dei pianeti e sono nati i calendari e i concetti di giorno, settimana, mese, anno. Ogni popolo, in ogni parte del mondo, ha creato il proprio calendario. Il calendario più singolare è quello ebraico, l’unico che introduce il sabato, il giorno del riposo. Quel giorno non è lavorativo e se ne sta lì, a indicare che il tempo non appartiene all’essere umano, ma a Dio. È Dio che dona il tempo all’umanità. E non solo il tempo per lavorare, ma anche per riposare.

Andiamo avanti
Più tardi, per poter suddividere la giornata in modo regolare, nasce l’orologio, che stacca e separa gli eventi umani – il lavoro, il riposo, la produzione – dai ritmi naturali e consente per la prima volta di misurare il tempo e di scomporlo. Ma la vera rivoluzione consiste nel fatto che, grazie all’orologio, per la prima volta il tempo non è più un dono di Dio, ma una risorsa che si può usare, comprare, vendere e manipolare.

Non bisogna aspettare il padre fondatore degli Stati Uniti, Benjamin Franklin per sentir dire che “il tempo è denaro”. Già nel Quattrocento, infatti, il filosofo, pittore e architetto italiano Leon Battista Alberti ammonisce che il tempo “è cosa molto preziosissima”, che “perdesi nollo adoperando”. E con ciò nasce una concezione utilitaristica e produttivistica del tempo che porta dritto all’introduzione della disciplina di fabbrica.

Orologio e catena di montaggio
Nella fabbrica è la macchina a dettare i tempi, seguendo il ritmo dell’orologio. Certo, per arrivare al ritmo di fabbrica ci sono voluti diversi secoli e non poche lotte: è stato necessario convincere i contadini, abituati a calcolare il tempo a giornate, e più tardi gli operai, che si sono opposti ai nuovi ritmi di lavoro disertando e usando la violenza: i primi socialisti distruggevano le macchine e quelli della comune di Parigi sparavano agli orologi. Da tutte quelle lotte nasce il principio della contrattazione del tempo di lavoro. Si arriva alle famose “otto ore”: otto ore di lavoro, otto di riposo, otto di vita. E si arriva al tempo libero, che lentamente si trasforma però nel “tempo del consumo”.

Liberi di consumare
Così anche quello che doveva essere il “tempo per sé stessi” entra nella logica economica: quello che doveva essere tempo liberato dall’affanno diventa una sequenza di opportunità da cogliere, con l’angoscia continua di non riuscire a coglierle tutte. Questa è la società in cui tutti e tutte siamo stati generati ed educati al punto da ritenerla ovvia e naturale. Una società dai ritmi frenetici, guidata da imperativi economici che spingono verso la saturazione del tempo, la colonizzazione del tempo di vita da parte del lavoro, l’espropriazione di ogni attimo di tempo da parte della logica del profitto.

Il tempo nelle nostre mani
Siamo arrivati alla fine di questa breve storia del tempo misurato: come tutti sappiamo, oggi si contrappongono una logica dell’efficientismo, che vorrebbe realizzare una “società perennemente attiva”, in cui non ci sono distinzioni tra giorno e notte, tra giorni feriali e festivi, tra stagioni diverse, da un lato, e le rivendicazioni di un “tempo sensato”, di una società più “lenta” e più vicina ai ritmi della natura, più sobria nei consumi, dall’altro. E noi, nel mezzo, con il nostro orologio in mano, a spostare indietro le lancette (ma ormai nemmeno più quello dobbiamo fare, ci pensa l’orologio da solo a farlo) per dormirci sopra un’ora in più.