Tributo in onore di Grytzko Mascioni in Casa Console

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«A vent’anni dalla scomparsa di uno degli esponenti culturali di maggior spessore di quell’area che lui amava definire retica, è un piacevole dovere ricordare la figura di Grytzko Mascioni», così in apertura di serata Moreno Raselli, responsabiledi Casa Console.

Al pubblico strabocchevole e attento Raselli, con felice intuizione, ha subito  offerto le argute e acute parole dello stesso Mascioni, registrate in un documentario (Lettere dalla Svizzera) trasmesso dalla RTSI il 12 aprile del 1998: «Questa è Campocologno la capitale dell’universo. Questo è il centro del mondo. Quella è la montagna più alta del mondo: si chiama Sasso del Gallo. Sono cresciuto qui con le montagne che mi strapiombavano addosso. Io credo che basti vedere questo posto per capire che uno ha voglia di andare da qualche parte».

E in effetti Mascioni (come sa bene chi ci ha seguito in tutti gli articoli qui pubblicati dall’inizio dell’anno 2023) è stato molto altrove, grazie anche ai passaporti svizzero e italiano, per giungere alfine a due passi da qui, a Villa di Tirano, dove riposa e dove era nato.

Valposchiavino certamente, ma anche valtellinese.

Angelo Schena, presidente dell’Associazione Grytzko Mascioni, fondata a Teglio nel dicembre del 2003, dunque a qualche mese dalla morte dell’illustre letterato, ha brevemente illustrato i motivi dell’attualità odierna della lezione di Mascioni. Lezione recuperata a più riprese dal Liceo scientifico di Sondrio, grazie all’operato del professore (ma anche regista e attore) Gianluca Moiser. L’occasione è stata purtroppo propizia per ricordare un illustre membro dell’Associazione deceduto qualche giorno fa: Ernesto Ferrero, per dirla in breve, direttore del Salone del libro di Torino, scrittore e saggista.

Due sono i libri citati da Raselli.

Il primo, “Un mondo di valle”, che nel 1998, grazie al Progetto Poschiavo è entrato nelle biblioteche familiari di tutta la valle. Qui le foto di Piotr Jaxa accompagnavano i testi di Mascioni. Foto accostate in tutta libertà, come ha voluto ricordare in un collegamento il fotografo polacco, collaboratore di tre grandi registi suoi connazionali, Kieslowski, Wajda e Zanussi.

Della seconda opera editoriale diremo più avanti.

Dopo i dovuti tributi si è passati alla parte spettacolare della serata.

Moreno Raselli: «Abbiamo affidato la lettura degli splendidi testi all’attrice Gigliola Amonini, accompagnata al pianoforte da Astrid Schumacher. Due donne, cittadina valtellinese la prima e valposchiavina d’adozione la seconda, artisticamente unite nel ricordare l’anima transfrontaliera di Mascioni. Brani caratterizzati da una prosa poetica e densi di rispetto e riconoscenza nei confronti di una vallata alpina che da sempre ha saputo affrontare con coraggio e determinazione le sfide che si sono presentate. Un vero e proprio inno alle origini che merita di essere riascoltato».

Questa parte della serata è stata particolarmente intensa e felice. Amonini è attrice, ma anche regista della sapiente commistione di parole, musica e immagini (qualcuna delle foto scattate da Jaxa).

A chi scrive piace poco l’aggiunta di immagini e musica che finiscono spesso per tradire la poesia. Così non è stato a Poschiavo. Poche immagini, prima di tutto. E poi la musiche di Chopin Debussy, Fauré, Liszt, Shostakovich e Schumann sono state per lo più usate come estensione poetica delle composizioni verbali. Si veda ad esempio la pagina del copione (molto gentilmente messo a disposizione da Amonini) dedicata a San Romerio con Liszt. In altre letture  la musica è proprio sparita, molto opportunamente: per esempio nella notissima poesia “Il contrabbandiere canguro”, drammatica di suo.

Insomma, una bella prova compositiva.

Uno splendido scrigno di poesie e disegni

Si è detto sopra di un’altra opera celebrativa. In occasione dell’assegnazione a Mascioni del Gran Premio svizzero Schiller 2000, Manuela Camponovo e Franca Tiberto, sodali fidate di Mascioni, curarono un sontuoso cofanetto che tiene insieme poesie e disegni di Mascioni. In una foto si può vedere l’insieme riferito alla poesia sul “Contrabbandiere” citata sopra. Da segnalare anche la presenza di “Tre frammenti retici” (“Resta laggiù” del 1990, “La mia Rezia” del 1991 e “All’antica trattoria La Frontiera” del 1992).

Ma ancora più attuale e struggente, pensando alle odierne “difficoltà” viarie sulla ferrovia e sulla cantonale del Bernina è una composizione dedicata alla frana di Zarera del 1988 (inserita nel libro “La vanità di scrivere)”.

Frammento di un sepolto a Zarera

Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole resteranno. (Vangelo di Luca, XXI, 33)

Come dura nel tempo questa estrema sera del mondo sera di Zarera… Arroccati nel fumo dei tuguri, nel sonno del pianoro sotto cima, micropoli di monte addormentata, un vento lieve che taluno intese fra noi più desto (un sibilare a struscio sui bigi sassi, sulle annose assi della porta di casa, inchiavardata), si fece tuono e sghignazzò feroce, voce atroce e improvvisa del destino. Udì: e gli parve udire il maestoso corno di caccia del Giudizio; tale, l’inizio del funesto precipizio che a morte addusse, a morte ci condusse, anime in pena: nell’attimo compresso della frana, nell’istante assoluto della rovina che ci uccise in massa, strage assassina.

Si affianca il commento del poeta

Zarera non c’è più. Dissolta, pare: gente animali e miseri relitti, divorata da un cielo immemoriale. Ma la mia voce senza corpo vaga là dove stavo accanto al focolare, dove dal fango rifiorì sterpaglia: là mi aggiro nel mondo senza tempo e senza mondo e prefiguro il nulla della sera del Sabba che sbaraglia la stregata speranza che ci sia una sola città: cui non tocchi la sorte di Zarera, foriera di una vuota eternità.

P.s.1: Se non sbagliamo in Casa Console dovrebbero essere ancora disponibili copie del cofanetto.

P.s. 2: Raselli ha comunicato che Casa console ospiterà dal prossimo 16 dicembre una quarantina di opere del zurighese-bregagliotto Willy Guggenheim, universalmente noto come Varlin.

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