Santo Cielo. Elogio dell’indignazione

0
630

È incredibile la facilità con cui ci abituiamo alla morte: alla morte della coscienza, alla morte sulle strade, alla morte violenta. E la cosa peggiore non è il male o la sofferenza in quanto tali, ma il fatto che ci facciamo l’abitudine e finiamo per accettarli, ci ritiriamo in noi stessi e diventiamo indifferenti.

Tramonto dell’empatia

Molti giovani sono a lungo disoccupati e privati di ogni prospettiva: ci si fa l’abitudine. Molti giovani diventano tossicomani: si abitua anche a questo. Per acquistare la droga hanno bisogno di denaro e quindi diventano ladri e criminali: si fa l’abitudine anche a questo. Uomini giovani muoiono a centinaia per la guerra: quasi non ci facciamo più caso. Ogni giorno migranti colano a picco nel Mediterraneo: ci siamo abituati. Donne vengono abusate, sono vittime di violenza: ci giriamo spesso dall’altra parte.

Trionfo dell’indifferenza

Nell’ambito del lavoro come in quello delle relazioni quotidiane si verificano soprusi: si nasconde tutto sotto il tappeto. Malati, andicappati e diversi vengono emarginati, esclusi perché non competitivi: si fa l’abitudine anche a questo. Maggioranze schiacciano minoranze, ricchi poveri, furbi onesti, uomini donne: ci si abitua. Il ritmo con cui consumiamo risorse ed energia mette a rischio la nostra stessa sopravvivenza: si fa l’abitudine anche a questo. L’ambiente è minacciato dall’inquinamento: ci si fa l’abitudine. Intere popolazioni sono falciate dalla fame e dalla guerra: si sopporta tutto con una scrollata di spalle.

Indignazione come antidoto

Ci siamo abituati alla minaccia della morte atomica, e non abbiamo il coraggio di abbandonare l’opzione nucleare; ci siamo abituati alla distruzione dell’ambiente, e non siamo pronti a lasciare a casa la nostra auto; inseguiamo il miraggio dell’efficienza e del successo, e non riusciamo ad ammettere che questo ci rende ingiusti e disumani.
C’è forse un unico antidoto a questa morte strisciante che ci avvolge con le sue spire, e si chiama indignazione. D’accordo, a volte sembra che non ne valga la pena: che cosa cambia? L’indignazione sembra essere la virtù degli sconfitti, appare inutile, privata, senza sbocchi né pubblici né politici. Ma non è così.

Chi tace acconsente

Intanto perché è l’unico modo che abbiamo per resistere: non resiste chi non sa indignarsi, e se finisce l’indignazione, finisce tutto. Può darsi che oggi l’indignazione sia in crisi a causa delle sconfitte subite. E allora viene da dire che indignarsi non serve a niente, che è inutile avere i nervi a pezzi, non serve gridare se nessuno ti ascolta, meglio rinunciare e contentarsi del poco che si ha… ma rinunciare all’indignazione significa rinunciare a resistere, significa dare ragione a chi ci ha sconfitto. Non dimentichiamo che chi tace acconsente.

Indignarsi è importante

L’indignazione è necessaria, indispensabile, è la migliore alleata nella lotta contro l’accettazione della morte della coscienza e della logica violenta, ci permette di reagire. Chi si indigna ama la vita, solo chi ha accettato la morte non si indigna più.
Se ho capito bene, anche Gesù si indignava, spesso e parecchio. Neanche lui riusciva ad abituarsi al dolore, alla sofferenza, all’ingiustizia. Le ha prese, ne ha prese tante, ma non ha accettato di dare ragione ai suoi avversari e non è stato sconfitto.