Negli scorsi giorni, Paolo Chiesa, già campione italiano di sci e oggi cronista sportivo, parlando di Marco Odermatt lo ha definito un “alieno” e un “extraterrestre”. E commentando il modo di sciare del campione rossocrociato, ha affermato che “non è di questo mondo”. Detto in altre parole, ha attribuito allo sciatore di Buochs caratteristiche che in altri tempi sarebbero state quelle di un eroe mitologico, o di un semidio. Una prova ulteriore del fatto che nel vocabolario dei commentatori sportivi ricorrono oggi, con una certa frequenza, riferimenti, metafore e immagini che rimandano al mondo religioso.
Metafore religiose
Il legame tra linguaggio sportivo e religioso emerge anche intorno ai campi di calcio. Mentre alcune squadre “risorgono” e riconquistano “fedeli”, altre proseguono la loro “via crucis” inanellando risultati negativi e precipitando in classifica. E così, mentre procede la secolarizzazione della società e il cristianesimo assume un ruolo secondario, il suo vocabolario continua ad essere usato, senza perdere il suo significato. La metafora religiosa è un pratico serbatoio, da cui attingere espressioni come “pellegrinaggio”, o “fedeli” di una squadra in cui si “crede”. E spingendoci oltre l’orizzonte cristiano, non avete mai sentito parlare di Wimbledon come “Mecca” del tennis?
Sport e religione
“Se si considera la religione come un centro attorno al quale una persona organizza la propria esistenza”, afferma lo studioso del fatto religioso Olivier Bauer, dell’Università di Losanna, “allora per un certo numero di persone lo sport è paragonabile a una religione”. Quando l’agenda è determinata a partire dagli incontri del proprio club preferito, conclude Bauer, “lo sport assume il ruolo che potevano assumere le religioni tradizionali: dà un senso alla vita”.
Ruolo del divino
All’interno di simili sistemi, grandi atleti vengono messi al posto della divinità. Tra i molti possibili esempi, basti citare quello di Diego Armando Maradona, ancora oggi idolatrato a Napoli. A volte è lo sport stesso ad essere venerato e posto al centro dell’esistenza. Ad assumere caratteristiche divine può essere la prestazione atletica, ma anche il superamento dei propri limiti, il piacere di correre. Può anche essere semplicemente il piacere di seguire una squadra, di vibrare all’unisono con altre migliaia di spettatori in uno stadio, di festeggiare un titolo.
Fanatismo sugli spalti
Così come nel mondo delle religioni esistono forme di fondamentalismo, anche in quello sportivo è purtroppo presente il fenomeno dell’hooliganismo. In entrambi i casi si tratta di pulsioni e di istinti di rivalità, iscritti nella natura umana ed esacerbati dai grandi assembramenti, dalla folla, dall’anonimato. Si tratta di forme di antagonismo tanto forti da giustificare il ricorso alla violenza.
Di fronte a certi eccessi, viene da chiedersi perché molti nutrano una passione tanto sfrenata. Che si tratti di surrogati che riempiono i vuoti lasciati dalla politica o dalla religione, che non sono più in grado di dare un senso, di proporre una visione, di riunire le persone intorno a un ideale? A questo proposito, Umberto Eco aveva espresso un duro giudizio: i tifosi del calcio sono tutti “barbari, razzisti, antisemiti e sciovinisti che non credono in Dio, ma nella Lazio, nel Borussia, nel Glasgow o nel Celtic”.
La vita come una corsa
Nell’antichità, lo sport e la religione sono stati spesso strettamente legati fra loro. I giochi olimpici, nati in Grecia nel 776 avanti Cristo, erano innanzitutto una cerimonia religiosa: la statua di Giove era al centro del quadrilatero sacro di Olimpia. Anche nell’America precolombiana, in Messico, si praticavano giochi con la palla che erano, innanzitutto, cerimonie religiose. E nell’America del sud si disputavano delle gare di corsa, dunque delle competizioni sportive, a carattere sacro.
L’apostolo Paolo di Tarso, che probabilmente era un appassionato di sport, o comunque andava allo stadio dove seguiva a volte le competizioni, nella prima lettera scritta alla comunità cristiana di Corinto paragona la vita cristiana alla corsa nello stadio e alle competizioni sportive. E usa l’esempio dei giochi che si svolgono nello stadio per dire che i cristiani dovrebbero considerare la propria vita come una corsa che va affrontata tenendo gli occhi fissi al traguardo da raggiungere. Un modo curioso di indicare il possibile legame tra sport e religione, e un invito, alla religione, a interrogarsi sul rapporto che abbiamo con il nostro corpo, sul ruolo del movimento e sul piacere di superare i propri limiti.