Santo Cielo. Una mano di verde ripulisce la coscienza?

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“Per noi agire in modo sostenibile significa armonizzare gli aspetti economici ed ecologici. Ricicliamo circa il 90% del materiale che ci viene consegnato. In questo modo preserviamo le risorse naturali e lo spazio limitato delle discariche”. Lo afferma, sul proprio sito, una nota ditta di costruzioni svizzera, impegnata nei lavori di ristrutturazione del tunnel del Loetschberg.

Come molte altre ditte, anche questa tiene a sottolineare il fatto di operare nel rispetto di criteri etici ed ecologici, proprio come tutti vorremmo che avvenisse.

Trote morte e traversine tossiche

Peccato che la stessa ditta, nel maggio 2020, abbia causato un disastro ambientale inquinando il Blausee, nella Kandertal, e provocando la morte di migliaia di pesci. All’origine del grave caso di inquinamento, il riversamento, in una zona di protezione delle acque, di ghiaia contaminata da sostanze tossiche proveniente dalle massicciate del tracciato ferroviario.

Come se non bastasse, la scorsa settimana è emersa una nuova vicenda che vede coinvolta la stessa ditta. E nuovamente il contesto è quello dei lavori di risanamento del tunnel del Loetschberg. Stavolta si tratta delle traversine, in legno, impregnate con olii tossici. Quelle traversine – si tratta di 13’100 pezzi – dovrebbero essere smaltite in sicurezza, bruciate in appositi impianti di incenerimento. Per lo smaltimento, l’ente pubblico versa alla ditta chf 19.60 per ogni traversina. Ma invece di essere regolarmente smaltite, le traversine sono state vendute in Belgio, a chf 19.40 il pezzo. Anzi, non risulta neppure che siano mai giunte in Belgio, perché strada facendo sono forse state imbarcate ad Antwerpen e consegnate a una ditta inglese che le rivende come materiale da costruzione per giardini.

Etica, bugie e coscienze sporche

Nulla di nuovo sotto il sole, purtroppo: siamo di fronte all’ennesimo caso di “greenwashing”. Di che cosa si tratta? Oggi “essere green”, e dunque “verdi”, attenti alle problematiche ambientali, è molto di moda. Alcune aziende pensano perciò che basti far finta di dimostrare un attaccamento all’ambiente e al pianeta per guadagnare punti in reputazione e immagine.

Ma perché le aziende dichiarano di essere “eco-friendly” quando in realtà non lo sono? Si tratta di una pratica ingannevole, usata come strategia di marketing per dimostrare un finto impegno nei confronti dell’ambiente con l’obiettivo di catturare l’attenzione dei consumatori attenti alla sostenibilità, che oggi rappresentano una buona fetta di pubblico. Viene fatto attraverso campagne e messaggi pubblicitari o in qualche caso – come quello che ha visto coinvolta una nota influencer italiana, venditrice di panettoni – persino iniziative di responsabilità sociale.

L’obiettivo del greenwashing quindi è duplice: valorizzare la reputazione ambientale dell’impresa e ottenere i benefici in termini di fatturato (perché aumenta il bacino di clientela).

Ecologismo di facciata

Da un lato, i consulenti aziendali propongono oggi l’etica come un elemento che si vende bene. L’etica, si dice, contribuisce ad aumentare il valore del prodotto. Non a caso i fondi d’investimento etici danno buoni risultati e sono in continua crescita. Dall’altro lato, molte aziende continuano ad operare ignorando quei criteri – cercando spesso di ingannare gli organi pubblici di controllo e, in definitiva, il pubblico degli acquirenti dei loro servizi e prodotti.

Il caso della ditta impegnata nel risanamento del Loetschberg è paradigmatico: “gli aspetti ecologici” menzionati nelle direttive in base alle quali la ditta dovrebbe operare, sono stati disattesi, mentre ad essere privilegiati sono stati quelli “economici” – il materiale tossico non è stato trattato in modo corretto e, tra sovvenzioni pubbliche e ricavato della vendita ai limiti della legalità delle traversine, nelle casse della ditta è piovuto almeno mezzo milione di franchi.

Strumentalizzazione dell’etica

A questo punto, è comprensibile che si levino voci preoccupate, le quali mettono in guardia nei confronti del possibile asservimento dell’etica alla logica mercantile. Il pericolo concreto è che il discorso etico, dei valori, si riduca a un volgare espediente destinato ad accrescere il consenso, a tacitare le eventuali critiche e ad aumentare le vendite. Anche l’etica rischia di finire, in altre parole, sotto l’onnipotente controllo dell’economia, così come sono sempre più succubi delle logiche economiche tutti i settori della nostra società, religione e chiese comprese.

Parafrasando un noto detto, “non è tutto etico quello che viene presentato come tale”. Non vogliamo essere presi in giro: se etica dev’essere, allora sia l’etica della giustizia e del rispetto dei diritti umani. Tutto il resto va denunciato – e quando necessario sanzionato – per quello che è: un miserabile specchietto per le allodole.

3 COMMENTI

  1. Caro Nando, in effetti l’accenno alle “chiese e religioni” merita qualche spiegazione. Il riferimento è ai dibattiti, in atto in diversi paesi, sugli investimenti effettuati da istituzioni ecclesiastiche e organismi religiosi in settori quali fabbriche di armi, aziende produttrici di energia, compagnie minerarie. In Italia, ad esempio, tre riviste cattoliche (“Missione Oggi”, dei Saveriani, “Nigrizia”, dei Comboniani, e “Mosaico di Pace”, di Pax Christi), promuovono da anni una campagna contro gli investimenti nelle cosiddette “banche armate”, cioè quelle banche che investono nel settore (molto redditizio) della produzione di armi. La campagna critica gli enti ecclesiastici che affidano i loro soldi alle “banche armate”, favorendo dunque indirettamente il commercio delle armi. Un dibattito simile è in corso nel Regno Unito, dove la Chiesa anglicana sta decidendo di ritirare i propri investimenti dalle compagnie produttrici di energia da fonti fossili. Per anni, infatti, la Chiesa d’Inghilterra ha investito ingenti somme ad esempio nella Shell. Per coerenza con i principi del rispetto dell’ambiente, è ora in atto una campagna di disinvestimento da simili compagnie. La coerenza, o la mancanza di coerenza, passa insomma anche dal modo in cui chiese e religioni decidono di investire il proprio denaro.