“Rosella” chiude i Monologanti: sfida al destino per la propria ‘Joie de vivre’

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Domenica 14 aprile, per l’ultimo capitolo della rassegna ‘monologanti’, Casa Besta ha ospitato Egidia Bruno che ha portato in scena ‘Rosella’, un lavoro scritto insieme ad Alberto Saibene. Oramai affermato teatro di innumerevoli spettacoli e crocevia di talenti, Casa Besta ha offerto anche questa volta al pubblico un’esperienza indimenticabile.

Rosella, una giovane donna proveniente da un piccolo paese della provincia lucana, decide di trasferirsi a Milano spinta dai vantaggi che la città offre: opportunità di lavoro, libertà individuale e la possibilità di sfuggire ai vincoli sociali del suo paese d’origine. Tuttavia, Milano si rivela inizialmente estranea e alienante per Rosella, confrontandola con situazioni e persone diverse da quelle a cui era abituata.

Nonostante trovi lavoro alla Innocenti di Lambrate e incontri alcuni uomini, Rosella non si sente appagata: cerca di capire se stessa e i suoi desideri. Trova conforto e affinità in una famiglia milanese benestante per cui lavora come domestica, scoprendo una nuova prospettiva di vita e apprezzando la gentilezza e l’accoglienza ricevute.

Gli eventi politici come la strage di piazza Fontana e le proposte di attivismo sindacale da parte di un’amica la portano a essere più consapevole del suo ruolo nella società. Nonostante le iniziali perplessità, si impegna nel conseguimento della licenza media e si avvicina a tematiche come i diritti delle donne e la contraccezione, pur mantenendo una certa distanza dall’attivismo politico.

Il suo percorso personale la porta a costruire una vita autonoma e indipendente a Milano, dove trova lavoro in un’agenzia pubblicitaria e riesce a comprarsi una casa. Tuttavia, nonostante i successi professionali e gli anni trascorsi a Milano, rimane in lei un legame profondo e pieno di contrasti con con il suo paese d’origine.

Un ritorno temporaneo in Basilicata le fa riscoprire il senso di appartenenza e di identità che Milano non le offre, d’altra parte rimane sempre convinta che ciò che può offrirle la città, lei non lo potrà trovare nel paese. Alla fine della sua vita lavorativa, si pone la domanda se valga la pena tornare a Milano, trovandosi libera da impegni e senza necessità particolari. Il finale aperto non ci da modo di conoscere la scelta di Rosella ma solo di immaginarla nella nostra mente.

Il monologo offre un ampio spettro di spunti di riflessione. Lo stile scelto da Egidia Bruno per la resa drammaturgica permette agli spettatori di identificarsi o meno nella protagonista, consentendo anche di immaginare il finale stesso.
Il testo è caratterizzato da un’intensità costante e da una gentilezza autentica. Anche i momenti più drammatici della vita di Rosella sono trattati con delicatezza, e le rare situazioni di inadeguatezza si trasformano in ironia.

I temi predominanti del monologo riguardano l’emancipazione, le differenze culturali tra nord e sud nell’epoca dell’unificazione mediatica d’Italia e i diversi stili di vita che contrappongono la provincia alla città. È particolarmente eloquente il tema dell’emancipazione: Rosella rifugge qualsiasi legame che possa richiamare un nucleo familiare tradizionale e cerca la realizzazione personale al di fuori del matrimonio e della maternità, sfidando così il destino imposto alle donne nel suo paese d’origine.

Si pone l’interrogativo se Rosella abbia trovato un’alternativa valida al destino che l’avrebbe vista succuba nel suo piccolo paese natale. Da un lato, sembra che non abbia rielaborato il proprio passato in modo tale da trovare un senso alternativo, vivendo una vita che, a quanto descritto non ha lasciato spazio ad amore – il che potrebbe essere considerato come una realizzazione mancata. Dall’altro, sembra che sia stata radicalmente forte, rimanendo se stessa nonostante tutto e dimostrando una certa indifferenza verso le situazioni esterne tranne per i suoi sogni e desideri personali. Il fatto che manchi una rielaborazione coscienziale del proprio vissuto, fa venire in mente quello che intravede Walter Benjamin nella sua filosofia del passagenwerk: l’azione degli uomini nell’età consumistica è propriamente «aintenzionale». La vita trascorre come in sogno ed è sottratta sia alla coscienza sia alla capacità progettuale. La relazione stabile che predilige Rosella è quella con la sua routine e con gli oggetti, pregni di significato, che completano la sua abitazione. E, in fin dei conti, sembra che l’idealità sia lo strumento principale che ha usato per abitare la sua realtà: orizzonte che è centro autoreferenziale della sua esistenza, dove difficilmente qualcuno è riuscito ad accedervi e, eventualmente, solo per poco tempo.

L’accoglimento del finale aperto potrebbe essere immaginato non tanto come scelta tra le due: “vivere a Milano o tornare nel proprio paese?” quanto come finale propriamente aperto e in-deciso: apertura autentica verso uno spazio di sviluppo coscienziale, in cui il proprio sé governa la percezione delle condizioni materiali e contingenti, dove si riconosce che ogni luogo ha i suoi costumi e le proprie tradizioni, e che essere liberi significa un’altra cosa. Ricordando, magari, i versi della poesia La città di Kostantinos Kavafis: “Dicesti: «Andrò in un’altra terra, su un altro mare. Ci sarà una città migliore di questa. Qui, ogni mio sforzo è una condanna scritta; e il mio cuore giace sepolto come un morto. […] Verso altri luoghi – non sperare – non c’è nave per te, non c’è altra via. Come hai distrutto la tua vita qui in questo cantuccio, nel mondo intero l’hai perduta».”