Chez Alcantino, atelier di Valerio Righini “Corrispondenze”, con il ticinese Matteo Bianchi

0
272

In un’atmosfera carica di suggestione e memoria, l’arte ha preso voce tra le mura dell’Officina d’arte Alcantino di Madonna di Tirano, dove il 2 maggio si è tenuta una serata speciale dedicata alle “corrispondenze” artistiche e poetiche tra alcune delle figure più significative del Novecento alpino. A inaugurare il nuovo ciclo di incontri ideato da Valerio Righini è stato Matteo Bianchi, editore e già conservatore del Museo Villa dei Cedri di Bellinzona, che ha saputo intrecciare con rara finezza storie, linguaggi e visioni. Al centro della conferenza, intitolata appunto Corrispondenze, il dialogo tra lo scultore tiranese Mario Negri, il pittore tellino Enrico Della Torre e il poschiavino Wolfgang Hildesheimer, con un ideale richiamo anche ad Alberto Giacometti. Un confronto intenso e poetico che ha restituito al pubblico un mosaico di esperienze artistiche legate da affinità profonde, nonché da una comune fedeltà alla verità dell’arte e al suo inscindibile legame con la natura.

Valerio Righini

All’Alp Grüm, (…) lassù bisogna disporre le sculture all’aperto. Per carità non a St. Moritz-Bad, tra vapori e sudori, saune ed unguenti, accappatoi e vestaglie, giardinetti alpini artefatti e ben coltivati.

Solo lassù, nei pascoli delle malghe dell’alto-piano, le sculture debitamente messe a dimora, finalmente libere, potranno vivere una loro autonoma vita, come i massi erratici. E nelle notti di luna piena vi sembreranno essere state li da tempi immemorabili”.

Lo scultore tiranese Mario Negri è l’autore di questa invocazione, raccontata nel libro “Note di studio”, curato da Stefano Esengrini e pubblicato a Bellinzona da Pagine d’Arte sintomi. E proprio l’editore ticinese Matteo Bianchi ha inaugurato il ciclo di conferenze proposte da Valerio Righini a Madonna di Tirano nella sede di Alcantino, sua officina d’arte. Officina, la sera del 2 maggio, affollata di estimatori valtellinesi, grigioni e, per l’occasione, ticinesi, chiamati a raccolta dalle ricorrenti intriganti proposte di Righini.

“Corrispondenze” il titolo scelto da Bianchi per la sua conferenza. “Non di amorosi sensi” come vuole nei Sepolcri Ugo Foscolo, bensì, per cominciare, di simpatia e reciproca cordialità tra Mario Negri e l’altro protagonista della serata il pittore Ernesto Della Torre, frequentatore assiduo di Teglio. Con un terzo convitato, citato brevemente nella serata, tuttavia ben presente, il poschiavino Wolfgang Hildesheimer. Per arrivare ad un quarto, re del mercato artistico, il bregagliotto Alberto Giacometti.

Si diceva sopra di “Corrispondenze”, Bianchi aggiunge spiegazioni: «Per cogliere il sentimento della verità poetica, detta nella propria lingua, per esprimere il concetto di arte sincera cara ai simbolisti (di ogni tempo, quindi fuori dal tempo) si attua la figura suggestiva della corrispondenza analogica, del confronto libero, attuato a distanza soltanto apparente, teso a individuare le interferenze linguistiche e i punti di contatto esistenti fra le diverse lingue dei singoli artisti, fra le loro istanze poetiche, lette nella gestione del rapporto infinito fra arte e natura, tradotte con gli strumenti culturali di ciascuno».

Già evocato, ecco come Hildesheimer si è rapportato mirabilmente all’opera di Enrico Della Torre:

Il metodo di astrazione di Della Torre consiste nel ritrasformare l’oggetto in idea, riducendolo e ampliandolo nello stesso tempo; del processo creativo ci mostra per così dire una possibile rilettura per moto contrario. Il suo tratto o la sua pennellata, che paiono spesso noncuranti, guidati da un impulso del tutto spontaneo, non definiscono l’oggetto ma la sua essenza e il suo effetto: non l’uccello ma il suo volo, non il corpo ma il suo respiro, non il paesaggio ma il suo topografico e atmosferico essere altro“.

Matteo Bianchi esemplificando ulteriormente ha voluto ricordare di Della Torre il suo modo di operare di prima intenzione con il collage (tecnica scelta anche come ben sappiamo da Hildesheimer): «Il collage inteso come modello di soluzioni impreviste si configura per frammenti di poesia e di vita quotidiana, idee, ricordi e motivi agiscono in contaminazione; il collage produce uno spazio in libertà con ordine, legato alle corrispondenze: una struttura aperta sulla varietà; l’immagine custodisce la differenza, la sua poetica del frammento si attua nel corpo dell’opera, nelle sue diverse articolazioni: il collage latente nella pittura di Enrico Della Torre si esprime nella sua lingua con i suoi mezzi, forti nella tradizione, delicati nell’uso singolare».

In più Bianchi ci ha rivelato un agire paradigmatico di Della Torre: terminato il collage questo veniva smontato e riposto in una busta. All’occasione lo ricomponeva, spesso, giocosamente, in maniera diversa.

Mario Negri (le cui figlie Chiara, Marina e Maria Laura hanno voluto essere presenti alla serata) ebbe a  confessare che “le mie sculture sono la mia voce, il mio pensiero, la mia azione più autentica, non le mie parole o i miei discorsi sull’arte”.

Nel volume “Note di studio” sopra citato Negri mescola godibilmente qualche risentimento e molta ironia. Ecco tre esempi.

C’è stato un tempo in cui A[lberto] G[iacometti]

milanese è stato solo mio. (…) Andavo per le strade con lui, qui a Milano, negli anni Cinquanta e la gente si voltava appena a guardare quel tipo fuori dell’ordinario per via dei suoi folti capelli dritti come la raggiera di un santo medioevale, il suo passo sbilenco e strascicato, l’abito dimesso e trasandato. Nessuno per molto tempo volle conoscerlo e nemmeno sapeva – o quasi – chi era.

Per me era l’uomo più vero e l’artista più autentico che avevo incontrato in tutta la mia vita”.

Ancora sul bregagliotto: “È autunno, passeggio in piazza Lavater che vagamente ricorda non so quale angolo di Parigi e che è famosa, qui a Milano, per i grandi aceri australiani che vi sono piantati. Alberi assai ricchi di fronde, e infatti cammino calpestando una spessa soffice coltre di foglie cadute; guardo in alto: ce ne sono altrettante.

Ricordo quando, seduti ai tavoli di un caffè all’aperto proprio in questa piazza, G [iacometti] mi diceva: «Mi piace molto disegnare le piante. Disegno sempre i meli che stanno nel brolo di fronte al mio atelier del paese, là oltre il muro di cinta. Ho l’accortezza di disegnarli solo in autunno inoltrato o in inverno quando sono spogli, perché altrimenti in primavera o in estate, mentre disegno, mi verrebbe voglia di fare, una dopo l’altra, tutte le foglie. Un’impresa assurda, e poiché io non sono un pittore post-impressionista o tachiste (n.d.r. chi appartiene alla corrente di metà Novecento nota anche come “Arte informale”), non posso cavarmela con una macchia o una spatolata di verde.

lo le dovrei disegnare ad una ad una, il che, oltre ad essere sciocco, non sarebbe plausibile. È per questo che gli alberi hanno per me due sole stagioni».

E per finire il giocoso e pensoso saltabeccare sul confine. “Al passo della Forcola, seduto sul cippo di confine come su di uno spartiacque, vedevo contemporaneamente due vallate: quella che sale ripida e stretta, su dalla “Rosa”, dai fianchi molto scoscesi, spettrali e friabili come immense frane di sabbia, e l’altra che in un susseguirsi continuo di curve e controcurve, di discese dai brevi tratti rettilinei scende, accompagnata da un allegro torrente, verso la Valle della Spöl, dove si distende Livigno.

Il mio gioco innocente consisteva, stando seduto, nel tenere una gamba in uno Stato e l’altra nell’altro con un po’ di derisione, invero, verso l’esistenza del confine stesso.

Poiché tutto era simile in quelle due parti divise, quella linea di demarcazione segnata da una grossa pietra conficcata per terra mi sembrava assurda. Che divideva? Non era medesima e immutata la terra, le sue erbe, i suoi alberi, le sue rocce?

Temendo un probabile giro di ronda delle guardie di frontiera, rientrai lestamente senza mostrare, a quel sasso, alcun passaporto”.

_________________

Matteo Bianchi (Lugano, 1954) è stato per vent’anni conservatore del Museo Villa dei Cedri di Bellinzona dove ha realizzato mostre d’arte moderna e contemporanea, fra le quali: Anker, Fautrier, Claudel, Tallone, Carpi, Kokoschka, Adami, Tadini, Valenti… Ha dedicato particolare attenzione all’opera su carta, al collage, alla fotografia e al rapporto fra testo e immagine.
Editore di Pagine d’Arte con sua moglie Carolina Leite, Matteo Bianchi ha pubblicato libri sugli artisti che ama, fra i quali Mario Negri e Enrico Della Torre del quale il Museo Villa dei Cedri conserva un fondo prezioso.
Le edizioni Pagine d’Arte hanno sede nella Casa Museo Luigi Rossi (1853-1923), pittore, illustratore “elvetico-milanese-parigino” bisnonno di Matteo Bianchi che gli ha dedicato di recente un’ampia retrospettiva alla Pinacoteca cantonale Züst di Rancate nel Ticino.