“Jürg Jenatsch”: una nuova traduzione di Gabriella Rovagnati

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Il romanzo di Conrad Ferdinand Meyer: mix di epos e splatter.

Quest’estate è stata pubblicata una nuova traduzione del romanzo di Conrad Ferdinand Meyer, per opera della germanista morbegnese Gabriella Rovagnati (Mimesis Edizioni). Il volume è corredato da sintetiche, quanto utili, note e da una illuminante introduzione curata dalla stessa traduttrice. Rovagnati cita una felice definizione di Rudolf Pannwitz: Meyer, “creatore d’arte figurativa in parole”. Arte figurativa io la intenderei in senso lato, comprendendo quindi il cinema (e più avanti  riprenderò il tema). Rovagnati ricorda comunque che purtroppo per lo zurighese “a riconoscere le raffinate qualità dei suoi versi e della sua prosa furono i posteri”. Non a caso viene citata per prima l’opera poetica: Rovagnati si ingegna, correttamente, a rivalutarne il valore  e a dimostrazione riporta integralmente tre poesie di Meyer. Resta da ricordare quegli utilissimi libretti grigi di carta scadente, di copertina poverissima e di disastrosa rilegatura. Volumetti che entrarono nelle biblioteche di tantissimi italiani (e di svizzero italiani). Si trattava della BUR (Biblioteca Universale Rizzoli). La prima opera fu “I promessi spossi”, pubblicata nel 1949. Sempre nello stesso anno troviamo come prima opera di un autore in lingua tedesca proprio lo “Jenatsch,” a cui subito seguì “Urfaust” di Goethe (!). Il volumetto allora costava 150 lire, oggi si trova anche a 2 euro.

La traduzione fu curata dallo scrittore ticinese Giuseppe Zoppi: “nome di molto rispetto e di persistente ammirazione”, così scrisse 30 anni fa l’insigne germanista Italo Alighiero Chiusano.

Diamo per scontato che il cortese lettore conosca almeno per sommi capi le vicende narrate da Meyer in quel Seicento così periglioso e importante per le Tre Leghe (Valtellina ovviamente compresa).

Ma ora si impone uno sguardo da vicino al romanzo e ai suoi due/tre nuclei portanti.

« “Giorgio, sta’ in guardia”. Era evidente che quelle parole non potevano che essere state scritte dalla giovane Lucrezia per poter mandare al giovane pastore in Valtellina un segnale di allarme».

Già dal primissimo capitolo ecco evocati i due amanti. Lucrezia Planta e Jenatsch. Storia d’amore, ma anche di morte, di molte  morti: una per tutte…quella di Pompejus, padre di Lucrezia, macellato proprio da Giorgio (o Jürg che dir si voglia). Ritroviamo l’avvertimento nell’ultimissimo capitolo.

« “Sta’ in guardia, sta’ in guardia, Jürg!” », sussurra Lucrezia all’amato, circondato da sicari prezzolati.  Ma, ma poi il passato ritorna e … « il vecchio domestico crollò ai piedi di Lucrezia. Lei si chinò su di lui e lui con uno sguardo offuscato le mise in mano la scure insanguinata. Era l’ascia che un tempo aveva ammazzato il signor Pompejus…sollevò con entrambe le mani l’arma passata in eredità e colpì con tutta la sua forza l’amata testa. Le braccia di Jürg si abbassarono, lui guardò ancora una volta colei che gli stava davanti pieno d’amore, un cupo trionfo volò sui suoi tratti, poi stramazzò pesantemente  a terra».

Finale (meglio, antifinale) che, mi sia concesso, più splatter non si può! E, per quei pochi che non lo sapessero, con splatter si definisce un genere cinematografico caratterizzato da scene di violenza sanguinosa, esplicita e spesso iperbolica. E giustamente la parola inglese si può tradurre con schizzo o spruzzo, appunto.

Il finale ultimo è invece tutto politico (e infatti la politica è un’altra delle chiavi di lettura del romanzo).

Ora abbandoniamo la traduzione di Rovagnati e, come omaggio postumo, usiamo quella di Zoppi: «Passato il primo sgomento, calmatasi la confusione degli spiriti, i capi dello Stato vennero l’uno dopo l’altro a piangere la fine del più grande uomo dei Grigioni, del loro liberatore e salvatore.

Rinunciarono a deferire ai tribunali i colpevoli della sua morte: questi apparivano loro come strumento d’un destino ineluttabile. Dal suo sangue non dovevano sorgere nuove discordie e vendette: egli stesso non l’avrebbe voluto. Ma decisero di seppellirlo con onori insoliti, proporzionati ai servizi da lui resi alla Patria» (l’iniziale maiuscola di Patria è mia).

Da ultimo, sempre perchè è stato attribuito da alcuni al romanzo il valore di pietra miliare,  fondativa, epica (e quant’altro) della Repubblica delle Tre Leghe e quindi del Canton Grigioni, ecco quanto Meyer attribuisce al generale Henri de Rohan: «(Egli) aveva imparato ad amare il paese dei Grigioni e il suo popolo, insieme nordicamente virile e meridionalmente elastico».

E le vicende religiose, terzo caposaldo del romanzo? Beh, se ne parla giustappunto in lungo e in largo nel testo. Leggetelo! 

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Gabriella Rovagnati ha insegnato alla Statale di Milano Storia della Letteratura e Storia del Teatro Tedeschi fino al 2010. Alla docenza e alla ricerca ha affiancato e affianca una costante attività di traduttrice letteraria: per l’insieme della sua opera è stata insignita di importanti onorificenze tedesche  e austriache (vedi www.gabriella-rovagnati.it).

Il volume è reperibile online e nelle librerie.