“Come stai?”, ultimo approfondimento

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Forse ha ragione Dario Brunori, cantautore italiano che ultimamente va per la maggiore, e che un po’ ricorda De Gregori. Come stai sembrerebbe essere davvero la frase, la domanda, più usata e forse abusata al mondo. Così ci presentiamo a chi incontriamo per strada, che sia il miglior amico, o l’ultimo dei conoscenti. Probabilmente ci deve sembrare un modo educato per presentarci agli altri. Ma la risposta l’ascoltiamo per davvero? O è diventata una domanda retorica, un modo qualunque di salutare, più che un qualcosa da prendere alla lettera? Penso che in molti casi prevalga questa seconda ipotesi. Chiediamo a un altro essere umano come sta, come parliamo delle condizioni meteorologiche per riempire spazi, per calmare l’ansia dell’incontro, per eludere l’intimità che potrebbe venire a crearsi e provocarci imbarazzo. E lo facciamo, paradossalmente, attraverso una domanda maledettamente intima, che nel tempo siamo invece riusciti a rendere superficiale e banale, al punto che quasi scompare, perde di senso. Qualcuno un giorno deve aver affermato che non c’è modo migliore per far scomparire una cosa, come tenerla tutti i giorni sotto ai propri occhi. Facciamo una prova. Pensate a un quadro o a una fotografia che avete appeso in casa, a una parete, e che sta ogni giorno proprio sotto al vostro naso. Fatto? Bene. Vi ricordate l’ultima volta che lo avete guardato per davvero quel quadro, quella fotografia? Vi ricordate di quando gli avete riservato più di tre secondi, che vi siete fermati a contemplarlo, come probabilmente avete fatto quella volta quando avete scelto proprio quello lì, tanto da dedicargli un chiodo nel muro? Non ve lo ricordate? Non temete, è normale, e ci riguarda tutti. Ciò che diventa abitudine nella nostra vita tende a perdere senso, a essere dato per scontato, a non distinguersi dall’ordinario. Succede con tante cose del nostro quotidiano, come per tanti piccoli gesti che diventano automatismo. E per certi versi non è nemmeno un male. Pensate per esempio a quando guidate l’automobile. Se doveste fermarvi a riflettere su ogni gesto che fate quando guidate sarebbe un casino, e intasereste il traffico, probabilmente. Ben vengano dunque certi automatismi; che poi a volte, come purtroppo succede anche sulle strade, si perda il senso di ciò che si sta facendo quando si guida, e ci si inventi piloti esperti che possono ogni tipo di sorpasso sottovalutandone il rischio, è conseguenza logica anch’essa. Qual è l’automobilista che rischia maggiormente? Quello che fa il passo del Bernina per la prima volta in vita sua? O chi lo fa tutti i giorni, tanto che potrebbe ricostruirne ogni curva a occhi chiusi? E così facciamo con le relazioni, chi più chi meno. Diventano abitudini, mettiamo il pilota automatico, e di tanto in tanto sbandiamo in curva rischiando l’incidente. Eppure, anche per le relazioni, forse vale il principio della guida. Se ogni volta che chiedessimo a qualcuno come sta ci fermassimo davvero ad ascoltarlo, saremmo fermi sul posto. Altro che panchina, ci vorrebbe un divano bello comodo, per starci ore ed ore ad ascoltare gli incredibili mondi incasinati degli altri. Per questo ci sono gli psicologi, verrebbe da dire. Ed è paradossale se ci pensate bene. Soprattutto nelle società occidentali siamo arrivati al punto in cui sempre più gente è disposta a pagare degli sconosciuti che stiano ore ed ore ad ascoltare, purché siano persone disponibili a farlo, e al tempo stesso non troppo interessate, non troppo intime. D’altronde farlo con chi vorremmo ci ascoltasse veramente ci costerebbe molto di più. Un po’ perché dovremmo imparare nuovamente a fidarci di persone che desideriamo ci vogliano bene ad ogni costo (appunto), e un po’ perché pensiamo che queste persone non avranno il tempo da dedicarci; corrono, come corriamo noi. Bene, il fine settimana prossimo vogliamo nel nostro piccolo, e per soli due giorni, provare a invertire la tendenza; fermarci a riflettere, stare seduti, ascoltare e godere di momenti di intrattenimento che ruotino attorno al tema della salute mentale. Prevenzione, la chiamano; per guardare di nuovo bene il quadro alla parete, per ricordare una volta ancora di sapere la strada.


Per gli organizzatori, Josy Battaglia, INCONTRO Poschiavo