I bambini godono di una grande attenzione nella nostra società: sono considerati persone da amare e da vezzeggiare, niente è troppo bello per loro. Lo diciamo e lo ripetiamo in modo particolare a Natale, che è diventato una festa della famiglia e dei bambini. Ma non è sempre stato così. E come tutti sappiamo, anche oggi non è ovunque così. A Gaza non è così, in Ucraina non è così, e non è così per i quasi 250 milioni di bambine e bambini nel mondo – di cui quasi 100 milioni nella sola Africa subsahariana – che non hanno accesso all’istruzione.
Concezione moderna dell’infanzia
Del resto, non facciamoci troppe illusioni: anche alle nostre latitudini, in Europa, e in Svizzera, la famiglia intesa in senso moderno, basata sull’amore materno, ha cominciato ad affermarsi solo poco più di duecento anni fa. Fino ad allora il modello dominante era quello della famiglia basata sull’autorità paterna, sulla sottomissione e sull’obbedienza. L’amore, così come lo concepiamo oggi, non si sapeva che cosa fosse.
Infanzia priva di diritti
Nell’antichità, il bambino faceva parte dei beni appartenenti al capo famiglia, come gli animali, le cose che possedeva e la sua donna. A Roma il padre aveva diritto di vita e di morte sui figli.
Nel medioevo i bambini non godevano di nessun diritto o protezione specifici. In Francia, fino al 13. secolo, un padre poteva uccidere il proprio figlio senza che ciò costituisse reato. Il capo famiglia poteva inoltre denunciare i propri figli per cattiva condotta e farli imprigionare.
È stata la chiesa la prima a condannare l’esposizione dei bambini, l’aborto e l’infanticidio. Ma per limitare il numero di infanticidi, era disposta a chiudere un occhio sulla piaga dell’abbandono dei bambini.
Indifferenza e affido
Per molto tempo, seguendo il pensiero di sant’Agostino, il cristianesimo ha promosso l’immagine del bambino come essere imperfetto, privo di intelligenza e incline al male. Il bambino era un peso, un fardello da portare, che poteva essere affidato ad altri, per necessità economica, ma anche per indifferenza nei suoi confronti.
Mentre oggi giustamente si moltiplicano le iniziative a favore dell’infanzia, non possiamo dimenticare che nel nostro paese migliaia di ragazzini e ragazzine sono stati tolti alle famiglie – spesso a madri sole, o a famiglie afflitte dalla piaga dell’alcolismo – nel quadro delle misure coercitive a scopo assistenziale. È il triste capitolo dei cosiddetti “Verdingkinder”, bambini-schiavi, o bambini a contratto, durato per tutto l’Ottocento e fino agli anni Settanta del secolo scorso. I bambini venivano rinchiusi in orfanotrofi, ma più spesso affidati ad altre famiglie per essere impiegati come lavoratori senza diritti e spesso oggetto di maltrattamenti.
Gli zingari e gli italiani
Ancora oggi circolano racconti su presunti rapimenti di bambini da parte di zingari. Ma quel che è certo, e documentato, è il fatto che le autorità, in Svizzera, hanno rapito i figli dei nomadi elvetici, gli Jenisch, per costringerli a diventare sedentari. È stata la Pro Juventute, con il programma “Kinder der Landstrasse”, a promuovere quella politica di sottrazione dei figli alle famiglie nomadi. Quel programma è andato avanti fino al 1973, quando il “Beobachter” ha pubblicato i risultati di un’ampia indagine che ha portato alla luce l’orrore di quei rapimenti di Stato.
E che cosa dire delle migliaia di bambini nascosti, figli di immigrati italiani, stagionali, privi del diritto al ricongiungimento famigliare? Mentre i padri costruivano le nostre strade e ferrovie, e lavoravano nelle nostre fabbriche, e le madri pulivano i nostri uffici e ospedali, i loro figli stavano nascosti, muti e silenziosi, nella costante paura di essere scoperti a causa di qualche “soffiata” dei vicini. Ne ha parlato pochi anni fa il giornalista Concetto Vecchio, cinquantenne, nel suo toccante libro intitolato “Cacciateli”.
Bambini lavoratori e migranti
È a partire dal 18. e 19. secolo, nella famiglia borghese, che il bambino comincia ad essere considerato una persona, degna di attenzione, che deve essere istruita, il cui scopo non è solo quello di obbedire. Ma non dimentichiamo che nella stessa epoca l’infanzia è ancora sfruttata dalla nascente industria. Nell’Europa del 19. secolo l’età minima per lavorare era di 9 anni in Italia, di 10 in Danimarca, di 12 in Germania e nei Paesi Bassi e di 14 in Svizzera.
È solo nel 1959 che l’assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato la Dichiarazione dei diritti dell’infanzia che purtroppo, in molti Paesi, continua ad essere lettera morta o poco più. E che va a fondo, come affondano i barconi dei migranti, così spesso annegando in mare bambini e neonati.
Un appello natalizio
“Il senso morale di una società si misura su ciò che fa per i suoi bambini”, ha scritto il teologo luterano tedesco Dietrich Bonhoeffer. Può essere un principio da adottare come criterio per orientare la nostra attenzione e la nostra azione, a Natale – la festa di compleanno di un bambino – e durante tutti i giorni dell’anno.