Ancona 1959. Un dodicenne, leggendo il quotidiano cittadino, nota che per volontà della comunità ebraica, una delle più antiche in Italia, era stata organizzata una mostra sui campi di sterminio. Chiesto consiglio al proprio docente di Storia, fu esortato a non visitare la mostra. Esortazione disattesa. Il ragazzo visitò la mostra e fu nauseato nel profondo da una orrenda sezione e solo la fresca aria del lungomare l’aiutò a riprendersi dalla visione degli “esperimenti” messi in “atto” su fanciulli e adulti dai “medici” nazisti.
«Il materiale messo a disposizione e anche le testimonianze ascoltate durante i processi ai medici superano ogni immaginazione»: così si espresse Wolfgang Hildesheimer. Sappiamo che egli fu a Norimberga come interprete certamente prima dell’aprile del ’47 e che rimase fino all’ottobre del 1949. Con tutta probabilità non fu presente al primo grande processo della Corte internazionale contro i maggiori gerarchi e militari nazisti (Göring, Ribbentrop, Keitel,…), che si chiuse il 1° ottobre del 1946.
Furono poi istruiti dodici processi, celebrati di fronte ad una Corte di soli americani, processi considerati nella memorialistica come “secondari”, ma che non furono assolutamente meno importanti. Finirono infatti alla sbarra giuristi, ministri, industriali, militari e “dottori”. Proprio il primo processo fu quello contro i “medici”, traditori del giuramento di Ippocrate.. Dei ventitré imputati, venti erano appunto “medici”; tutti si dichiararono non colpevoli; sette furono assolti, sette ricevettero la condanna a morte per impiccagioni. Ricordiamo in particolare il “medico” di Himmler Karl Gebhardt, presidente della Croce Rossa Tedesca e Waldemar Hoven, responsabile “medico” del campo di Buchenwald, entrambi impiccati, mentre Herta Oberheuser, “medico” del campo di Ravensbrück se la cavò con 20 anni di prigione, ridotti poi a 10 successivamente.
I prigionieri (bambini, donne e uomini) furono sottoposti al freddo gelido (vedi foto, la stessa presentata nella mostra di Ancona), ustionati con fosforo bianco, avvelenati con gas e sostanze, castrati e sterilizzati, contagiati da tifo, TBC, epatite, malaria e via infierendo.
Hildesheimer sulla durezza difficilmente sopportabile di questa esperienza si confidò molti anni dopo a Poschiavo con padre Camillo De Piaz e con Valerio Righini.
In una lettera ai familiari dell’8 ottobre del 1947 aggiunge: «Questa mattina ho fatto da interprete nell’interrogatorio del principale imputato Ohlendorf. È stato terribilmente faticoso e sono ancora esausto».
Ricordiamo che agli interpreti in una prima fase venne chiesto di tradurre le parole degli imputati con somma precisione. Questa attitudine, ci si accorse, finiva per creare una qualche empatia tra le due parti, con pericolose derive.
Dal 29 settembre 1947 al 10 aprile 1948 fu celebrato il nono processo: quello alle “Einsatzgruppen” (gli squadroni della morte), comandati dal generale Otto Olehndorf che, su dichiarazione di quest’ultimo, fecero almeno 90 mila vittime, (uomini donne e bambini). Scrive Uwe Neumahr (1): “Talvolta si verificava una singolare identificazione fisica con l’accusato: «Con le Einsatzgruppen le cose si sono fatte movimentate e l‘interpretazione, sebbene abbastanza faticosa è molto interessante perché si imitano involontariamente gli imputati», osservò Hildesheimer. «Ormai padroneggio l’intero registro, dall’ironia alla rabbia alle lacrime; si recita involontariamente come a teatro».
A quel punto si virò verso una diversa modalità: certamene fu richiesta precisione e professionalità, ma senza che le emozioni interferissero in alcun modo. Questo distanziamento fu necessario e doveroso, ma non cautelò tutti da successivi traumi.
Hildesheimer dipingeva. “Per lui l’arte divenne una compensazione, una terapia e una barriera contro gli orrori che era costretto a ascoltare in cuffia ogni giorno”, scrive ancora Neumahr (2). Riusciva a ritagliarsi periodi di libertà e nella primavera del 1948 organizzò una mostra a Monaco di Baviera. Se il suo soggiorno a Norimberga fu emotivamente forte, gli servì anche per confrontarsi con colleghi traduttori e con giornalisti e scrittori. Il “Press Center” era situato nel castello requisito ai proprietari dell’azienda Faber Castell (matite ed altro), sostenitori e finanziatori della prima ora di Hitler. Di lì passarono tra gli altri celebrità come Erika Mann, Erich Kästner, John Dos Passos, Ilja Ehrenburg, leggende del giornalismo americano come Walter Cronkite e Walter Lippmann e personalità che sbocciarono in seguito come il futuro cancelliere Willy Brandt e Markus Wolf, fondatore e dirigente della Stasi.
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Restiamo ancora sulla narrazione delle atrocità dei “medici” con alcuni passi di un racconto scritto nel 1945 da Ideale Cannella (che i lettori hanno conosciuto recentemente su questo sito) nel campo di Adliswil (ZH) e aggiornato nel 1950.
Contro natura
Al loro apparire le credevamo sorelle, così simili d’aspetto; si tenevano per mano, avevano un fare timido e dolce, si guardavano intorno come a chiedere scusa d’essere venute ad occupare un po’ di posto in così poco spazio e cercavano un sorriso sui nostri volti. Parvero essersi tolta una pena e un’ ansia dal cuore quando una internata le invitò a farsi avanti.
(…) Attraverso le infinite vie del mondo, distrutti nei beni e sconvolti nello spirito, i profughi fortunati che potevano toccare il confine svizzero, sapevano che erano ai margini di una terra ove si poteva entrare laceri e si era rivestiti, affamati e si era sfamati, sfiniti e si era raccolti. Lasciata alle spalle la bufera, si trovava un’oasi di pace. Oh, come eravamo tutti eguali! Ognuno possedeva solo quello che aveva indosso; pesante però era per tutti il fardello dei dolori e dei ricordi.
(…) Lavoravate? ..si lavoravamo in fabbrica, ma… Ma? ..poi erano state ricoverate all’ospedale…
Malate? …no, non malate, ecco… ? ? ? ? ? …ecco… i medici tedeschi le avevano tenute tre mesi in ospedale con altre deportate, per eseguire su di loro certi esperimenti. Esperimenti? …si, esperimenti… Le due donne non sanno proseguire, si guardano intorno, poi fissano la Schwester; una delle due sta per dire qualche cosa all’interprete, ma si interrompe perchè l’altra scoppia in un pianto disperato. La Schwester ha uno sguardo pieno di comprensione e le tranquillizza: stiano calme, diranno tutto al medico, domani.
(…) Al mattino le due profughe furono chiamate per la visita medica. Malate?… Non propriamente, ma… Il risultato dei cosiddetti esperimenti avrebbe riempito d’orgoglio gli « scienziati » nazisti. Sì, la madre a trentaquattro anni appena, si poteva ormai giudicare sterile a causa del trattamento a cui era stata sottoposta e la figlia quindicenne non sapeva la misera, che le sue viscere alimentavano un seme ignoto che avrebbe presto avuto forma e si sarebbe annunciato con un fremito di vita.
(…) si poteva, nei campi di eliminazione, far macello di « materiale umano ». Tutto permesso
(…) Il lungo processo dei medici criminali, non ha comunicato al mondo nessuna nuova verità scientifica, ma se pensiamo che il comandante di un campo ebraico si gloriava di possedere i più belli e rari paralumi di pelle umana, che ottimo era il sapone ricavato dal macero di corpi umani e che un capolavoro era quella testa mummificata di un patriota polacco, ridotta in proporzioni così piccole da poter servire quale ferma carte, davvero non sappiamo quale giustificazione possano avere tali curiosità diaboliche. Nessuna acquisizione scientifica ottenuta a costo di tanta umana miseria potrebbe scusare l’incredibile ferocia tedesca. I mostri di Buchenwald, Dachau, Auschwitz, sono saliti al patibolo senza aver trovato la via del pentimento, talvolta sfacciatamente orgogliosi dei loro immani delitti. Se tali sono i vinti, cerchiamo di immaginare quale sarebbe stata la sorte dell’Europa se il destino delle armi fosse stato favorevole alla Germania.
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- Da Uwe Neumahr, Il castello degli scrittori. Marsilio, 2023, pagine 251-252.
- Ibid., p.247.
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Il 21 aprile 1980 la Giunta comunale di Poschiavo, di moto proprio, decise all’unanimità di conferire allo scrittore Wolfgang Hildesheimer, cittadino tedesco oriundo della città di Hildesheim (Germania occidentale) e alla sua signora, la cittadinanza onoraria.
“Essi vivono a Poschiavo con regolare permesso di domicilio da ben 25 anni”, così “r.t.” (probabilmente Riccardo Tognina) iniziò il panegirico di presentazione di Wolfango (sic) Hildesheimer e della moglie Silvia Dillman pubblicato in prima pagina il 4 marzo 1982 da Il Grigione Italiano. Il successivo 7 marzo si votò: 833 cittadini optarono per il sì, 176 per il no. L’11 marzo, sempre sul Grigione Italiano comparve questo scritto a firma degli Hildesheimer: Ringraziamo per il grande onore che ci dato il Comune di Poschiavo. Accettiamo con vero piacere la cittadinanza onoraria e ringraziamo di cuore coloro che hanno votato per noi, particolarmente i signori Podestà Luigi Lanfranchi e Dott. Riccardo Tognina.