Santo Cielo. A proposito di calcio

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L’amico cronista sportivo Libano Zanolari, in un commento apparso in questi giorni su «Naufraghi» ha affermato che le partite di calcio sono diventate oggi «una sostituzione della guerra con altri mezzi, una disputa sui ‘massimi sistemi’ filosofici», addirittura, in qualche modo, un sostituto della religione, «approfittando dell’attuale vuoto culturale».

Religione e pallone

A dire il vero, sport e religione sono stati legati fra loro fin dall’antichità. I giochi olimpici, nati in Grecia nel 776 avanti Cristo, erano innanzitutto una cerimonia religiosa: la statua di Giove era al centro del quadrilatero sacro di Olimpia. E nell’America precolombiana, in Messico, si praticavano giochi con la palla che erano, innanzitutto, cerimonie religiose.

Bibbia e atletica

L’apostolo Paolo – che era un appassionato di sport, o comunque andava allo stadio dove seguiva le competizioni – in una delle sue lettere paragona la vita cristiana alla corsa. E dice che i cristiani dovrebbero considerare la propria vita come una corsa che va affrontata tenendo gli occhi fissi al traguardo da raggiungere.

Religione dell’efficienza

Oggi la passione per il calcio – perché è di questo che parliamo, nel pieno dell’euforia per i campionati europei – si situa in un contesto diverso. La nostra società è dominata dall’economia di mercato, che richiede agli individui prestazioni eccellenti. Questa moderna forma di paganesimo esige che i calciatori diventino degli eroi, siano dei superuomini, compiano imprese eccezionali. Ma questo ha un prezzo: nel calcio, come in altri sport, la necessità, addirittura l’ossessione di essere i migliori, produce molti guasti. La paura di fallire, di non essere all’altezza delle aspettative, spinge al doping, può portare alla depressione, addirittura al sacrificio della vita.

Il tifo come droga

C’è poi da chiedersi perché la passione per il calcio porti a livelli di furore fanatico. Che si tratti di surrogati che riempiono i vuoti lasciati dalla politica o dalla religione, che non sono più in grado di dare un senso, di proporre una visione, di riunire le persone intorno a un ideale? Il tifo è forse diventato la droga delle democrazie moderne, un palliativo che maschera la mancanza di un progetto collettivo? A questo proposito, qualche anno fa Umberto Eco era stato durissimo: per lui i tifosi del calcio erano «barbari, razzisti, antisemiti e sciovinisti che non credono in Dio, ma nella Lazio, nel Borussia, nel Glasgow o nel Celtic».

La vita allo specchio

Senza dubbio il calcio è in grado di condensare e drammatizzare i valori del mondo moderno: esalta le prestazioni, il merito e la competizione, e valorizza la solidarietà tra i componenti della squadra. Dopodiché nel calcio il caso, la fortuna, l’imprevedibile hanno un ruolo notevole, per non dire fondamentale. E questo ci ricorda che il merito non è sempre sufficiente – sul terreno da gioco come nella vita – per raggiungere il proprio scopo e imporsi sugli altri.

Eppure è un gioco

Il calcio offre allora una visione simbolica della nostra società, fino a mostrarne anche gli aspetti più nefasti: la corruzione, l’amore per il potere, l’inganno, la violenza, la prevaricazione, il razzismo, l’odio. E non meno interessante, come argomento di riflessione, sono le immense somme di denaro che ruotano intorno al mondo del pallone.

Chi si ricorda ancora delle parole del barone Pierre de Coubertin, inventore delle olimpiadi moderne, il quale aveva coniato il motto “L’importante è partecipare?”.

E tuttavia mi piace pensare che il calcio sia, malgrado tutto, un dono di Dio. Uno dei tanti che contribuiscono ad arricchire la nostra vita. Un gioco nel quale si riflette, pur con tutte le sue gravi contraddizioni, la nostra vita.