«100% (Bio) Valposchiavo», un esempio di lungimiranza e perseveranza – parte 1

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Foto di Bruno Raselli

Quando nel marzo del 2018, in occasione della presentazione in Casa Torre dei candidati PDC al governo grigionese, a una domanda di Antonio Platz su cosa pensasse del «Progetto 100% Valposchiavo» l’allora presidente del governo Mario Cavigelli ammise con un certo imbarazzo di non sapere esattamente cosa fosse, pensai a un cortocircuito fra la percezione del progetto apparentemente consolidata nella nostra valle e un’altra, totalmente diversa, a Coira, e ai massimi vertici del Cantone.

E attribuii ingenuamente, lì per lì, la lacuna informativa del consigliere di stato allo sterminato numero di dossier che doveva avere sulla sua scrivania. Ma probabilmente mi sbagliavo. Perché il suo evidente atteggiamento prudenziale indusse il direttore de «Il Grigione Italiano» a una breve introduzione all’argomento, che consentì al politico di formulare una risposta non priva di senso. Quest’episodio mi ha spinto in seguito, a più riprese, a interrogarmi su quanto sapessi io a proposito del progetto.

Certamente – come quasi tutti in valle – sapevo del lancio dei prodotti con i marchi “100% Valposchiavo” e “Fait sü in Valposchiavo” avvenuto qualche anno fa e del relativo conferimento, nel 2016, del Premio CIPRA (Commissione Internazionale per la Protezione delle Alpi) per un turismo sostenibile, del Premio MILESTONE per l’eccellenza turistica in sostenibilità, nonché dell’assegnazione dello SVSM-Award per progetti locali, nel 2017. Ed ero al corrente sui corsi offerti dal Polo Poschiavo per introdurre i vari operatori del settore in questa nuova filosofia.

Foto di Selena Raselli

Un recente tassello venutosi ad aggiungere a questa lunga serie di traguardi, collegato alla filosofia del 100% biologico nella filiera agro-alimentare della Valposchiavo, è l’accordo siglato lo scorso 5 ottobre fra la Società cooperativa campicoltura Valposchiavo e l’Associazione Pro Mulino Aino per la macinatura di grano saraceno e granoturco prodotti in loco e a certificazione “Bio Suisse”. La macinatura presso il vecchio mulino di San Carlo garantisce inoltre l’assenza totale di glutine in quanto non vengono macinati altri tipi di grano.

A inizio 2018, fra l’altro, era giunta anche la notizia della nascita ufficiale dell’associazione «100% (Bio) Valposchiavo» tramite un comunicato sulla stampa locale, che avevo però un po’ frettolosamente messo in correlazione ai marchi “100% Valposchiavo” e “Fait sü in Valposchiavo”. Frettolosamente perché, pur considerando i vantaggi che i due marchi potevano dare al settore agro-alimentare della valle e conseguentemente al turismo, non avevo per nulla intuito il lungo viaggio che il progetto «100% (Bio) Valposchiavo» aveva precedentemente già svolto per giungere fino a qui. Ma soprattutto ignoravo totalmente gli altri obiettivi cui questo progetto stava mirando.

La conferma di quanto lavoro fosse avvenuto dietro le quinte e dell’importanza di questa lungimirante iniziativa è arrivata invece con un comunicato stampa della Cancelleria di Stato grigionese nel mese di luglio di quest’anno, in cui veniva dichiarato che “il Governo concede un contributo cantonale pari al massimo a circa 3,43 milioni di franchi a favore del progetto «100% (Bio) Valposchiavo», a condizione che la Confederazione conceda il 40% dei costi complessivi computabili al Progetto collettivo di sviluppo regionale (PSR)”. Nella nota seguiva poi un elenco ragguardevole di opere da realizzarsi in Valposchiavo nell’ambito del progetto.

Foto di Selena Raselli


Origini e storia del Progetto «100% (Bio) Valposchiavo»

La notizia di un sostegno finanziario di tali proporzioni da parte di Berna e Coira in favore del settore agro-alimentare della nostra valle ha squarciato in qualche modo il velo di segretezza che avvolgeva il «Progetto 100% (Bio) Valposchiavo» e mi sono quindi rivolto prima al direttore di Valposchiavo Turismo, Kaspar Howald, e quindi a Daniele Raselli di Pagnoncini – uno fra i principali ideatori e promotori –, per chiedere maggiori informazioni sul progetto. In un incontro avuto con quest’ultimo, che è stato anche un pioniere dell’agricoltura biologica in Valposchiavo e ha gestito per circa una trentina d’anni una piccola azienda agricola di tipo tradizionale ma con metodologie innovative, l’ingegnere agronomo di Pagnoncini accenna subito ad un’idea, o meglio a un seme, che era già stato gettato nell’ambito del «Progetto Poschiavo».

Il «Progetto Poschiavo», per chi non si ricordasse o non era ancora nato, fu un progetto pilota, nato nel 1995 e sostenuto dalla Confederazione, per la formazione a distanza finalizzata allo sviluppo sostenibile di una regione di montagna italofona reso possibile grazie alla nascente rete elettronica (internet). Dieter Schürch, capo della sezione di lingua italiana dell’allora «Istituto Svizzero di Pedagogia per la Formazione Professionale» con sede a Lugano ne fu il coordinatore. Sulle fondamenta di questo progetto è sorto in seguito anche il Polo Poschiavo come centro di formazione continua. Un centro di competenze attorno al quale ruotano ancora oggi numerosi altri progetti (vedi intervista a Cassiano Luminati).

“Fu nella fase già avviata del «Progetto Poschiavo» fra il 1997 e il 1998 – racconta Daniele Raselli – che vennero abbozzati numerosi piccoli e grandi progetti per valorizzare il territorio della Valposchiavo; in uno dei seminari a distanza, nei quali si parlava del futuro dell’agricoltura, nacque una prima idea di approccio regionale per il sostegno all’aumento del valore aggiunto del comparto agricolo valposchiavino (un’agricoltura al 100% biologica su tutto il territorio). L’idea rimase per un po’ di tempo a mezz’aria, anche se quegli anni segnarono con decisione una svolta nel settore agricolo della valle, dove sempre più aziende passarono alla produzione di prodotti caseari e di carne biologici”.

Foto di Valposchiavo Turismo

Alcuni anni dopo, nell’ambito del Gruppo operativo fondo agricolo (GOFA) e del Programma di sviluppo dello spazio rurale (PSSR), due istanze coordinate da Gianluca Giuliani, oltre alla questione su come si sarebbero potute gestire al meglio le attività agricole in vista degli enormi mutamenti che avrebbe subito il territorio con il gigantesco «Progetto Lago Bianco» di Repower, venne a crearsi una sorta di fabbrica delle idee (dall’inglese think tank), in cui venne proposto per la prima volta il concetto di «100% (Bio) Valposchiavo». “All’interno di questo gruppo giunse a maturazione un pensiero di rottura, che diede sempre più slancio all’idea di fare dell’intera Valposchiavo una green valley”, spiega ancora Daniele Raselli.

Il vero e proprio progetto fu poi lanciato ufficialmente nel 2012 dal GOFA assieme alla ex Regione Valposchiavo, sotto l’impulso dell’allora presidente Cassiano Luminati, come Progetto di Sviluppo Regionale (PSR). Il progetto si basava su criteri richiesti dalla Legge sull’agricoltura e intendeva contrastare la perdita di terreno coltivabile prevista con il «Progetto Lago Bianco» cercando anche di creare le condizioni per meglio posizionare sul mercato e valorizzare i prodotti agricoli valposchiavini, specialmente quelli trasformati nella regione.

Nel 2014, pur con alcune riserve, l’idea ricevette anche l’elogio e il sostegno dell’ex presidente di «Bio Suisse», Daniel Bärtschi. “Solo un anno più tardi Cassiano Luminati presentò il progetto a EXPO Milano 2015, anche se non fu propriamente il vento di quella straordinaria kermesse a spingere il «100% (Bio) Valposchiavo» al largo”, afferma ancora Daniele Raselli, che aggiunge: “Nuovi impulsi giunsero in quel periodo grazie al nuovo direttore di Valposchiavo Turismo, Kaspar Howald, che spinse sull’acceleratore per arrivare a certificare – se non l’intera valle – almeno una vasta gamma di prodotti della filiera agro-alimentare con i marchi «100% Valposchiavo» e «Fait sü in Valposchiavo»”.
Il resto è storia recente.

(segue una seconda parte)


Achille Pola