Commercio della tortura

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Il mondo deve agire con urgenza per proibire il commercio globale di attrezzature progettate per infliggere dolore e lesioni atroci. Lo hanno affermato Amnesty International e la Omega Research Foundation alla vigilia di una riunione ad alto livello delle Nazioni Unite sul “commercio della tortura”, incontro che fa parte di un processo in corso che esplora i modi per regolare il commercio globale di strumenti per il mantenimento dell’ordine. In un loro rapporto, le due organizzazioni chiedono agli Stati controlli efficaci sulle attrezzature convenzionali in dotazione alla polizia affinché si possa garantire che esse non finiscano in mano ad autori di violazioni dei diritti umani.

In questo rapporto si precisa la necessità di vietare il commercio di attrezzature legate alla pena di morte, come la forca e le sedie elettriche. Di massima importanza anche il controllo delle esportazioni di prodotti chimici farmaceutici a duplice uso, e ciò per impedirne l’utilizzo nelle esecuzioni con iniezioni letali. Inoltre, nello stesso rapporto, viene evidenziata la promozione, nell’ambito di fiere professionali e sui siti web delle aziende, di attrezzature il cui impiego è intrinsecamente abusivo. Si fa riferimento a manganelli e guanti con scossa elettrica, attivabili anche a distanza, manette zavorrate per le caviglie, dispositivi per incatenare i prigionieri alle pareti, manganelli a punta, scudi seghettati, pistole stordenti e altro ancora.

I dispositivi a scarica elettrica sono uno degli strumenti di tortura più comunemente usati al mondo. Qui di seguito un paio di esempi. Il 9 settembre 2020 Javier Ordonez è stato fermato dalla polizia a Bogotà per presunta violazione delle restrizioni anti Covid-19. Gli agenti lo hanno immobilizzato a terra per circa cinque minuti, lo hanno colpito ripetutamente con scosse elettriche su tutto il corpo. È morto in ospedale poche ore dopo a causa delle ferite riportate. In Arabia Saudita, un detenuto etiope di nome Solomon ha detto ad Amnesty International che le guardie carcerarie hanno usato dispositivi a impulsi elettrici contro di lui dopo che aveva protestato per la mancanza di assistenza sanitaria.

Ma non finisce qui. Una testimonianza dal Burundi: “la polizia ci ha picchiati, con manganelli e bastoni, sulla schiena, sulle natiche e sui piedi per circa 20 minuti, abbiamo avuto problemi a camminare per più di una settimana”. In Bielosrussia, dopo le proteste post-elettorali nell’agosto 2020, Katsyarnya Novikava ha detto ad Amnesty International di aver trascorso 34 ore nel centro di isolamento per criminali, dove gli uomini arrestati sono stati costretti a sdraiarsi nel cortile sporco della struttura, a spogliarsi nudi e mettersi a quattro zampe mentre gli agenti li prendevano a calci e li picchiavano con manganelli.

Torture e maltrattamenti anche per le strade. Secondo Amnesty International, molte forze di polizia utilizzano attrezzature e armi anche al di fuori delle strutture di detenzione: proiettili di gomma, di plastica o altri proiettili potenzialmente letali sparati volontariamente e ripetutamente contro manifestanti pacifici, provocando gravi ferite. Viene fatto uso anche di sostanze chimiche irritanti come lo spray al pepe o di grandi quantità di gas lacrimogeni in spazi ristretti, interventi che portano spesso alla perdita della vista.

Per sostenere il processo in corso alle Nazioni Unite, Amnesty International e Omega presentano un “Quadro di riferimento contro il commercio della tortura” che definisce i passi essenziali che gli Stati devono compiere per regolamentare efficacemente gli strumenti per l’applicazione della legge e per controllare il reale utilizzo di tutti i prodotti potenzialmente legati a maltrattamenti, torture e pena di morte.

Patrick Wilcken, ricercatore australiano sulla coscienza, a proposito di rispetto dei diritti           umani afferma che “i controlli commerciali fanno parte degli obblighi dello Stato, ma questo     non esonera le aziende dal dare il proprio contributo nella lotta contro questo terribile    commercio”.