Santo Cielo. Presente e futuro della regione alpina

0
798

Sul manifesto della mostra “Acqua, vita e lavoro”, aperta presso il Museo Poschiavino, c’è una fotografia, in bianco e nero, che ritrae un uomo. Quell’uomo è il mio bisnonno materno, intento a regolare il flusso dell’acqua in un fosso d’irrigazione, a Brusio. Tiene in mano una piastra di metallo, provvista di un manico, usata per deviare il corso dell’acqua.

Fine della civiltà contadina

Il bisnonno Pierin, di Ginetto – è lui l’uomo della foto -, fa parte di un mondo che non c’è più. Non solo per motivi anagrafici, non solo perché lui è morto da tempo. Ma perché quella civiltà, di cui era espressione, è definitivamente tramontata. La civiltà contadina, armata di forconi, falci e rastrelli, sopravvissuta per secoli nelle vallate alpine, che aveva radici nelle sue capacità di adattamento al vivere in pendenza fin dal Basso Medioevo, non c’è più. Rivive solo nei ricordi dei vecchi, o nella straordinaria opera del linguista svizzero Paul Scheuermeier, il quale negli anni Trenta del secolo scorso raccolse un’imponente documentazione relativa al lavoro nei campi e alla vita domestica, anche della regione alpina. Il risultato di quelle ricerche, corredato da molte fotografie – ovviamente, in bianco e nero -, fu pubblicato in due volumi, dopo la fine della guerra, col titolo “Bauernwerk in Italien”. La versione italiana, uscita nel 1980, porta il titolo: “Il lavoro dei contadini. Cultura materiale e artigianato rurale in Italia e nella Svizzera italiana e retoromanza”.

A questo proposito va ricordata, per la nostra regione, anche un’altra opera, pubblicata nel 1967 da Riccardo Tognina, figlio del bisnonno Pierin: “Lingua e cultura della Valle di Poschiavo”, un ritratto di quel mondo contadino, alpino, ormai scomparso.

Una frattura recente

Non è mia intenzione fare l’elogio dei tempi andati, né intonare un lamento nostalgico. Semplicemente, constato la frattura, occorsa nel giro di una-due generazioni, in tutto l’arco alpino, tra la civiltà contadina e la società moderna. E non mi costa fatica riconoscere che io stesso sono segnato da quella frattura, avendo in larga misura perso il legame con la terra e l’ambiente montano che era del bisnonno Pierin e di tanti come lui e prima di lui.

Nel contempo, penso a come la civiltà contadina sia stata capace di adattarsi all’ambiente alpino, modificando profondamente la natura, ma senza distruggerla e mantenendo nei suoi confronti un atteggiamento di rispetto. E mi chiedo se sarà possibile ricreare un nuovo equilibrio, libero dai modelli consumistici delle pianure e delle città, che permetta alla gente di vivere, di lavorare, di usufruire dei necessari servizi, di coltivare una specifica identità alpina, salvaguardando la bellezza, la quiete, e l’unicità di questo territorio.

Le Alpi che verranno

Mentre ci dibattiamo nei problemi causati dal traffico e dall’inquinamento, ci interroghiamo sui modelli da adottare in ambito turistico e di produzione energetica, e cominciamo a percepire gli schricchiolii provocati dal cambiamento climatico, potremmo fare nostro l’appello del saggista e ambientalista altoatesino Alexander Langer, il quale opponeva all’olimpico “più veloce, più in alto, più forte” il suo “più lento, più profondo, più dolce”, da mettere in pratica almeno nelle valli montane. Gli fa eco oggi l’alpinista e giornalista torinese Enrico Camanni, il quale dice che “gli esperimenti degli ultimi cinquant’anni ci insegnano che il turismo dolce e l’agricoltura pulita, sweet and slow, sono l’unico futuro possibile per le Alpi”. E il geografo tedesco Werner Bätzing, autore di “Die Alpen. Das Verschwinden einer Kulturlandschaft”, aggiunge dal canto suo che sarebbe auspicabile “creare nella regione alpina posti di lavoro moderni e compatibili con l’ambiente – sia nel commercio che nei servizi – che lavorino con Internet e con le moderne tecnologie”, affinché la regione alpina non si trasformi né in un museo né in un puro paesaggio agricolo.

Scenari possibili, a patto che le Alpi non si arrendano al penoso ruolo di periferia urbana, o di parco giochi per cittadini annoiati in cerca di sempre nuove attrazioni, o di impedimento geografico da attraversare in galleria o su strade sempre più veloci, larghe e comode. Oso credere che il bisnonno Pierin, su questo, sarebbe d’accordo.