La storia dell’umanità, ma soprattutto dei Grigioni, dall’homo erectus all’homo sapiens, fino all’homo humus
Va detto: alcuni degli spettatori in Sala Tor sabato 16 novembre, per lo spettacolo di Luca Maurizio, un po’ di scetticismo lo avevano. Vuoi per qualche pregiudizio sul titolo, Deus in burnout, oppure semplicemente per gusti personali nei confronti del cabaret. In questi casi sta all’artista confermare o meno le doti e i difetti con cui il pubblico prova a relegarlo. Ma, quando l’artista è tale, frantuma con lo stupore qualsiasi predisposizione del suo pubblico: sia quello che lo idolatra, sia quello che lo detesta.
Deus in burnout è uno spettacolo ideato dal bregagliotto Luca Maurizio sotto la spinta di Paolo Tognina a rendere un omaggio in occasione del giubileo per i 500 anni del libero Stato delle Tre Leghe. A partire dalla storia delle Tre Leghe, Luca Maurizio ha ricostruito con ironia, ma anche precisione, la storia dell’alleanza dal contesto politico e sociale dell’Europa di quegli anni.
L’ironia è stata rafforzata della sensibilità di Luca Maurizio nel notare elementi di quell’epoca perfettamente adeguabili ai tempi di oggi: l’inclusività, la tolleranza ma anche il piccolo ruolo del Grigioni in un caotico contesto mondiale dinamico di complessa globalizzazione. A tal proposito, termine chiave che risuona in ogni grigione, e con cui richiama un tratto caratteriale unitario nonostante le 150 valli e il plurilinguismo è patgific. I grigioni, nonostante fossero spesso contadini, e patgific, si trovarono al centro di attenzioni da parte del mondo per il merito di avere la migliore forma di democrazia moderna, o meglio semi-democrazia – fa notare Luca Maurizio – visto che solo circa la metà della popolazione adulta godeva del diritto di voto per esclusioni di genere. I Grigioni erano pure luogo di rifugio per intellettuali e teologi. E tutto il fermento e le idee maturate nella terra grigionese sono state, in fondo, copiate indebitamente dal resto del mondo.
Lo spettacolo, sempre connotato da grande comicità ma altrettanta scientificità, è stato caratterizzato anche da diversi ‘salti quantici’ che hanno addirittura permesso di immaginare e ambientare la prima evoluzione da homo erectus o homo sapiens proprio tra le vallate del Maloja. La situazione alla base di questa evoluzione sarebbe potuta essere quella di un blocco libidico che avrebbe permesso di sviluppare maggiormente la corteccia prefrontale e, quindi, il pensiero razionale a discapito di istinti ora inibiti. L’evento di questa evoluzione ha messo in diretto contatto sessualità e spiritualità: da qui la rappresentazione ha preso un tono ancora più profondo, trattando prima dell’origine del sentimento religioso e poi dell’’inflazionato’ rapporto con il proprio dio che, dopo tutto, più che inesistente o morto, potrebbe essere in congedo per burnout.
Toccare la teologia ha permesso di affrontare il tema delle credenze. Spesso si ritiene che credere voglia dire credere in Dio, ma anche un ateo crede: crede precisamente che Dio non esista, ma visto che la non esistenza di Dio non si può provare, anche questa è appunto una credenza. Il nostro stesso atteggiamento nei confronti della realtà implica – se non siamo cervelli in una vasca stimolati da impulsi elettromagnetici artificiali di un qualche scienziato pazzo – che a questa realtà di cui facciamo esperienza si creda. Siamo quindi condannati a credere a quella che per noi è la più plausibile delle opzioni.
L’ultima parte dello spettacolo ha spiazzato la tranquillità del pensiero occidentale odierno mettendo in guardia da una sorta di oligarchia latente. L’interrogativo è incentrato sull’esistenza di un limite nell’accumulo di ricchezza personale, se troppo potere nelle mani di pochi non rappresenti, ad un certo punto, una minaccia per gli altri e per la democrazia stessa.