Come si vestono i cristiani?

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Colossesi 3,12-17
Sermone del 28 aprile 2024

Voi siete il popolo di Dio. Egli vi ha scelti e vi ama. Perciò rivestitevi di misericordia, di bontà, di umiltà, di pazienza, e di dolcezza. Sopportatevi a vicenda: se avete motivo di lamentarvi degli altri, siate pronti a perdonare, come il Signore ha perdonato voi. Al di sopra di tutto ci sia sempre l’amore, perché soltanto l’amore tiene perfettamente uniti. E la pace, che è dono di Cristo, regni sempre nel vostro cuore. A questa pace Dio vi ha chiamati tutti insieme. Siate sempre riconoscenti.

Il messaggio di Cristo, con tutta la sua ricchezza, sia sempre presente in mezzo a voi. Siate saggi e aiutatevi gli uni gli altri a diventarlo.

Cantate a Dio salmi, inni e canti spirituali, volentieri e con riconoscenza.

Tutto quello che fate, parole e azioni, tutto sia fatto nel nome di Gesù, nostro Signore; e per mezzo di lui ringraziate Dio, nostro Padre. (Colossesi 3,12-17)

Oggi parliamo di «dress code», di codice di abbigliamento. Ma non di quello da adottare per partecipare a una cerimonia, o per entrare in un locale, o per aderire a un club. Parliamo del «dress code» che l’apostolo Paolo presenta alle cristiane e ai cristiani della città di Colosse, nell’Asia Minore (l’odierna Turchia), aprendo il loro guardaroba.

I modelli che l’apostolo espone, come vestiti da indossare, come capi disegnati e realizzati dalla fede, sono «misericordia, bontà, umiltà, pazienza, e dolcezza». Inoltre, quale vestito più bello tra tutti, presenta «l’amore», che deve essere indossato «al di sopra di tutto».

Non sono abiti confezionati negli atelier di moda di Parigi, Berlino o Milano. Sono abiti disegnati da Gesù, e indossati da lui. Abiti, diciamolo subito, che sono apparsi come modelli provocatori e inappropriati ad alcuni dei suoi contemporanei. E tuttavia, sono capi che hanno suscitato, e continuano a suscitare, un grande fascino.

A proposito di vestiti e capi di abbigliamento: il Vangelo di Giovanni riporta che, al momento della crocifissione di Gesù, i soldati si spartirono le sue vesti senza tagliarle. E tirarono a sorte la tunica di Gesù per mantenerla intera.

Come se avessero capito che i vestiti di Gesù erano un bene esclusivo e che il capo principale, cioè la tunica, era indivisibile.

Con altre parole, potremmo dire: non è possibile avere solo un po’ di misericordia, un po’ di gentilezza, un po’ di umiltà, un po’ di pazienza, un po’ di amore. Gli abiti della fede vogliono essere indossati interi, così come sono stati realizzati da chi li ha creati.

E indossarli significa: imparare a sopportarsi a vicenda, proprio come Cristo ha sopportato noi persone spesso insopportabili; imparare ad accettare le persone per il loro bene, proprio come Cristo ha accettato noi; imparare a perdonarsi a vicenda, proprio come Gesù Cristo ha perdonato noi.

E come ha fatto Gesù a perdonare le persone? Indossando i vestiti che l’apostolo Paolo ha tirato fuori dal guardaroba di Colosse, affinché anche noi li vedessimo.

La misericordia, che Gesù ha indossato quando ha incontrato l’adultera che doveva essere lapidata (Giovanni 8,1-11).

La bontà, indossata quando ha chiamato il corrotto esattore delle tasse Zaccheo a scendere dall’albero per celebrare una festa con lui (Luca 19,1-10).

La pazienza, indossata per raccontare la parabola dei due debitori e rispondendo alla domanda: «Quante volte devi perdonare il tuo fratello/sorella?». In quella occasione, Gesù ha posto chi lo ascoltava di fronte alla domanda: «Volete continuare a mostrare la durezza di cuore di quell’uomo che all’inizio si fece cancellare i debiti, ma poi pretese il debito che qualcun altro gli doveva? Oppure indossate l’abito della mitezza con cui si presenta il re nella parabola? (Matteo 18,21-35)

L’umiltà, che Gesù ha indossato quando ha pregato sulla croce: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno” (Luca 23,34).

Osservando i capi di quel guardaroba, molte persone – anche cristiane e cristiani – scuotono la testa e sostengono che si tratti di abiti che non hanno la loro taglia e che non fanno al caso loro. E perciò li lasciano nel proprio armadio. Oppure li prendono e li portano dal sarto affinché li aggiusti, adattandoli al proprio gusto.

Accorciati, stretti, privati delle maniche, quegli abiti non convincono più. Solo un po’ di misericordia, solo un po’ di bontà, solo un po’ di dolcezza, solo un po’ di umiltà, solo un po’ di perdono non bastano a farci fare bella figura, anzi, ci fanno sfigurare. E se accorciamo, stringiamo e riduciamo anche l’abito dell’amore, risultiamo vestiti anche peggio.

L’amore infatti è necessario affinché la misericordia non diventi spietatezza, la bontà non si trasformi in arroganza, l’umiltà non si tramuti in prepotenza, la mitezza si snaturi diventando indifferenza e la pazienza degeneri in apatia.

Senza l’amore di Gesù, il pubblicano Zaccheo sarebbe rimasto un farabutto corrotto, l’adultera una prostituta e lo zoppo, a cui sono stati perdonati i peccati e che di conseguenza è stato guarito, un povero pazzo.

Anche noi, se teniamo chiuso il guardaroba della fede, se non indossiamo i vestiti che l’apostolo Paolo ci presenta, rimaniamo nudi, spogliati della nostra umanità. E non ci serve a nulla cercare di nasconderci dietro il cespuglio della presunta razionalità, del conformismo e delle mille giustificazioni che siamo capaci di inventare, come fece Adamo nel paradiso quando si ritrovò nudo.

Il guardaroba che l’apostolo ci presenta nella lettera ai Colossesi non è un generico e superficiale appello alla decenza e alla moralità: misericordia, bontà, umiltà, pazienza, e dolcezza vanno oltre le frasi di cortesia e le maniere amichevoli. Indossare o non indossare quegli abiti riguarda il modo in cui viviamo, il tipo di relazioni che instauriamo, le scelte sociali e politiche che operiamo, i comportamenti che teniamo: in altre parole, la nostra credibilità in quanto cristiane e cristiani.

Facciamo di quegli abiti la nostra divisa, i capi di vestiario che indossiamo ogni giorno e in ogni circostanza: a questo ci esorta la lettera inviata a Colosse, ma che possiamo intendere anche come rivolta a noi, oggi.

Quel «dress code», quelle norme di abbigliamento, non rendono la vita più facile per un cristiano, per una cristiana. Ma è solo adottandole che noi, come credenti e come chiesa, possiamo agire come sale della terra e luce del mondo.

Certo, nel momento in cui ricordiamo a noi stessi e agli altri le virtù apostoliche, dobbiamo difenderci dall’accusa di ingenuità, di distacco dalla realtà, e peggio ancora di incoerenza.

Ma senza arroganza, umilmente, con atteggiamento autocritico, non possiamo fare a meno di ricordare che il nostro compito è e rimane quello di continuare ad aprire il guardaroba dell’apostolo per mostrare le alternative al cappotto del soldato, alla divisa del generale, a ogni capo di vestiario che rimandi a ingiustizia, inganno, e violenza.

E quando la mattina ci troviamo davanti al nostro armadio dei vestiti, e ci chiediamo che cosa indossare per la giornata, proviamo anche a fischiettare, o a cantare, sottovoce, o a voce alta, non un motivo marziale, non un grido di battaglia, ma una melodia allegra, che sia un ringraziamento a Dio per i vestiti in cui ci possiamo infilare: misericordia, bontà, umiltà, pazienza, dolcezza. Ci permetterà più facilmente di scegliere i vestiti giusti.

Pastore Paolo Tognina